Il futuro delle regole fiscali europee e la “solitudine” dei riformisti

Gianfranco Viesti ritiene che per il futuro dell’Italia nel prossimo decennio saranno decisive le regole di finanza pubblica nell’area euro sulla riforma delle quali, dopo la loro sospensione, è in corso una discussione di grande interesse, tecnico e politico. Viesti richiama, però, l’attenzione anche sul fatto che il programma Next Generation EU rappresenta già una cesura significativa, non solo per il suo finanziamento comunitario, ma anche per le indicazioni comuni in termini di politiche pubbliche e per l’allocazione territoriale delle risorse.

Quali saranno le regole europee sulle finanze pubbliche degli stati membri negli anni Venti, dopo la sospensione di quelle attuali a causa della pandemia? Fra i tanti elementi di incertezza del tempo che stiamo vivendo, questo interrogativo emerge come uno dei più importanti. Per motivi ben noti. Per la straordinaria rilevanza che queste regole hanno avuto nel decennio appena concluso in molti paesi europei, a cominciare dall’Italia, come documentato da una vasta messe di studi fra cui particolarmente ampi e convincenti quelli dello storico americano Adam Tooze. E per il forte incremento che l’indebitamento pubblico sta conoscendo in tutto il mondo a causa degli interventi di mitigazione dell’impatto economico del coronavirus. Una riedizione delle regole degli anni Dieci, ed in particolare di quelle relative all’obbligo di progressiva riduzione nel tempo del debito, potrebbero consegnare l’intero continente ad un indefinito periodo di stagnazione. Ma come cambiarle? Con quale consenso politico e quale soluzione tecnica?

Sono interrogativi ai quali è impossibile per ora rispondere. Ma già che ci sia discussione intorno a questi temi è importante. Di grande interesse è il confronto che sta avendo luogo nel mondo mitteleuropeo. Il brillante economista del WIIW di Vienna Philipp Heimberger ha ad esempio recentemente pubblicato un commento durissimo ad un’intervista alla Neue Zurcher Zeitung dell’iper-conservatore Hans Werner Sinn. Tema specifico di discussione le cause di politica economica dell’ascesa al potere di Hitler: contrastando la lettura di Sinn secondo la quale era stato il processo inflazionistico degli anni Venti ad aprire la strada al nazismo, Heimberger argomenta come invece esso sia stato favorito dalle politiche deflazionistiche del cancelliere Bruning. Ma i due stanno in realtà discutendo dei pericoli nel futuro della Germania e dell’Europa: se sia più da temere una ripresa del processo inflattivo dovuto a politiche troppo espansive, o una persistente depressione legata a indirizzi troppo restrittivi. Così come molto interessante è l’opera di sistematica demolizione dei contenuti di uno dei testi di economia di indirizzo neoclassico maggiormente diffusi nelle università americane ed europee, alla base delle teorie dei “rigoristi”, ad opera di Peter Bofinger. Sono confronti molto importanti, perché possono influenzare i, decisivi, indirizzi dell’opinione pubblica tedesca. Al momento le grandi organizzazioni internazionali non hanno dubbi sulla circostanza che si debba continuare con politiche espansive, come argomentato con forza dalla capo-economista dell’Ocse Laurence Boone in una intervista al Financial Times che ha avuto vasta eco. Ma dopo?

Per ricostruire il lungo percorso che ci ha portati alle regole attuali e per capire quali potrebbero essere quelle future, resta di grande utilità la lettura de La Riconquista di Francesco Saraceno, sul quale il Menabò ha già pubblicato un intervento dell’autore che ne riassume le principali tesi. D’altra parte sia il sottotitolo del libro “perché abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela” sia la citazione iniziale (“Si.. può.. fare!, tratta dal film Frankenstein Junior) ne illustrano con chiarezza contenuti e finalità. Per ragionare del futuro è infatti indispensabile ripercorrere con attenzione e profondità il passato, ed è quello che Saraceno riesce in poco più di duecento pagine, a fare. Il libro parte ricostruendo l’egemonia culturale all’interno della quale sono maturate le convinzioni dottrinali che sono alla base dell’euro (e per questo, insieme alla sintesi di Saraceno, resta sempre di grandissimo interesse rileggere le riflessioni che andava maturando nel tempo uno dei protagonisti di quelle vicende, Tommaso Padoa Schioppa). Il libro racconta poi le vicende che hanno portato al consolidamento delle politiche di austerità e ai loro effetti, per argomentare convincentemente di come quella non sia una strada obbligata per mantenere la costruzione europea. Discute infine dei possibili contenuti di un insieme diverso di regole, dalla proposta del sussidio di disoccupazione europeo, al completamento dell’unione bancaria. Lo stesso Saraceno insieme ad Alberto Quadrio Curzio ha formulato una interessante proposta su politiche europee in materia sanitaria. Arriva infine al cuore del problema, le regole di bilancio, e presenta e discute i contenuti del Rapporto dello European Fiscal Board e dell’idea dei “fiscal standard” di Blanchard.

La discussione è agli inizi, ma il programma Next Generation EU (NGEU), arrivato alla sua approvazione definitiva con il varo delle nuove Prospettive Finanziarie dell’Unione Europea, rappresenta comunque un cambiamento di grande rilevanza, che può influenzare le scelte future. E’ bene non farsi troppe facili illusioni: tutto può cambiare nei prossimi anni, e le politiche tornare su importazioni più “austere”. Ma intanto il NGEU è importante. Anche perché rappresenta un investimento politico del governo tedesco: scaturisce da una forte presa di posizione della Cancelliera Merkel (la cui conferenza stampa con Macron ha preceduto il vertice europeo); si è concretizzato durante il semestre di presidenza tedesco e con una presidenza tedesca della Commissione. E in questo progetto ci sono almeno tre elementi che vanno sottolineati.

Il primo, sul quale si è principalmente e a ragione concentrata l’attenzione, è relativo al suo finanziamento grazie ad un indebitamento supplementare da parte della Commissione Europea a valere sui contributi degli stati membri al bilancio comunitario. Il rientro di questo debito è stato molto dilazionato nel tempo. Ma c’è di più: la Commissione, d’intesa con il Consiglio, sta lavorando per rivedere l’intero meccanismo di finanziamento delle politiche comunitarie, le “risorse proprie”, con la prospettiva di incrementarle in futuro, anche annullando le necessità di rimborso da parte degli stati membri. Si tratta per la prima volta di un indebitamento comunitario, per quanto al momento eccezionale e a termine.

Ma ci sono anche altri due aspetti degni di nota. Le risorse del Next Generation devono essere utilizzate dagli stati membri tenendo conto di alcuni indirizzi generali decisi dalla Commissione, e con precise indicazioni quantitative relative agli obiettivi dello European Green Deal e della digitalizzazione della società e dell’economia europea. Si tratta cioè di strumenti finanziari che in misura rilevante provano a rendere concrete politiche decise a livello comunitario. Su questa scala è la prima volta che ciò accade. E’ bene ricordare che una grande iniziativa comunitaria, la Strategia di Lisbona avviata nel 2000, si rivelò ben presto un fallimento (come documentato dal Rapporto Kok sin dal 2004) non solo per i suoi obiettivi vaghi e ambiziosi, ma anche perché basata esclusivamente sull’esortazione all’utilizzo da parte degli stati membri delle proprie risorse, accompagnata da meccanismi di “coordinamento aperto” assai laschi. La stessa strategia Europa 2020, pur prevedendo obiettivi quantificati e meccanismi annuali di reporting, si è scontrata con la mancanza di risorse comunitarie dedicate e quindi con i vincoli di bilancio in molti paesi, a cominciare dall’Italia. Lo stesso accade da tempo per i Trans European Network, il cui finanziamento è, daccapo, in misura nettamente prevalente discrezionale, e a carico delle autorità nazionali. La più rilevante politica comunitaria diretta è rappresentata dalle politiche di coesione: ma essi intervengono su ambiti estremamente ampi, e non sono certamente in grado di tradurre su tutto il territorio dell’Unione precise scelte di indirizzo. Lo stesso vale per i programmi di ricerca (in questo ciclo di programmazione all’interno di Horizon): essi producono un valore aggiunto comunitario per la scelta dei grandi temi e per le norme che favoriscono la partecipazione di soggetti provenienti da più paesi; ma la loro dotazione è ben più piccola anche rispetto alle politiche di coesione. E queste ultime, in termini di risorse/anno, mobilitano un ammontare pari a circa un quarto di quelle del Next Generation.

Terzo ed ultimo importante elemento è che l’allocazione delle risorse del Next Generation non è proporzionale alla popolazione, ma basata su indicatori che tengono conto tanto delle difficoltà strutturali dei singoli paesi (ad esempio in termini di disoccupazione) quanto dell’intensità delle ricadute economiche della crisi pandemica. Le risorse comunitarie mobilitate anche in base alla proposta politica tedesca, e agli impegni del governo tedesco nel finanziamento del bilancio comunitario, cioè, sono indirizzate in misura più che proporzionale fuori dalla Germania. Si tratta di una scelta politica che recupera le ragioni originarie del progetto europeo: il maggior benessere per tutti scaturisce dall’integrazione e dall’interdipendenza economica fra i partner. E di una scelta coerente con gli interessi di lungo termine dello stesso paese, dato che la spesa fuori dai suoi confini, come già accade per le politiche di coesione finisce con il generare ricadute molto ampie sull’economia tedesca. Ma una scelta politicamente nient’affatto ovvia, in tempi di sovranismi e nazionalismi dilaganti; e di tentazioni mercantiliste, particolarmente forti proprio in Germania. Con il Next Generation la Cancelliera Merkel mostra di avere ben chiaro che il benessere dei tedeschi dipende in misura cruciale dalla collocazione in uno spazio economico europeo con una buona dinamica di crescita, senza inaccettabili disuguaglianze fra i paesi.

Come sottolinea anche Saraceno nel suo volume, si tratta di scelte politiche di fondo assolutamente diverse da quelle prese in particolare nel 2011, a seguito dell’esplodere della crisi dell’euro. E’ assai prematuro ipotizzare che esse prefigurino un definitivo allontanamento dalla “pericolosa” idea dell’austerità; ma certamente disegnano uno scenario del tutto inimmaginabile solo un anno fa.

Scenario che impone all’Italia responsabilità nuove. Non solo, com’è ovvio, nel miglior utilizzo delle risorse del Next Generation per mostrare come politiche di investimento possano davvero produrre un effetto moltiplicativo sulla crescita e quindi favorevole ad una riduzione del rapporto debito/PIL. Ma anche in una partecipazione più matura e intensa al dibattito europeo: non dimentichiamo che negli ultimi anni l’Italia si è caratterizzata per la presenza di due contrapposti squadroni di “sovranisti” e “euro-entusiasti” fautori dell’austerità e del vincolo esterno alla politica economica italiana, entrambi tanto chiassosi sui mezzi di comunicazione quanto estremi nelle loro tesi, inutili per un produttivo confronto delle idee. I riformisti, come nota Saraceno nel suo libro, hanno sofferto una condizione di “solitudine”: è il momento che facciano sentire ben più forte la loro voce.

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