La DAD: la Didattica che Aumenta le Diseguaglianze

Gianluigi Coppola esamina alcuni dati relativi alla Didattica a Distanza (DAD), introdotta con l’inizio della pandemia per garantire la didattica nelle scuole, che consentono di​ valutarne le probabili conseguenze di più lungo termine sulle disuguaglianze. Coppola sostiene, in particolare, che la DAD rischia di aggravare le disuguaglianze territoriali e, soprattutto, che essa può alimentare gli abbandoni scolastici che riguardano principalmente i ragazzi che provengono dalle famiglie più povere.

Uno dei più importanti effetti della pandemia da Covid-19 è certamente il distanziamento sociale, inteso nelle sue varie accezioni. In particolare, con l’inizio della pandemia sono stati introdotti il distanziamento nei rapporti lavorativi e nella didattica che persistono dopo quasi due anni. Il primo è stato realizzato con il cosiddetto lavoro agile o smart working; il secondo con la Didattica A Distanza (DAD). Entrambi si basano sul distanziamento fisico delle persone; tuttavia, mentre tale peculiarità rientra pienamente nella definizione della Didattica a Distanza, essa non è evidenziata nella definizione del lavoro agile o smart working. E ciò contribuisce a sottolineare la forte caratterizzazione di distanziamento che ha questa nuova forma di didattica.

Ciò premesso, si è fatto ricorso alla DAD soprattutto durante il primo lockdown, ossia da marzo 2020 sino alla fine dell’anno scolastico 2019/20 mentre in quello successivo (2020/2021), la Didattica a Distanza è stata adottata in modalità diverse e per periodi diversi dalle singole regioni. La spiegazione risiede in misura minore nella diseguale diffusione territoriale della pandemia ed in misura maggiore nelle preferenze dei Governi delle singole Regioni.

Proprio all’anno scolastico 2020/2021 si riferisce uno studio di “Save the Children” che ha stimato il numero dei giorni in cui gli studenti di alcuni importanti capoluoghi di regione hanno frequentato la scuola in presenza. Risulta (v. Tab. 1) che nel 2020/2021 dall’ inizio dell’anno scolastico sino al 25 aprile 2021, a Firenze gli studenti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria sono sempre andati a scuola e quelli della scuola secondaria di secondo grado sono stati in presenza 98 giorni su 143 (68,53%). A Milano su 145 giorni previsti dal calendario scolastico, gli alunni della scuola dell’infanzia sono stati in aula 135 giorni, quelli della scuola secondaria di 2° grado 71,7 giorni (49,5%). Al contrario, a Napoli, su 134 giorni previsti, gli studenti della scuola dell’infanzia hanno frequentato la scuola 84 giorni e quelli delle superiori soltanto 31 giorni, vale a dire appena il 23% del totale.

Il principale problema inerente alla Didattica a Distanza è che essa perpetua forme di diseguaglianze sia a livello sociale che territoriale o ne genera delle nuove.

Da uno studio pubblicato da AlmaDiploma in collaborazione con il Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea [AlmaDiploma (2020) Indagine sulla Didattica A Distanza], emergono in modo evidente i fattori di esclusione sociale per gli studenti. L’indagine è stata condotta durante le ultime settimane dell’anno scolastico 2019/20, ossia dell’anno in cui è stato fatto ricorso, per la prima volta e in modo più intensivo alla DAD, e ha coinvolto 73.286 studenti delle classi quarta e quinta elementare e di 246 istituti (licei, istituti tecnici e professionali). Hanno risposto al questionario 23.305 studenti, pari a poco meno di un terzo (31,8%) degli studenti coinvolti nell’indagine. Più della metà di essi frequentava una scuola del Nord (29,7% del Nord-Est e il 25,7% una scuola del Nord-Ovest), un altro 34,0% una scuola del Centro e solo il restante 10,5% una scuola del Mezzogiorno (8,7% del Sud e 1,8% delle isole).

L’indagine ha riguardato sia la dotazione degli strumenti informatici a disposizione delle famiglie e degli studenti sia l’esperienza di questi ultimi, in termini di partecipazione e di soddisfazione. Di particolare importanza è proprio la dotazione delle famiglie poiché la quasi totalità degli studenti che ha risposto al questionario, ha dichiarato che la scuola non ha fornito loro alcun tipo di supporto e che hanno potuto fare affidamento sulle sole dotazioni (hardware, software, competenze informatiche) disponibili in famiglia. Tale aspetto rappresenta un primo fattore di esclusione sociale. Infatti, l’88,3% degli studenti ha potuto seguire le lezioni collegandosi con uno dei seguenti strumenti informatici: pc fisso, pc portatile, tablet e smartphone. Quindi l’11,7%, vale a dire più di uno studente su 10, non ha potuto seguire le lezioni durante il primo lockdown.

Il secondo fattore di esclusione riguarda il tipo di strumento informatico. Solo il 56,6% degli studenti ha potuto collegarsi con un pc o con un tablet ad uso esclusivamente personale, ossia con uno strumento diverso dallo smartphone, che non è l’ideale per seguire le lezioni ed è fonte di distrazione.

Il terzo fattore di esclusione è la qualità della connessione internet, fondamentale per mantenere costante l’attenzione degli studenti. Essa è stata giudicata dal 20,3% degli studenti abbastanza o decisamente scarsa.

Inoltre, il 16,0% degli studenti ha dichiarato che la didattica a distanza è stata erogata tutti i giorni della settimana ma per un periodo di tempo pari a meno della metà delle ore previste.

Gli studenti hanno altresì riscontrato delle difficoltà per ciò che concerne il carico di studio. Per il 24,7% non era sostenibile, mentre il 54,8% lo ha considerato aumentato ma comunque sostenibile.

Il risultato è che, rispetto alle lezioni in presenza, solo un quarto degli studenti è riuscito a non distrarsi.

Le difficoltà appena elencate sono più gravi per gli studenti disabili e non sorprende che i loro livelli di partecipazione siano diminuiti con la Didattica a Distanza (Istat, 2020). Durante il primo lockdown, tra aprile e giugno 2020, circa 70 mila alunni con disabilità, pari al 23% del totale non hanno preso parte alle lezioni, nel Mezzogiorno la percentuale è stata 6 punti più alta (29%).

La partecipazione degli alunni con disabilità alle lezioni a distanza è stata resa difficile da diversi fattori: la gravità della patologia (27%), la difficoltà dei familiari a collaborare (20%) e il disagio socio-economico (17%). Altri motivi di esclusione sono stati: la difficoltà nell’adattare il Piano Educativo per l’Inclusione (PEI) (6%), la mancanza di strumenti tecnologici (6%) e di ausili didattici specifici (3%).

Secondo l’indagine Istat i restanti studenti che non hanno partecipato alla DAD, sono stati l’8% degli iscritti. Anche in questo caso sono state rilevate marcate differenze territoriali. Nel Centro Italia è stata registrata la più bassa percentuale di studenti esclusi (5%), poco più della metà di quella del Sud (9%) [Istat (2020) l’inclusione scolastica degli alunni con Disabilità. A.S. 2019-2020].

Soprattutto per gli studenti dei primi anni e importante l’assistenza da parte di un adulto, capace di risolvere eventuali problemi informatici o di collegamento ad internet. Tuttavia, nella DAD questa funzione può essere svolta soltanto da un genitore che non lavora o che lavora in smart working. Al riguardo è interessante quanto emerge da uno studio della Banca d’Italia: durante la prima fase della pandemia hanno lavorato a distanza soprattutto le donne con un alto livello di istruzione che occupano posizioni medio alte all’interno delle imprese [Banca D’Italia, (2021) Note Covid-19]. Quindi sono soprattutto le madri più istruite e preparate ad aver avuto la possibilità di seguire i propri figli nella didattica a distanza.

La sintesi più efficace è stata fatta da Colomba Unzo, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo n.83 Porchiano-Bordiga di Ponticelli, periferia di Napoli, la quale, in seguito alla recente decisione del Presidente della Regione Campania, di ricorrere ancora alla DAD per gli studenti delle elementari e delle scuole medie inferiori, ha dichiarato: “Noi siamo un territorio in cui la dispersione scolastica è molto elevata. Ci siamo sentiti dire continuamente negli scorsi anni [dai genitori]:” Io non mando mio figlio a scuola perché ho paura”. Sancire questo principio è davvero pericoloso in un territorio dove ogni giorno facciamo al contrario sforzi enormi per poter riportare i ragazzi a scuola.” [TG3. lunedì 10 gennaio, ore 14.30]

La difficoltà di seguire le lezioni scolastiche, oltre a ridurre il rendimento scolastico degli studenti, può portare gli stessi, soprattutto nei territori più difficili, ad abbandonare la scuola, e a non impegnarsi nella ricerca di un lavoro. Ciò rende plausibile ipotizzare un legame tra la DAD e i Neet (Not in Education, Employment or Training), acronimo con i quali si indicano i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione [definizione Istat, 2021]. Un ruolo cruciale al riguardo sembra svolgerlo la ricchezza. Infatti, la percentuale dei Neet appare correlata alla ricchezza delle famiglie.

Il grafico seguente mette in relazione le percentuali dei Neet relative a 20 quartieri di Napoli (Dati Openpolis), con il valore medio degli appartamenti nei singoli quartieri pubblicati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia dell’Entrate e che può essere considerato una proxy della ricchezza.

Anche se le zone OMI ed i quartieri di Napoli non sono tra loro perfettamente sovrapponibili, emerge in modo chiaro l’esistenza di una correlazione negativa tra il valore medio degli appartamenti e la percentuale dei Neet nei singoli quartieri. Considerando che coloro che hanno abbandonato gli studi (e non lavorano) sono inclusi tra i Neet si può ipotizzare che il fenomeno dell’abbandono scolastico riguardi soprattutto i poveri, nel nostro caso coloro che appartengono in modo prevalente a famiglie residenti nelle zone più povere della città. La DAD potrebbe quindi aggravare il fenomeno dell’abbandono scolastico da parte di chi sta più in basso nella scala sociale.

In conclusione, la Didattica a Distanza può essere considerata un surrogato assai imperfetto della didattica in aula. Essa penalizza soprattutto gli studenti delle famiglie meno abbienti e pertanto è uno strumento che va utilizzato con molta cautela. È decisamente preferibile garantire la scuola in presenza, adottando le opportune misure per ridurre i contagi.

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