Misurare gli invisibili. La statistica e le popolazioni difficili da raggiungere

Annalisa Cicerchia muove dalla considerazione che le cifre sul disagio abitativo in Europa nel 2018 sono pesanti ma ricorda il numero degli homeless è sconosciuto o, al più, stimato con metodi che variano da un paese all’altro. Cicerchia elenca le proposte avanzate per descrivere in forma armonizzata le caratteristiche della popolazione priva di tetto o di casa e passa in rassegna alcuni approcci innovativi per rilevarle statisticamente, sottolineando l’importanza di disporre di dati affidabili sulle alle hard to reach populations.

ll tema della casa e dei senzatetto è emerso nel 2019 come priorità concreta per il Semestre Europeo, il processo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio dell’Unione Europea, durante il quale gli Stati membri allineano le proprie politiche economiche e di bilancio agli obiettivi e alle norme convenuti a livello europeo. Undici rapporti nazionali, quelli di Danimarca, Irlanda, Italia, Spagna, Ungheria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania e Regno Unito mettono in evidenza il fenomeno dei senza dimora come urgente e prioritario.

Le cifre del disagio abitativo in Europa nel 2018 sono pesanti: 7,3 milioni di famiglie su 221,3 sono indietro con il pagamento dell’affitto, 17,3 milioni di famiglie non possono permettersi un riscaldamento adeguato, 29,4 milioni di famiglie vivono in abitazioni umide; 31,2 milioni di famiglie risiedono in aree insalubri perché altamente inquinate; 23 milioni spendono per la casa più del 40% del proprio reddito; 34,7 milioni sono in situazione di sovraffollamento; 8,8 milioni si trovano in deprivazione abitativa grave.

Alla voce homeless, però, il Rapporto non è in grado di pubblicare nessuna cifra: il dato è sconosciuto. I motivi di questo vuoto informativo sono da ricercare, da una parte, nella mancanza di definizioni condivise e applicate uniformemente nelle statistiche nazionali; dall’altra, nella natura sfuggente del fenomeno.

Per risolvere la prima difficoltà, FEANTSA, la federazione europea delle associazioni nazionali che lavorano con i senza casa, ha proposto una classificazione in due versioni, una estesa e una light (tav.1), che comincia ad essere adottata da parecchi soggetti. Da notare la differenza fra “roofless” (senzatetto in senso stretto, cioè persone che vivono per strada o in rifugi di emergenza) e “homeless” (persone senza casa, che vivono in ostelli, alloggi temporanei, centri di accoglienza, detenuti, pazienti cronici di ospedali, ecc.). La seconda categoria, chiaramente, include anche la prima.

I dati sono discontinui e quasi tutti ottenuti attraverso stime. Per fare qualche esempio, la banca dati sul fenomeno dei giovani senza fissa dimora nel Regno Unito stimava in 103.000 i giovani (di età fra 16 e 24 anni) senza casa o a rischio fra il 2016 e il 2017.

Ad aprile 2019 si è realizzato il primo tentativo di definire il numero e la struttura demografica dei senzatetto e i senza casa in 403 comuni della Repubblica Ceca (54% della popolazione residente), con estrapolazioni per coprire i comuni che si sono rifiutati di partecipare. Tra rilevazioni dirette, acquisizione di dati da registri amministrativi ed estrapolazioni, il dato risultante è 21.220 adulti e 2.680 minori, su una popolazione di poco superiore a 10 milioni.

Una ricostruzione della popolazione nascosta dei senza dimora in alcune aree del Belgio rurale, per quanto limitata a sole 74 unità, ha contribuito a fare luce sulla natura anche non metropolitana e non urbana del fenomeno. Il poco che si riesce a sapere permette di sfatare alcuni luoghi comuni, mostrando come anche i giovani, e, in misura minore, le donne, sono colpiti da eventi che li buttano in mezzo alla strada.

In questi, come in decine di altri studi sull’argomento, in Europa e non solo, la scarsità di dati e la difficoltà della misurazione sono due elementi che tornano di continuo. I senza dimora sono indubbiamente un soggetto statisticamente sfuggente, e fanno parte di quelle cosiddette “popolazioni difficili da raggiungere” (Hard to reach populations) sulle quali si è accumulata una letteratura consistente.

Perché alcuni soggetti sono di “difficile raggiungimento”? In alcuni casi, la popolazione di interesse ha una numerosità relativamente bassa, il che rende molto costosa un’indagine; in altri casi, i suoi membri sono difficili da identificare; ciò che hanno in comune non è facile da rilevare ed è registrato solo raramente.

Hard to reach populations è quindi un “termine -ombrello”, usato per riferirsi a gruppi molto diversi e che sfuggono alla rilevazione statistica tradizionale per motivi anche diametralmente opposti tra loro. Si applica infatti, oltre che ai senza fissa dimora, ai gruppi minoritari, come comunità etniche, gay e lesbiche; può essere usato per riferirsi a “popolazioni nascoste”, ovvero gruppi di persone che non desiderano essere trovate o contattate, come tossicodipendenti o delinquenti e perfino super ricchi, che non vogliono esporsi; mentre altre volte può riferirsi a segmenti rari della popolazione, come le persone con specifiche disabilità.

Per raggiungere statisticamente le popolazioni difficili sono già disponibili diverse soluzioni. Una è il campionamento a due strati, che parte dalla popolazione generale e isola al suo interno quella con le caratteristiche rare ricercate, la quale viene quindi a sua volta campionata. Altri approcci alternativi, di campionamento indiretto, sono il Time-Location; il Respondent-Driven (RDS) e il Capture-Recapture (o Contact-Recontact) (Marpsat e Razafindratsima 2010).

L’idea alla base del Time-Location è che la popolazione di interesse frequenta un certo numero di luoghi che, al contrario, non sono molto visitati dal resto della popolazione, come mense, rifugi, centri che offrono docce o vestiti puliti ecc. ai senzatetto. Sono questi luoghi ad essere campionati, dopo di che è possibile  formare  un campione delle persone che li frequentano.

Il metodo RDS (campionamento guidato dai rispondenti) assomiglia al metodo snowball (si accede a un piccolo gruppo della popolazione da studiare, che facilita il contatto con più persone del tipo giusto da intervistare, che a loro volta forniscono accesso ad altri, e così via), ma, in determinate condizioni, consente di produrre stimatori più imparziali.

Gli approcci Capture-Recapture derivano il loro nome dal loro uso originario per la stima del numero di una popolazione di animali allo stato brado. Sono stati applicati a popolazioni umane mobili, come i lavoratori agricoli migranti. La tecnica si basa su almeno due osservazioni (o fonti) indipendenti e presuppone che la popolazione resterà stabile durante il periodo di osservazione, senza nuovi ingressi, né uscite.

I problemi sono molti, per via di difficoltà di campionamento, come impossibilità di determinare l’universo di riferimento, autoselezione del campione, mancata copertura o copertura insufficiente, o necessità di frame di campionamento speciali, oppure per l’alto numero di mancate risposte e per errori nella rappresentazione e nella restituzione finale (Smith 2012). Smith specifica che le popolazioni Hard to reach, oltre alle dimensioni ridotte, sono caratterizzate da mancanza di molte delle informazioni identificative necessarie per il campionamento, difficoltà di contatto e riluttanza a cooperare (sia nel senso di rifiuto o vergogna a identificarsi come membri della popolazione target, sia nel senso di non voler partecipare una volta identificati). Gli homeless sono difficili da intercettare per una serie di caratteristiche spesso compresenti, come la povertà, la mancanza di un recapito anche solo telefonico, l’analfabetismo o il semianalfabetismo anche funzionale o digitale, la mobilità geografica, l’illegalità (delinquenti oppure stranieri senza documenti), o l’appartenenza a minoranze allofone di piccole dimensioni, quindi non riconosciute.

Quanto all’Italia, nel 2014 è stata realizzata la seconda indagine sulla condizione delle persone che vivono in povertà estrema, a seguito di una convenzione tra Istat, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora e Caritas Italiana. L’indagine ha adottato un approccio metodologico che trova il suo fondamento teorico nel campionamento indiretto. E così, per lo studio delle persone senza dimora, la base di campionamento è stata rappresentata dalle prestazioni fornite (pasti distribuiti e posti letto) presso le mense e accoglienze notturne in 158 comuni italiani. Si stimano in 50.724 le persone senza dimora che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei comuni in cui è stata condotta l’indagine. Tale ammontare corrisponde al 2,43 per mille della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni considerati, valore in aumento rispetto a tre anni prima, quando era il 2,31 per mille (47 mila 648 persone). Il collettivo osservato dall’indagine include tuttavia anche individui non iscritti in anagrafe o residenti in comuni diversi da quelli dove si trovano a gravitare. Circa i due terzi delle persone senza dimora (il 68,7%) dichiarano di essere iscritte all’anagrafe di un comune italiano, valore che scende al 48,1% tra i cittadini stranieri e raggiunge il 97,2% tra gli italiani. A questa rilevazione si collega la sperimentazione di cui parlano Francesca Inglese e Alessandra Masi, in un working paper appena uscito (https://www.istat.it/it/archivio/233227), nel quale le due ricercatrici propongono una metodologia per la stima della homelessness applicata a Torino utilizzando le Unità di strada, che, anche senza un’esplicita richiesta di aiuto, svolgono direttamente sul territorio attività di supporto alle persone che vivono in uno stato di marginalità sociale. La sfida affrontata nella fase di progettazione dell’indagine è stata l’individuazione delle condizioni che rendessero possibile l’applicazione della metodologia basata sul campionamento indiretto – già adottata nella rilevazione nazionale svolta presso i servizi di mensa e accoglienza notturna – e la messa a punto di strumenti specifici che permettessero di tenere sotto controllo il rischio dei conteggi multipli e quello della sotto-copertura della popolazione.

In mancanza di dati affidabili, molti fenomeni legati alle hard to reach populations rischiano di essere oggetto di comunicazioni infondate, strumentali, ideologiche e propagandistiche. Per questo motivo, lo sviluppo di approcci statistici avanzati, che valorizzino le fonti amministrative disponibili e le affianchino a rilevazioni sul campo innovativi, è tanto urgente, quanto giusto.

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