La sostenibilità sociale e ambientale nelle imprese italiane: evidenze dal censimento sulle imprese dell’ISTAT

Attilio Pasetto, basandosi sui risultati del censimento del 2019 dell’Istat sulle imprese, esamina le misure adottate dalle imprese in tema di sostenibilità sociale e ambientale. Dalla rilevazione emerge che le buone prassi riguardanti la sostenibilità si stanno diffondendo, coinvolgendo due imprese su tre; tuttavia, sottolinea Pasetto, lo sforzo delle imprese si concentra sulle azioni correnti, mentre sarebbe auspicabile destinare maggiori risorse agli investimenti, specie in campo ambientale.

Il 7 febbraio l’Istat ha reso noti i primi risultati del censimento permanente delle imprese aggiornati al 2018, che ha interessato un campione di 280.000 aziende con almeno 3 addetti, rappresentative di un universo di un milione di unità corrispondenti all’84,4% del valore aggiunto complessivamente generato dall’economia italiana ed al 76,7% degli addetti. Il censimento permanente delle imprese ha cadenza triennale, sostituisce il precedente censimento decennale ed è condotto su un campione rappresentativo, che consente una restituzione dei dati di tipo censuario, ossia riferita all’intera popolazione. Le imprese sono suddivise in sette classi dimensionali e quattro aree geografiche. Le microimprese (3-9 addetti) e le piccole imprese (10-49 addetti) rappresentano, rispettivamente, il 79,5% e il 18,2% del totale, mentre le medie (50-249 addetti) e le grandi imprese (da 250 addetti insù) nel loro insieme costituiscono il 2,3% del campione. Oltre il 50% delle unità rilevate si concentrano al Nord (il 29,2% al Nord Ovest e il 23,4% al Nord Est), mentre quelle del Centro sono il 21,4% e quelle del Mezzogiorno il 26%.

Dall’indagine emerge che, a parità di campo di osservazione, dal censimento del 2011 a quello del 2018 il numero delle imprese è diminuito dell’1,3%, mentre gli addetti sono aumentati della stessa percentuale (1,3%). Il confronto con il 2011 mostra un calo del peso dell’industria rispetto ai servizi (è bene ricordare che l’agricoltura è esclusa da questa rilevazione) sia come numero di imprese sia in termini di addetti. Per quanto riguarda quest’ultimi, i servizi vedono aumentare dal 2011 al 2018 la loro quota sul totale dal 59,9% al 64%, mentre l’industria in senso stretto e le costruzioni scendono rispettivamente dal 31,3% al 29,2% e dall’8,9% al 6,8%. A livello dimensionale si assiste a un leggero incremento della quota di imprese di grandi dimensioni con il peso delle microimprese che in termini di addetti scende di un punto (dal 30,5% al 29,5%) e quello delle piccole che passa dal 26,4% al 26,1%, mentre le grandi aumentano la loro quota dal 27% al 28,3% e le medie rimangono invariate al 16%.

La rilevazione coglie le imprese italiane in una fase di trasformazione. Oltre il 20% delle aziende in un arco temporale di dieci anni (dal 2013 al 2023) è interessata dal passaggio generazionale per quanto riguarda la proprietà e la gestione e più di un terzo nel triennio 2016-2018 ha intrapreso un percorso di sviluppo, imperniato su “strategie di innovazione del business aziendale come la modernizzazione tecnologica, la diversificazione dell’attività principale, la transizione verso una nuova area di attività o la trasformazione innovativa della propria attività”.

In base alle scelte produttive, tecnologiche, organizzative e di mercato l’Istat raggruppa le imprese con almeno 10 addetti in classi ordinate in termini di relativo “dinamismo”. Più in particolare, il criterio adottato classifica le imprese in base all’orientamento in materia di: approccio manageriale; investimenti in R&S, formazione, innovazione, responsabilità sociale; processi di sviluppo aziendale (differenziazione produttiva, modernizzazione tecnologica, introduzione di prodotti nuovi per il mercato); leve competitive (prezzo, qualità, localizzazione, professionalità del personale, flessibilità produttiva). Le imprese ad alto dinamismo, che impiegano il 40% degli addetti e producono oltre la metà del valore aggiunto complessivo, risultano essere il 17% del totale rilevato dall’Istat. Quelle a medio dinamismo sono il 27,5%, mentre le imprese a basso dinamismo rappresentano il 55,5%. In sostanza, questi dati confermano che il sistema produttivo italiano non sembra riuscire a ridurre la quota strutturalmente predominante di imprese poco dinamiche, e dunque a bassa produttività e scarsamente innovative. Emerge una notevole variabilità a livello dimensionale, settoriale e territoriale. I settori che crescono di più in termini sia di numero di imprese che di addetti appartengono ai servizi, in particolare sono quelli delle attività artistiche e di intrattenimento, dei servizi di alloggio e ristorazione, delle attività immobiliari, dell’istruzione. I settori in ripiegamento invece vedono al primo posto le costruzioni, seguite da alcuni segmenti dell’elettronica, dei prodotti in legno, dei minerali non metalliferi. Questi dati sono indicativi delle difficoltà che incontrano le imprese industriali, soprattutto se di piccola dimensione, a stare sul mercato e ad affrontare le sfide competitive, prima fra tutte quella dell’innovazione digitale. Tale tendenza, che vede l’affermarsi di una dinamica congiunta di terziarizzazione e di indebolimento della struttura produttiva dell’economia italiana, è già stata segnalata dal Menabò.

Tra le numerose informazioni disponibili, merita di essere presa in considerazione l’attenzione rivolta dalle imprese alla sostenibilità ambientale e sociale. Le azioni e i comportamenti a favore della sostenibilità hanno coinvolto nel 2018 circa due imprese su tre. In particolare: il 66,6% delle imprese nel 2018 ha svolto azioni per ridurre l’impatto ambientale; il 69% è impegnato nel miglioramento del benessere lavorativo e della famiglia; quasi il 65% si è attivato per incrementare i livelli di sicurezza. Tre tipologie di interventi “sostenibili”, che però – è bene sottolineare – dal punto di vista delle strategie di impresa, della performance e dell’impatto sociale, sono significativamente eterogenee tra di loro. A questo si aggiunga che un terzo delle imprese ha realizzato iniziative di interesse collettivo esterne all’azienda e a favore del tessuto produttivo del territorio.

L’impegno ambientale e sociale cresce all’aumentare della dimensione d’impresa per tutte le tipologie di azioni sostenibili (vedi grafico). Questo è dovuto anche alla presenza di obblighi di legge più stringenti per le imprese di maggiore dimensione.

A livello settoriale in generale le imprese dell’industria sono più impegnate a svolgere azioni “sostenibili” rispetto a quelle dei servizi, tranne che per le iniziative di interesse collettivo esterne all’azienda. Le distanze maggiori si riscontrano per le iniziative sulla sicurezza e per le misure volte a ridurre l’impatto ambientale.

Le motivazioni che spingono le imprese a svolgere azioni di responsabilità ambientale e sociale sono prevalentemente legate ad aspetti normativi, rappresentati da obblighi di legge e/o sussidi specifici. Non sono però assenti altri tipi di motivazioni, come il consolidamento dei legami con la comunità locale e la tutela della reputazione dell’impresa specie in tema di miglioramento del benessere lavorativo.

 

Azioni intraprese in materia di sostenibilità ambientale e sociale (valori percentuali)

Fonte: Istat, Censimento permanente delle imprese 2019

 

Venendo più nello specifico alla sostenibilità ambientale, gli investimenti effettuati nel triennio 2016-2018 hanno riguardato perlopiù l’installazione di macchinari e impianti per ridurre il consumo energetico (31,3% delle imprese). Seguono in ordine d’importanza l’isolamento termico degli edifici e/o la realizzazione di edifici a basso consumo energetico (10%). Meno numerose le imprese che hanno istallato impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile (5,6% per l’elettrica e 3,3% per la termica), mentre soltanto il 3,8% delle imprese ha acquistato automezzi elettrici o ibridi.

Per quanto riguarda le azioni per ridurre il consumo di risorse naturali e gestire i rifiuti e le emissioni, il 77,8% delle imprese effettua la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti, il 48,4% è impegnato a contenere il prelievo e il consumo dell’acqua, il 46,8% gestisce i rifiuti in modo da controllare gli inquinanti e il 42,2% cerca di risparmiare il materiale utilizzato nei processi produttivi. Il 34,3% delle imprese si preoccupa di contenere l’inquinamento acustico e/o luminoso e il 25,9% di limitare le emissioni in atmosfera. Nel 9,4% dei casi le imprese hanno coinvolto i propri fornitori italiani nella riduzione dell’impatto ambientale. La quota si abbassa all’1% per i fornitori esteri e aumenta in ragione della dimensione d’impresa. Nelle imprese da almeno 500 addetti si arriva infatti a percentuali del 40,3% per i fornitori nazionali e del 17,1% per quelli esteri.

Passiamo ora alle azioni di sostenibilità sociale, che comprendono, da un lato, le misure per il benessere lavorativo e le pari opportunità e, dall’altro, le misure per la genitorialità e la conciliazione fra lavoro e famiglia. Per quanto riguarda le misure per il benessere lavorativo e le pari opportunità, il 45,2% delle imprese ha dichiarato di aver adottato buone prassi collegate allo sviluppo professionale del personale, il 42,7% di aver adottato buone prassi collegate alle pari opportunità, il 41% di aver coinvolto il personale nella definizione degli obiettivi aziendali, il 36,1% di aver mantenuto livelli di occupazione elevati anche in presenza di una riduzione dei profitti, il 10,5% di aver identificato all’interno dell’impresa una figura per la responsabilità sociale e il 5,4% di aver assunto personale in condizioni di disagio anche oltre gli obblighi di legge.

Le azioni più diffuse a sostegno della genitorialità e della conciliazione fra lavoro e famiglia riguardano: la flessibilità dell’orario di lavoro, con il 47,3% di imprese coinvolte, i permessi/congedi per la nascita di un figlio (25,5%), i permessi per l’inserimento dei figli all’asilo (22,5%), la comunicazione dei diritti alla genitorialità (20,5%). Importanza minore rivestono l’estensione della durata del congedo per gravi motivi (15,6%), il lavoro agile/smart working (10,3%), l’estensione della durata del congedo parentale (8,6%), i sostegni economici per lavoratori e familiari (7,8%), il telelavoro (3,7%) e l’asilo nido aziendale gratuito o a condizioni agevolate (1,7%).

Anche per le misure di sostenibilità sociale l’incidenza delle azioni cresce in maniera significativa all’aumentare della dimensione aziendale. Aumenta inoltre la percentuale di imprese che intende adottare azioni a favore della persona o della famiglia nel triennio 2019-2021.

In conclusione, anche per le azioni e le iniziative in materia di sviluppo sostenibile vale quanto detto all’inizio fotografando la situazione generale dell’industria italiana. La struttura produttiva del Paese si conferma significativamente debole, scarsamente innovativa e in gran parte basata su aziende di modesta dimensione. Entro tale cornice, le imprese stanno affrontando un periodo di transizione da un modello di crescita basato sull’impiego “tradizionale” dei fattori produttivi ad un modello che impone, da un lato, una forte focalizzazione sul risparmio e il riuso delle risorse e, dall’altro, il crescente impiego di tecnologie digitali. Anche il capitale umano è coinvolto in questo cambio di paradigma sia per gli effetti della digitalizzazione, che comporta un maggior coinvolgimento del personale nella gestione dei processi produttivi, sia per le crescenti esigenze legate al welfare, che il sistema pubblico non sempre riesce a soddisfare pienamente.

Dalla rilevazione dell’Istat emerge che le buone prassi in tema di sostenibilità si stanno diffondendo, anche se occorre essere cauti nel parlare di upgrading del sistema delle imprese, in quanto non va dimenticato che molte prassi sono dovute ad obblighi regolamentari. In particolare le grandi imprese – per la rilevanza delle loro attività, l’esposizione alle regolamentazioni e agli standard di qualità, l’intensità delle interazioni con la PA – sono quasi obbligate ad adottare certi comportamenti. Probabilmente indagini microeconomiche dettagliate consentirebbero di comprendere effettivamente se, dove e in quali comparti sta avvenendo una transizione strategica da parte delle imprese anche nel campo della sostenibilità sociale e ambientale.

A prescindere da ciò, sarebbe comunque auspicabile che le imprese facessero uno sforzo maggiore non solo nei comportamenti correnti ma anche nei nuovi investimenti, soprattutto in campo ambientale, dove alle fonti rinnovabili e agli automezzi elettrici e ibridi è dedicata una parte ancora limitata della spesa aziendale.

 

 

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