Quali politiche, se il mercato rende diseguali (seconda parte)?

Maurizio Franzini nella seconda parte del suo articolo sulla pre-distribuzione, illustra le tipologie di politiche in grado di limitare le disuguaglianze che si formano nei mercati e di attenuarne gli aspetti meno accettabili. Franzini distingue le politiche pre-distributive dirette a riequilibrare le dotazioni con cui si entra nei mercati da quelle che consistono nel modificare le regole da cui dipende la propensione dei mercati a generare disuguaglianza. Inoltre, sottolinea che alcune politiche redistributive possono avere anche effetti pre-distributivi.

Nella prima parte di questo articolo, pubblicata sullo scorso numero del Menabò, ho sostenuto che per contrastare la disuguaglianza nei redditi oggi sono necessarie non solo politiche redistributive ma anche, e soprattutto, politiche dirette a prevenire la loro formazione nei mercati. In questa seconda parte mi soffermerò sulle politiche che possiamo chiamare pre-distributive, cercando di classificarle e illustrando le caratteristiche di alcune di esse.

In generale, nei mercati i redditi dipendono da quanto si possiede di ciò che in essi viene “premiato” (le “dotazioni”) e da come tali “premi” vengono determinati (le “regole del gioco”). Possiamo perciò distinguere le politiche pre-distributive che agiscono prevalentemente sulle “dotazioni” da quelle che modificano le “regole del gioco”. Vedremo anche che almeno alcune delle classiche politiche redistributive possono avere effetti pre-distributivi, nel senso che possono agire sulle dotazioni o sulle regole del gioco.

Riequilibrare le dotazioni. Il capitale umano, normalmente inteso come grado di istruzione, è uno dei fattori da cui dipendono i redditi da lavoro. Sappiamo che le disuguaglianze di istruzione sono notevoli e largamente determinate dalla diversa possibilità che ha chi proviene da contesti familiari svantaggiati di accedere a un’istruzione più elevata e di migliore qualità Siamo, dunque, di fronte – soprattutto nel nostro paese – a diseguali dotazioni di questa particolare risorsa che derivano largamente dalla violazione dell’eguaglianza di opportunità. Occorrono interventi correttivi di questa ben poco accettabile disuguaglianza, invertendo preoccupanti tendenze.

Nella valutazione dell’OCSE (Education Policy Outlook. Making Reforms Happen, 2015) praticamente nessuna delle riforme attuate di recente nei paesi avanzati, e dunque non soltanto in Italia, va in questa direzione. Inoltre, la tendenza a assicurare percorsi formativi privilegiati ai cosiddetti ‘talenti’ sembra estendersi alle scuole medie con la conseguenza di aggravare invece che correggere gli squilibri dovuti alle condizioni familiari.

Le dotazioni riguardano naturalmente, anche, il capitale fisico e la ricchezza, da cui dipendono i redditi da capitale. Naturalmente i risparmi che ciascuno effettua nel corso della propria vita determinano la ricchezza di cui si dispone, ma – come mostrano alcuni studi – quest’ultima è fortemente correlata con i lasciti ereditari, dunque a dotazioni ‘originarie’ che conducono a disuguaglianze anch’esse poco accettabili. Ridurre le disuguaglianze nei lasciti ereditari è, dunque, una misura pre-distributiva in quanto permette di contenere le disuguaglianze nei futuri redditi di mercato. E lo è anche se lo strumento praticamente indispensabile per raggiungere questo scopo, e cioè un’adeguata imposta di successione, ha nell’immediato effetti redistributivi.

Modificare le “regole del gioco”. Le politiche dirette a modificare le “regole del gioco” per ridurre le disuguaglianze di mercato possono essere molteplici. Elencherò le più rilevanti e alcune forse non così ovvie.

Occorre accrescere la concorrenza nel mercato dei beni e servizi, limitando il potere di mercato di cui gode un ristretto numero di grandi imprese. La concorrenza è impedita principalmente da barriere che rendono difficile, se non impossibile, a molti soggetti di entrare nel mercato per “sfidare” le imprese già presenti. Queste barriere possono essere di vario tipo, ad iniziare da quelle ‘legali’ che ad esempio impediscono in Italia l’accesso ad alcune professioni. Oggi assumono anche forme inedite. Ad esempio, nell’economia delle piattaforme digitali la barriera è rappresentata dal network creato dalle imprese già presenti, e in molti mercati l’ostacolo – per quanto possa sembrare paradossale – è la notorietà che non necessariamente è collegata al merito.

Le barriere alla concorrenza permettono di ottenere rendite – intese in generale come redditi non essenziali per svolgere le funzioni che si svolgono – che contribuiscono ad aggravare la disuguaglianza. Di tale rendite, infatti, si appropriano in generale i possessori di capitale, i manager e alcune categorie di lavoratori privilegiati, spesso dotati più che di capitale umano di quello che potremmo chiamare “capitale relazionale”. In generale esse comprimono la quota di reddito che complessivamente va al lavoro (Autor et al. “The Fall of the Labor Share and the Rise of Superstar Firms”, NBER Working Paper, 2017)

Per far fronte a questi problemi occorre un’efficace politica antitrust, di tutela della concorrenza. Questa politica dovrebbe superare la tendenza che si è affermata negli ultimi anni a considerare accettabile qualsiasi “potere di mercato” purché si traduca in riduzione dei prezzi per i consumatori. Ma per contrastare la disuguaglianza questo non basta.

Un ulteriore, e trascurato, aspetto è che in mercati, per altri versi concorrenziali, le imprese hanno il potere di manipolare i consumatori con informazioni false o anche piegando a proprio vantaggio alcune debolezze dell’umana razionalità (Akerlof e Shiller, Phishing for Phools: The Economics of Manipulation and Deception, 2015). Anche questo ha effetti rilevanti sulla disuguaglianza. Il fenomeno non riguarda soltanto i mercati finanziari e le frodi più o meno soft che in esso hanno luogo.

Intervenire è, in questo caso, estremamente difficile e non esiste un’unica misura risolutiva. Tuttavia, una combinazione di “educazione” del consumatore/risparmiatore e di regolamentazione ben disegnata ben potrebbe limitare l’estensione del fenomeno.

Un ulteriore ambito di intervento per limitare il potere di mercato è quello dei diritti di proprietà intellettuale. Il loro rafforzamento, attuato negli ultimi decenni, ha contribuito ad ampliare le quote di mercato controllate da alcune imprese con conseguenze sulla disuguaglianza e non soltanto su di essa.

Anche i sistemi di governance delle imprese possono essere oggetto delle politiche pre-distributive. Il problema specifico sono le super-retribuzioni dei manager spesso frutto non dell’accresciuta competizione ma del potere che essi hanno di fissare le proprie retribuzioni. Questo obiettivo può essere raggiunto in vari modi: rafforzando il potere degli azionisti, fissando tetti alla retribuzione e anche l’innalzando le aliquote di imposta.

Occorrerebbe, poi, rafforzare la capacità contrattuale dei lavoratori nel loro complesso e di quelli più vulnerabili in particolare, per invertire la tendenza a contrarsi della quota di reddito che va al lavoro e anche per limitare la dispersione tra i redditi da lavoro. Inoltre, più specificamente, il fenomeno dei working poor richiede una revisione del ventaglio di forme contrattuali e l’introduzione di un salario minimo ragionevole ed efficace, che, come mostrano alcune positive esperienze, può essere disegnato in modo da non danneggiare l’occupazione complessiva e la crescita economica anche contribuendo alla dinamica della produttività.

Di fronte alle evoluzioni del progresso tecnologico, alla crescente robotizzazione dei processi produttivi e alla diffusione delle piattaforme digitali, una questione importante anche nell’ottica della pre-distribuzione è quella di cercare di indirizzare tali evoluzioni in modo da contenerne gli effetti sulla disuguaglianza. La questione è, naturalmente, estremamente complessa e il pericolo principale è indebolire la ricerca e l’innovazione. Vi sono però, serie ragioni per porsi il problema (Atkinson, Inequality. What can be done?, 2015) che va affrontato e con la consapevolezza dei rischi che si corrono ma anche con la fiducia che deriva dalla considerazione che quando, nel recente passato, sono stati introdotti vincoli alle innovazioni per ragioni di salute o di tutela dell’ambiente, il loro flusso non ha subito scossoni (Franzini, La direzione del cambiamento tecnologico come problema politico: riflessioni su una proposta di Tony Atkinson, in Lavoro e innovazione per riformare il capitalismo, a cura di Pennacchi e Sanna, 2018).

Effetti pre-distributivi delle politiche redistributive. L’ultimo blocco di interventi pre-distributivi ricade – e non si tratta di un paradosso – nell’ambito delle politiche redistributive. Infatti, vi sono politiche che nell’immediato hanno effetti redistributivi ma su un orizzonte temporale più lungo incidono sulla distribuzione dei redditi di mercato e possono perciò essere considerate pre-distributive.

Il primo esempio, è quello, già ricordato, delle imposte di successione. Nell’immediato il gettito dell’imposta, opportunamente “trasferito”, può avere effetti redistributivi tra i beneficiari di lasciti ereditari (auspicabilmente, soprattutto di quelli più consistenti) ed il resto della popolazione. Su un più lungo orizzonte temporale l’effetto sarà quello di limitare le disuguaglianze negli stock di ricchezza e, quindi, anche nei redditi da capitale.

Un altro esempio riguarda la progressività delle imposte ed in particolare l’altezza delle aliquote marginali. Vi è evidenza che quando le aliquote marginali sono state ridotte i redditi lordi (non soltanto netti, quindi) dei super-ricchi sono cresciuti. Il fenomeno, può trovare una spiegazione negli effetti pre-distributivi di quelle politiche e una possibile chiave è quella che forniscono Piketty , Saez e Stantcheva (“Optimal taxation of top labor incomes: A tale of three elasticities”, American Economic Journal: Economic Policy, 2014): la prospettiva di un più elevato reddito marginale netto costituisce un incentivo a cercare di accrescere il proprio reddito lordo e ciò può, in particolare, prendere la forma di un pieno utilizzo del proprio potere contrattuale all’interno delle imprese da parte dei manager.

Infine nella stessa direzione potrebbe andare un reddito minimo garantito che, equivalendo a un innalzamento della migliore alternativa di cui dispongono i lavoratori, impedirebbe ai salari di mercato di scendere al di sotto di un determinato livello, con effetti non irrilevanti sulla disuguaglianza di mercato. Naturalmente il coordinamento tra una misura di questo tipo e l’introduzione di un salario minimo dovrebbe essere oggetto di particolare attenzione.

In conclusione, le tendenze in atto nei mercati rendono indispensabili, per contrastare la disuguaglianza nella sua altezza e in alcune sue negative caratteristiche, politiche pre-distributive dirette a correggere la disuguaglianza che in essi si crea.

Tali politiche dovrebbero modificare gli squilibri nelle dotazioni – in particolare di capitale umano e di ricchezza – nonché alcune regole di funzionamento dei diversi mercati: dei prodotti, del lavoro e finanziari. Esse dovrebbero altresì valorizzare quelle politiche redistributive che possono avere i maggiori effetti pre-distributivi.

Questa strategia di controllo della disuguaglianza sembra anche in grado di avere effetti positivi sulla crescita, se è vero come sostengono Berg, Ostry, Tsangarides e Yakhshilikov (“Redistribution, inequality, and growth: new evidence”, Journal of Economic Growth, 2018).

), che la crescita è maggiore quando la disuguaglianza di mercato è minore e quando la redistribuzione è contenuta e non estesa, come quella che sarebbe necessaria per contenere la disuguaglianza in assenza di interventi di tipo pre-distributivo. D’altro canto, la crescita di per sé non costituisce un rimedio alla disuguaglianza e talvolta neanche si traduce in un percepibile beneficio per i redditi più bassi.

Disegnare accuratamente ciascuna di queste politiche e fare in modo che siano ben coordinate tra loro è un compito non semplice, reso ancora più complesso dal fatto che sono chiamati in causa livelli di governo diversi. Se questo è vero, è anche vero che non vi sono altre strade per affrontare seriamente la disuguaglianza e per fare in modo che il futuro non assomigli troppo, negli aspetti deteriori, a un passato ormai lontanissimo.

* Questo articolo è la seconda parte di una sintesi con adattamenti del capitolo conclusivo del volume “Il mercato rende diseguali?” a cura di M. Franzini e M. Raitano, il Mulino 2018

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