La Fiat di Marchionne

Non sono stati resi noti i motivi ufficiali dell’uscita della Fiat dalla Confindustria, gesto che rompe con il sobrio comportamento dei torinesi e della famiglia Agnelli. Il breve intervallo tra le critiche della presidente della Confindustria Marcegaglia al presidente del consiglio Berlusconi ha fatto pensare che il motivo sia questo tanto più, è stato fatto sapere, che il parere dell’esperto contabile chietino non era stato preventivamente richiesto. Altri ha sottolineato che Marchionne in realtà ha rotto perché insoddisfatto dell’attenzione della Presidente della Confindustria ai pareri delle confederazioni sindacali. E’ proprio questa a mio avviso la spiegazione vera ma certamente c’è una verità anche in chi ha visto nel gesto di Marchionne il tentativo di fare un gesto clamoroso volto a distrarre chi si occupa della Fiat dai pessimi risultati che la fabbrica consegue sui mercati. Sono mesi e mesi infatti che sotto la direzione di Marchionne la Fiat va perdendo terreno su tutti i mercati mentre la Wolkswagen e la Ford conquistano ampi spazi. La Fiat non compare, addirittura, tra le cento fabbriche del mondo che vendono più auto in Cina (la prima è la Toyota Corolla, la seconda è la Ford e la terza è la Wolkswagen). Dal 2010 al 2011 la Fiat ha perso continuamente posizioni anche in India. In Europa la macchina più venduta è la polo della Wolkswagen; la Fiat nemmeno compare tra le dieci macchine più vendute mentre compaiono la solita Wolkswagen nonché la Renault e la Peugeot. Si capisce benissimo in questa situazione che Marchionne, colpito come amministratore e come sommo sacerdote della religione pagana della desindacalizzazione  (“il salario lo fissa il padrone secondo le sue convenienze”) dia da matto e cerchi di far parlare d’altro. Come si vede le ragioni sono molte per cercare di far parlare d’altro senza rendersi conto che il discorso sulla desindacalizzazione di cui lo svizzero Marchionne è il profeta è strettamente legato alla sconfitta. Gli economisti americani hanno non a caso individuato un legame diretto tra desindacalizzazione e gravità della crisi. E l’andamento della Fiat conferma quanto da essi accertato.

Luciano Barca

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