La “Civiltà Cattolica” e l’economia

      La conformità “morale” delle principali riflessioni e teorie economiche è al centro di molti autorevoli interventi che l’ordine dei gesuiti ha  sviluppato  nella rivista religiosa “La Civiltà Cattolica”.

     Com’è immaginabile, il quadro di riferimento filosofico dell’analisi economica che sviluppa la rivista gesuitica, parte da quel sistema di principi fondamentali e di criteri di giudizio che i successori di Sant’Ignazio di Loyola attingono dalla dottrina sociale della Chiesa, basata sui centrali valori di solidarietà e sussidiarietà, e distante tanto dalle forme di individualismo sociale e politico, quanto da quelle di collettivismo e totalitarismo. Ispirandosi al Nuovo Testamento e alla legge naturale, la dottrina sociale non può essere identificata – a giudizio dei gesuiti – come <<una “terza via” tra capitalismo liberista e comunismo marxista, ma costituisce una categoria a sé, che esula dall’ambito ideologico, per rientrare nella dimensione teologica e, in particolare, nella teologia morale>>. Nel corso del secondo dopoguerra, la dottrina sociale conoscerà una notevole evoluzione dottrinale e metodologica, in seguito alla quale si preciserà il suo statuto epistemologico e la sua appartenenza al discorso teologico-morale. Tutto ciò si traduce, ne “La Civiltà Cattolica”, in una serie di interventi a carattere teoretico e in una maggiore prudenza rispetto ai suggerimenti di specifiche misure pratiche. Il tutto ha come risultato un costante richiamo alla necessità di subordinare l’economia a giudizi etici, cioè a giudizi della ragione retta in accordo con la legge naturale, che comporti obblighi da parte degli uomini assicurando la centralità dell’essere umano e il concetto di bene comune.     

 

I.      L’approccio de “La Civiltà Cattolica” alle teorie economiche nelle diverse fasi storiche

     La prima espressione della dottrina sociale della Chiesa risale – come è noto – al 1891 grazie all’enciclica Rerum novarum con la quale papa Leone XIII entra in competizione con le idee che il socialismo va affermando. A partire dalle idee in questa contenute, è possibile concepire una periodizzazione di massima che consenta di cogliere quelli che sono i principali aspetti dell’analisi gesuita nel corso degli anni che seguirono l’Enciclica leonina.

a)  Una prima fase è senza dubbio quella che va dai primi anni del ‘900 fino al periodo che precede il Concilio Vaticano II. È questo un periodo nel quale il contesto storico (le guerre mondiali, la ricostruzione, le grandi scelte politiche ed economiche, per citare solo alcuni dei più importanti eventi) e quello dottrinale lasciano nelle pagine della rivista autorevoli interventi (si pensi all’esperienza in campo economico di padri gesuiti del calibro di Brucculeri, De Marco, Perego e Messineo, quest’ultimo impegnato nel propagandare un deciso anticomunismo che caratterizzava la rivista in questa fase). All’interno di questi articoli i padri evidenziano il forte connubio che viene a porsi in essere tra la dimensione economica e le scelte di carattere politico. I padri gesuiti, in sostanza, propongono a viva voce le soluzioni auspicate dalla gerarchia ecclesiastica tra cui, solo per fare un esempio, il sistema corporativo di organizzazione della vita economica e la partecipazione agli utili. Tutti temi, questi, che verranno successivamente superati in seguito all’adozione di misure diverse e alla progressiva sfiducia che nel laicato cattolico si andava diffondendo (si guardino a tal proposito anche alcune riviste cattoliche dell’epoca), circa le direttive d’azione della dottrina sociale della Chiesa.

b)  Il progressivo riconoscimento della centralità della persona, culminato con l’indizione del Concilio Vaticano II che identifica l’uomo come “l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”, apre una nuova fase nella vita de “La Civiltà Cattolica” che è possibile denominare “post-conciliare”. La svolta del concilio delinea una più forte interdipendenza tra il bene della persona e il bene della società e la rivista gesuitica modifica notevolmente, nel corso degli anni sessanta, approcci e contenuti concentrandosi notevolmente sui problemi internazionali del sottosviluppo, recuperando la diatriba contro il liberalismo che con il tempo era scemata a causa della forte militanza anticomunista. Gli anni settanta e ottanta, con gli avvenimenti storici e politici (stagflazione, crisi petrolifere ed economiche), favoriscono, accanto ai temi del sottosviluppo, il ritorno alla teoria economica, considerata nella sua autonomia rispetto ad altri ambiti. In sostanza in questi anni (e gli anni novanta confermano prevalentemente questo indirizzo), si tende a “cogliere più profondamente il rilievo morale delle dottrine economiche esaminate e di avvalorare la proposta di una concezione non meramente tecnica, ma eminentemente etica delle questioni proprie dell’ambito economico; […] confutare validamente la pretesa indipendenza della realtà economico-sociale della morale, alla quale i padri gesuiti la vogliono subordinata per essere conforme alla giustizia e alla carità”. 

     Per “La Civiltà Cattolica”, dunque, nel corso degli anni resta centrale il tema del problema economico che si configura come questione di giustizia. Una giustizia incentrata sul bene comune e su una promozione umana fondata su libertà, spiritualità, identità, senso. Per i padri gesuiti “l’opportunità per la persona di raggiungere la propria perfezione in un quadro di relazioni sociali implica anche il presupposto di un’efficace e reale giustizia distributiva”; questo comporta una accentuata subordinazione dell’attività economica alla dimensione etica. In tal modo si sfugge da qualsiasi tipo di legge fisico-meccanica e la giustizia distributiva viene a dipendere da volontà umane, ossia, da scelte da parte del legislatore civile; saranno necessari, così, giudizi di valore in senso morale che esigono una concezione dell’economia come scienza normativa.

 

II.   Il dibattito epistemologico sulla scienza economica e il confronto con le diverse teorie nel secondo dopoguerra

     È proprio sul concetto di giustizia distributiva che si osservano le maggiori distanze fra “La Civiltà Cattolica” (sempre sensibile all’importanza che assume il dibattito epistemologico) e le tesi neopositivistiche di molti accademici. Queste ultime, sostengono la mancanza di fini economici e la sola presenza di modi e mezzi economici e antieconomici per raggiungere determinati fini. L’epistemologia neopositivistica sostiene, cioè, la separazione tra fini e mezzi che inevitabilmente tocca il problema ben più importante della separazione tra etica ed economia. Un divorzio (quello fra etica ed economia appunto) già sviluppatasi in ambiente classico con le formulazioni del laissez-faire e della mano invisibile in grado di conseguire autonomamente la composizione di interessi personali contrastanti conseguendo così, automaticamente, l’ordine sociale.

     A queste correnti che riducono l’operosità dell’uomo al solo dettato dell’interesse personale e che hanno ridotto l’uomo ad essere rappresentato solo come homo oeconomicus, la rivista gesuitica risponde con padre Brucculeri che contrappone a questa economia “amorale, anumana, meccanizzata” la nozione di economia come “scienza dell’ordine sociale della ricchezza”. Quest’ultima studia i rapporti umani rivolgendosi all’azione, ossia alle diverse manifestazioni della libertà proprie della persona, non riducendosi a mera scienza che descrive ciò che è, ma dovendo essere subordinata alla morale è in grado di indicarle ciò che deve essere.         

     Sulla base delle sue profonde convinzioni nei temi di carattere economico “La Civiltà Cattolica” non si esime dal criticare e contrastare i numerosi assunti economici (sorretti da forti ideologie in grado di condizionare politiche e strategie economiche) che, nel corso degli anni in cui la rivista cattolica ha espresso le sue considerazioni, si sono manifestate.

     Il neoliberismo, ad esempio, pur neutralizzando il precedente neutralismo morale tipico del liberalismo classico (consentendo, infatti, un intervento statale a tutela della concorrenza, misure per impedire la concentrazione di potere ed un sostegno ai soggetti non in grado di provvedere a se stessi), esita ancora ad umanizzare l’economia ricorrendo al mezzo meccanico della libera concorrenza che non tiene conto né del primato della gerarchia dei valori, né della posizione privilegiata dell’uomo. Pur condividendo l’obiettivo di una più larga diffusione della proprietà privata (soprattutto media e piccola), i padri gesuiti, che vorrebbero un’economia “ad ispirazione morale e religiosa”, contestano alla scuola neoliberale gli strumenti utilizzati, ossia una concezione della libertà ristretta unicamente alle cosiddette libertà negative (che non tengono in considerazione i condizionamenti che arrivano all’uomo “dall’intimo della sua essenza” e non dall’esterno), al rigido monetarismo e dal rifiuto di ogni politica redistributiva. Verranno così respinte anche le tesi monetariste e gli assunti economici del professor Milton Friedman confermando ulteriormente l’opposizione “storica” che “La Civiltà Cattolica” ha sempre avuto nei confronti del liberalismo e dei suoi emuli.

     Anche la battaglia messa in atto dai gesuiti contro la filosofia di Karl Marx, cui dichiarano di ispirarsi i regimi comunisti in molti paesi dell’Est Europa e dell’Asia nel secondo dopoguerra, non sarà da meno. È tuttavia possibile distinguere tre fasi di analisi che la rivista cattolica fa al pensiero del filosofo di Treviri:

1)      La prima fase è quella che possiamo definire politico-filosofica perché risulta più incentrata sull’analisi della inscindibilità fra dottrina marxiana e comunismo. Essa guarda con scarsissimo credito alle tesi economiche di Marx. Per usare le parole del già citato padre Brucculeri, che per la verità in questo passaggio sembra ignorare il fatto che la teoria del valore lavoro risalga a Smith e Ricardo, le tesi marxiste “riducono l’uomo ad un coacervo di materia e gli attribuisce valore soltanto per la possibilità di produzione; in questo modo, essa finisce per produrre la più dissennata inversione dei valori, esigendo deterministicamente la subordinazione della persona all’attività lavorativa – e, quindi, in ultima analisi, al dispotismo della società, che di tale lavoro è l’organizzatrice – come il mezzo al suo fine”.

2)      La seconda fase e quella che segue il Concilio Vaticano II e che vede “La Civiltà Cattolica” porre a confronto i principi e gli insegnamenti del cristianesimo con la dottrina marxista. Si cerca di capire se sia possibile conciliare le due visioni del mondo misurando il significato di valori e di termini (es. libertà, giustizia, concetto di valore, eccetera) che solo nominalmente il filosofo renano condivide con il cristianesimo. L’insanabile distanza tra questi due modi di vedere le cose è dovuta alla “negazione di ogni Trascendenza assoluta; da qui deriva il paradosso per cui mentre, da un lato, l’uomo viene eletto a <<fine supremo>>, dall’altro, rimane subordinato <<all’evoluzione della materia>> e al determinismo delle condizioni economiche, ciò che finisce per tradire le esigenze più autentiche dell’umanesimo marxiano”. 

3)      Nell’ultima fase – nella quale nuovi teologici sostituiscono Brucculeri si assiste ad un recupero più propriamente economico del pensiero di Marx. Questo fenomeno è innescato anche dal fallimento della formulazione marginalistica di utilità che ha lasciato irrisolto il problema dello sviluppo economico nei paesi del Terzo Mondo. A questo proposito “La Civiltà Cattolica” non manca di aprire un dibattito sulla legge di impoverimento descritta dal filosofo renano secondo la quale nel lungo periodo i salari tendono ad abbassarsi con un andamento divergente rispetto ai profitti. Tuttavia, a questa tesi, il gesuita padre Aloysius Fonseca ribatterà negli anni ’80 sostenendo che “la trasformazione dell’economia odierna in economia mista, caratterizzata da una massiccia presenza dello Stato, l’affermazione di potenti sindacati che hanno contribuito ad elevare i livelli salariali, a ridurre gli orari di lavoro e a garantire ulteriori benefici sociali, fino a giungere alla partecipazione agli utili e alle decisioni industriali, impediscono di ritenere ancora valide le <<generalizzazioni marxiane>> e di accettare la <<visione manichea>> delle due sole classi contrapposte”. Le tesi di Marx in definitiva risultano essere incapaci – secondo i gesuiti – di risolvere quelli che sono i problemi presenti nei paesi economicamente avanzati (inflazione, recessione, eccetera), ne quelli dei paesi in via di sviluppo che non dipendono solo da fattori economici (la relazione intrinseca fra profitti e salari di cui parlava Marx), ma da tutta una serie di mancanze quali la corruzione, la mancanza di tecnologie, l’assenza di democrazia, il problema dell’esplosione demografica e tanti altri problemi ancora.

     Nei confronti di un’altra grande teoria, che ha influenzato notevolmente l’economia mondiale aprendo un nuovo capitolo nella storia della scienza economica, “La Civiltà Cattolica” ha sempre accordato un largo consenso. Ci si riferisce alle indicazioni di politica economica suggerite dalla Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di John Maynard Keynes. Una teoria, quella del promotore della politica del deficit spending, che inizialmente non fu accettata esplicitamente dai gesuiti per evitare di approvare in maniera esplicita un’apertura a sinistra del mondo cattolico che, negli anni sessanta, “La Civiltà Cattolica” contrastava fermamente. Di questa dottrina la rivista condivideva sia l’idea di piena occupazione, sia il suo carattere di economia mista in cui non vi è l’assoluta sovranità dello Stato e, al contempo, viene attenuata quella dell’individuo. Verso la fine degli anni ’70 i problemi della disoccupazione e del debito internazionale rendono “urgente e importante”, secondo la rivista gesuitica, un recupero della dottrina keynesiana soprattutto nel rifiuto della neutralità della moneta, dell’identificazione del tasso d’interesse come variabile dipendente da fenomeni monetari e dell’esigenza di un autorità monetaria internazionale finalizzata a garantire prezzi stabili, bassi saggi d’interesse e creare maggiori condizioni di fiducia.           

 

III.Nuovi modelli del rapporto tra etica ed economia

     Da quanto finora detto sulle posizioni che “La Civiltà Cattolica” assume nei confronti delle teorie di ispirazione neoliberale, marxiana e keynesiana si evince come, per la rivista dei padri gesuiti, sia prioritario nel valutare la “morale” di una teoria economica, che queste siano in grado di cogliere il momento economico con i suoi fatti e problemi salienti, prescindendo da illazioni di tipo ideologico e con una spiccata attenzione per i bisogni globali dell’uomo.

     In questa prospettiva risulta scontato il rifiuto de “La Civiltà Cattolica” nei confronti delle tesi del professor John Hicks che analizza i fatti economici con gli strumenti propri dello storico. Un tentativo questo che viene rigettato da padre Aloysius Fonseca in quanto basata su una impostazione che nega e reputa irrilevante, per l’economista, le responsabilità della scelta dell’uomo e rende l’economia una scienza puramente empirica. Per Fonseca il punto centrale è “che le scelte devono essere compiute” e “dovunque c’è una scelta c’è sempre implicita una componente etica”.

     In questa prospettiva è il professor Amartya K. Sen, già docente in molte prestigiose università internazionali, che con lodevoli sforzi intende reinserire alcune considerazioni etiche fondamentali, cercando di focalizzare l’attenzione sull’importante legame fra etica ed economia, all’interno di una scienza economica che cerca di essere estranea a tutti i valori umani ed è interessata unicamente all’efficienza e ai risultati positivi. Proprio per questa ragione la rivista gesuitica si mostrerà sempre vicina a gran parte delle analisi di questo autore che “contesta l’inadeguatezza della concezione utilitaristica e il suo radicamento profondo non solo nei consueti assiomi economici, ma anche negli stessi criteri etici che dovrebbero ispirare l’economia del benessere: l’esclusione dei confronti impersonali di utilità, infatti, favorita dall’identificazione dell’ottimizzazione paretiana con l’efficienza economica, finisce per impoverire ulteriormente l’economia del welfare, precludendo, in tutti i più disparati casi di ottimo in senso paretiano, una più attenta considerazione <<morale>> degli aspetti distributivi”. L’economista indiano  cerca anche di sostenere che la “facoltà di agire” della persona (con la capacità di realizzare obiettivi, valori e obblighi) consente di interpretarne il benessere in un senso più ampio del mero interesse privato. In questo modo “da un lato, si impone una concezione del risultato sociale collegato all’etica, che reintroduce una valutazione del bene comune, in opposizione a ogni soggettivismo individualista; dall’altro, la soddisfazione della persona richiede una concezione non puramente strumentale della libertà, ma idonea ad affermare il suo valore intrinseco”. 

     Il premio Nobel per l’economia che nel 1998 Sen riceve, fa aumentare ancora di più la stima che “La Civiltà Cattolica” nutre per questo autore e non esita a parlare di “svolta” da parte del Comitato giudicante di Stoccolma che fino a quel momento aveva attribuito premi solo ad economisti di stampo liberista. Per padre Spillane l’autore indiano “ha portato ad un approccio umano al terreno arido e distaccato degli studi economici e a restituire una dimensione etica alla discussione”. Sen ha anche riaffermato il tema della teoria della scelta collettiva e del ruolo dello Stato in importanti settori come l’istruzione e l’assistenza, con un’attenzione alla comunità e alle ONG come strumenti per raggiungere il benessere.

 

IV.Considerazioni finali

     Da quanto finora è stato detto è facile comprendere come per “La Civiltà Cattolica” l’economia non solo abbia il compito di creare tutte le condizioni affinché l’uomo possa più agevolmente perseguire la propria vocazione, ma, allo stesso tempo, essa è anche il luogo in cui la persona vive questa vocazione. Per usare le parole dell’Enciclica Laborem exercens del 14 settembre 1981, l’essere umano diviene “autore, centro e fine” della vita economica e sociale. Nel porsi costantemente la domanda di quale sia il bisogno dell’uomo e come si garantisca la soddisfazione di tali bisogni, è possibile identificare diversi elementi di opposizione rispetto ad assunti di importanti teorie economiche (si pensi al non interventismo statale auspicato dal liberalismo e, all’opposto, il centralismo e l’abolizione della proprietà privata sostenuta dal marxismo), riconoscendo anche il fondamento di tale opposizione. Un fondamento che risulta essere prima di tutto di ordine teologico-morale. È su questa base che avviene il confronto con le dottrine economiche anche se, come spesso accade, la rivista gesuitica non esita a lanciare giudizi di ordine tecnico e valutazioni di ordine teoretico. Alle dottrine economiche si chiede di rispondere alle domande sopra viste che riguardano la vita dell’uomo, la cosa che la rivista dei gesuiti colloca a base della sua ricerca.                     

 

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