Il codice del capitale

Pubblichiamo la traduzione di vari passi estratti dal primo capitolo del libro di Katharina Pistor The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequality in corso di pubblicazione per la Princeton University Press. Pistor sostiene, in particolare, che per comprendere la disuguaglianza occorre interrogarsi sul modo nel quale viene creato il capitale. Nella sua originale interpretazione, per rispondere occorre guardare ai processi giuridici che trasformano in capitale risorse di varia natura che, in se stesse, non sono necessariamente dotate di valore economico.

(….) Gli anni ’80 hanno visto nei paesi, sia sviluppati che emergenti, un’impennata di riforme economiche e legali che hanno dato priorità al mercato, rispetto allo stato, nell’allocazione delle risorse economiche (….). L’idea era creare condizioni di maggiore prosperità per tutti (….)

Trent’anni dopo, invece di celebrare la prosperità per tutti, stiamo discutendo se la disuguaglianza ha già raggiunto, o ancora no, il livello che aveva prima della rivoluzione francese. E si tratta di paesi che si definiscono democrazie ed aspirano ad essere governati sulla base di regole maggioritarie, non elitarie. E’ difficile conciliare questa aspirazione con livelli di disuguaglianza da Ancien Régime.

Naturalmente le spiegazioni non mancano. Per i marxisti la causa è lo sfruttamento del lavoro da parte dei capitalisti. Per i critici della globalizzazione, quest’ultima, con i suoi eccessi, ha reso impossibile agli stati nazionali redistribuire una parte dei redditi dei capitalisti, attraverso programmi sociali o imposte progressive. Infine, secondo una recente interpretazione (T. Piketty, Capital in the 21st Century, 2014) il problema sta nel fatto che il capitale cresce più velocemente del resto dell’economia (…..). Queste spiegazioni, benchè plausibili, non affrontano la questione di fondo che riguarda la genesi del capitale. Come viene originariamente creato? Perché esso esce indenne da cicli economici e shock avversi che, invece, procurano a tanti gravi problemi?

La mia tesi è che la risposta a queste domande sta nel codice legale del capitale.

Fondamentalmente, il capitale si compone di due elementi: una risorsa e un codice legale. Con il termine “risorsa” indico qualsiasi oggetto, qualsiasi titolo di pretese, qualsiasi abilità o idea, indipendentemente dalla forma che assumono. Può trattarsi di un pezzo di terra, di un edificio, della promessa di ricevere un pagamento, dell’idea di un nuovo farmaco o della stringa di un codice digitale.

Accoppiata all’appropriato codice legale, ognuna di queste risorse può trasformarsi in capitale, accrescendo enormemente la capacità di chi la detiene di accumulare ricchezza.

L’elenco delle risorse legalmente codificate è cambiato nel tempo e probabilmente continuerà a cambiare. La terra, le imprese, i debiti e la conoscenza sono stati tutti codificati, in passato, come capitale. Come mostra questo elenco c’è stata evoluzione nelle caratteristiche delle risorse divenute capitale. La terra produce cibo e dà riparo anche in assenza di una codificazione legale, ma gli strumenti finanziari e i diritti di proprietà intellettuale esistono solo grazie alla legge e per i beni digitali in codice binario la risorsa è il codice stesso.

Eppure, i dispositivi legali che sono stati utilizzati per la codificazione di ognuna di queste risorse non sono cambiati. I più importanti sono il diritto commerciale, i diritti di proprietà, i diritti delle garanzie reali, i diritti patrimoniali, il diritto societario e fallimentare. Questi sono i moduli attraverso cui il capitale viene codificato. Essi conferiscono attributi importanti alle risorse e creano i seguenti privilegi per i loro detentori: la Priorità, che definisce l’ordine tra coloro che avanzano pretese sulle stesse attività; la Durevolezza, che estende i titoli di priorità nel tempo; l’Universalità, che li estende nello spazio; e la Convertibilità, che funziona come un dispositivo assicurativo che permette di convertire i crediti privati in moneta legale su richiesta dei titolari e quindi ne protegge il valore nominale, perché soltanto la moneta a corso legale può essere una vera riserva di valore (……).

Una risorsa, dopo che è stata codificata legalmente, è pronta a generare ricchezza per il suo detentore. La codificazione giuridica del capitale è un processo ingegnoso senza il quale il mondo non avrebbe mai raggiunto l’odierno livello di ricchezza; eppure quel processo è rimasto largamente nascosto alla vista.

Con questo libro mi auguro di fare luce su come la legge aiuta a creare sia la ricchezza sia la disuguaglianza. Individuare le cause profonde della disuguaglianza è una questione di cruciale importanza, non soltanto perché la crescente disuguaglianza minaccia il tessuto sociale dei sistemi democratici, ma anche perché la tradizionale redistribuzione attraverso le imposte è divenuta largamente inefficace. Infatti, proteggere le proprie attività dalle imposte è una delle strategie di codificazione più ricercate da chi le detiene. E gli avvocati, maestri del codice, vengono lautamente pagati per collocare, con l’aiuto delle leggi degli stati, le risorse al di fuori della portata dei creditori, tra i quali rientrano le autorità fiscali.

(…) Capitale è un termine che usiamo costantemente, ma il suo significato rimane oscuro (….) Per alcuni, il capitale è un oggetto tangibile o un “oggetto fisico”. Molti economisti e aziendalisti insistono sul fatto che il capitale deve essere tangibile; se non si può toccare, non è capitale. Per altri è uno dei due fattori di produzione; o solo una grandezza contabile. Per i marxisti, il capitale è il cuore dei rapporti sociali conflittuali tra il lavoro e i suoi sfruttatori, proprietari di quei mezzi di produzione che danno il potere di estrarre il surplus dal lavoro. Anche la storiografia del capitalismo non fa molta chiarezza. La nostra età post-industriale è stata etichettata alternativamente, età della finanza o del capitalismo globale.

Se i concetti di capitale e capitalismo sono così confusi è perchè l’aspetto esteriore del capitale nel corso del tempo è cambiato radicalmente, così come le relazioni sociali che ne sono alla base. In questo contesto, ci si potrebbe anche chiedere se abbia senso raggruppare epoche storiche che differiscono così profondamente l’una dall’altra sotto la comune etichetta di “capitalismo”. In questo libro sosterrò che possiamo, anzi dobbiamo, farlo. Ma la giustificazione richiede di scavare più a fondo nel processo di formazione del capitale stesso.

Anzitutto, è fondamentale sottolineare che il capitale non è una cosa; né può essere limitato a un determinato periodo di tempo, a un regime politico o a un solo insieme di relazioni sociali antagonistiche, quelle tra proletariato e borghesia. I modi di manifestarsi del capitale e del capitalismo sono drasticamente cambiati ma il codice che origina il capitale è rimasto praticamente invariato. Molte delle istituzioni giuridiche che usiamo ancora oggi per codificare il capitale sono state inventate nel feudalesimo (….)

Anche gli esseri umani possono essere codificati come capitale (…) Infatti, con un po’ di ingegneria legale, il lavoro (L) può facilmente essere trasformato in capitale (K). Molti freelance, ad esempio, hanno scoperto che possono capitalizzare il proprio lavoro creando una società, alla quale forniscono i propri servizi in natura e da cui prelevano dividendi, come gli azionisti delle società, in luogo del pagamento di uno stipendio – beneficiando di un’aliquota fiscale più bassa. L’unico input nella produzione della società è il lavoro che con la codificazione legale viene trasformato in capitale. Definire il capitale come ‘non-umano’ è in contrasto anche con l’affermarsi dei diritti di proprietà sulle idee e la conoscenza, nella forma di brevetti, diritti d’autore e marchi di fabbrica spesso denominati nel loro insieme ‘diritti di proprietà intellettuali’. Cosa è tutto questo se non la codificazione legale dell’ingegno umano?

(….) Per apprezzare appieno la versatilità del capitale, dobbiamo andare oltre le semplici classificazioni e capire come il capitale acquisisca le sue qualità distintive. Gli economisti del ‘vecchio istituzionalismo’ sono andati vicini a farlo, ma i loro contributi sono stati largamente dimenticati. Thorstein Veblen, per esempio, ha sostenuto che una risorsa è capitale se possiede la “capacità di produrre rendimenti”. E nel suo fondamentale libro The Legal Foundations of Capital John Commons ha definito il capitale come “il valore attuale dell’atteso comportamento favorevole” di altri soggetti. Nella sua interpretazione, la legge è fondamentale per rendere più affidabile il comportamento atteso degli altri. Commons ha anche mostrato come alla fine del XIX secolo i tribunali statunitensi hanno esteso la nozione di diritti di proprietà dal diritto di usare un oggetto escludendo altri, alla protezione delle aspettative dei possessori delle risorse sui loro futuri rendimenti. In conseguenza di ciò, le aspettative potevano essere non soltanto tassate ma anche scambiate e re-investite. E a chi avesse interferito con questi interessi – stato incluso – poteva essere richiesto il risarcimento dei danni.

Portando questa linea di ragionamento alla sua logica conclusione, Jonathan Levy definisce il capitale come una “proprietà legale a cui è assegnato un valore pecuniario nell’aspettativa di un probabile futuro reddito pecuniario”.   In breve, il capitale è una qualità giuridica che aiuta a creare e proteggere la ricchezza.

Questo libro illustrerà il modo in cui gli attributi giuridici critici si innestano sulle risorse e il lavoro che le principali istituzioni giuridiche, i moduli del codice, hanno svolto per secoli nella creazione di nuovi beni capitali. Se si riconosce che il capitale deve la sua capacità di creare ricchezza alla sua codificazione legale, si comprende perché, in linea di principio, qualsiasi risorsa può essere trasformata in capitale. In quest’ottica, non c’è nulla di nuovo nel “nuovo capitalismo”. Il volto mutevole del capitalismo, compreso il suo recente passaggio alla “finanziarizzazione”, può essere spiegato con il fatto che le vecchie tecniche di codificazione prima applicate alle risorse reali, come la terra, ora si applicano a quelle che gli economisti amano chiamare “finzioni legali”: risorse protette da veli societari o da cartelli e beni immateriali creati dalla legge.

(…) La storia del capitale e del suo codice giuridico è complicata, in quanto i moduli utilizzati sono complessi e nascosti nelle leggi o in una giurisprudenza arcana e la trama spesso si sviluppa nel chiuso di grandi studi legali, quasi mai raggiungendo le aule di un tribunale o del parlamento (….).

Scegliere le attività e dotarle degli attributi legali di Priorità, Durevolezza, Universalità e Convertibilità equivale a controllare le leve della distribuzione della ricchezza nella società. Questa affermazione contrasta con la classica argomentazione secondo cui le economie capitalistiche sono caratterizzate da mercati liberi che allocano le risorse scarse in modo efficiente e i prezzi riflettono il valore fondamentale delle risorse.

Molti studiosi di diritto hanno richiamato l’attenzione sul fatto che il funzionamento del mercato si basa su istituzioni giuridiche che facilitano la “scoperta” dei prezzi. Io mi spingo oltre e sostengo che la codificazione giuridica è alla base del valore delle risorse e, quindi, sia della creazione che della distribuzione della ricchezza. Nel caso delle attività finanziarie e dei diritti di proprietà intellettuale, che non esistono al di fuori della legge, ciò è del tutto evidente. Ma vale anche per risorse meno complesse che sono state i prototipi della codificazione legale, come la terra o             quel fascio di risorse che nel loro insieme costituiscono un’impresa.

Gli stati e le loro leggi sono fondamentali per la codificazione del capitale. Gli stati non hanno soltanto smantellato i diritti e i privilegi esistenti per fare spazio al potere delle forze di mercato, come ha sostenuto Karl von Polanyi. Senza i loro poteri coercitivi, il capitale e il capitalismo non esisterebbero.

Gli stati spesso non controllano – e non occorre che lo facciano – il vero e proprio processo di codificazione giuridica. Infatti, laddove si creano quotidianamente nuovi diritti sul capitale, cioè nelle stanze degli studi legali, gli stati occupano un posto secondario. Essi forniscono, però, agli avvocati gli strumenti da utilizzare nella creazione del capitale e assicurano il rispetto dei diritti del capitale. Talune strategie di codificazione sono oggetto di contestazione e un piccolo numero di esse potrà anche essere eliminato. La maggior parte non è sottoposta ad alcun vaglio o, eventualmente, lo supera; le poche eliminate hanno, comunque, fatto in tempo a permettere ai possessori del capitale di accumulare molta ricchezza.

La possibilità di applicare i moduli del codice a un insieme di risorse in evoluzione fa degli avvocati i veri padroni del codice del capitale. In linea di principio, chiunque può servirsi degli avvocati e delle loro capacità di codificazione, ma i più abili tra loro sono accessibili soltanto a chi può permettersi di pagarli molto.

Raramente si esamina in dettaglio come vengono individuate le risorse da codificare. Nella usuale raffigurazione la legge appare quasi inviolabile e ciò impedisce di percepire che questo lavoro si svolge sempre più negli studi legali privati, e sempre meno nei parlamenti o perfino nelle aule di tribunale.

La volontà degli stati di riconoscere e far rispettare il capitale codificato privatamente – o perfino di promuoverlo riconoscendo strategie di codificazione innovative e estendendo le tipologie di risorse che possono essere codificate come capitale – può apparire sconcertante. Molti stati si sono convinti che espandendo le opzioni legali a cui alcuni possono avere accesso – anche offrendo loro esenzioni dalle leggi generali e altri privilegi – la “torta” si allargherà e tutti potranno godere di maggiore prosperità. Troppo tardi, e non sempre, si rendono conto che l’ampliamento è limitato e, soprattutto, che la maggior parte dei benefici derivanti dal capitale non ‘sgocciolano’ verso il basso, ma ‘risalgono’ verso l’alto, permettendo di riportare in patria i rendimenti del capitale o di proteggere questi ultimi dalle imposte o dalle pretese di altri creditori consentendo loro di sfruttare gli scudi legali previsti da altre giurisdizioni.

Inoltre, gli stati stessi hanno più da guadagnare che da perdere privilegiando il capitale e sostenendo gli sforzi privati per codificarlo. La crescita economica sostiene le loro entrate fiscali e rende più facile finanziarsi con l’indebitamento. Il destino dei governi, in particolare nelle democrazie, è sempre più strettamente legato ai tassi di crescita dell’economia e agli indici di borsa, invece che alla distribuzione della ricchezza o agli indici di sviluppo umano (….).

Tuttavia, molti stati si sono resi conto che il potere dell’arma fiscale è stato fiaccato da sofisticate strategie di codificazione legale che permettono alle risorse di trovare sicuri ripari. Più in generale, la promozione degli interessi del capitale accresce in primo luogo, e soprattutto, la ricchezza privata di alcuni, non necessariamente quella nazionale, e quindi favorisce la disuguaglianza. Per capire perché sia così, occorre decodificare le strutture giuridiche del capitale.

* Questo articolo è estratto e tradotto dal primo capitolo di The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequality di Katharina Pistor. Copyright by Katharina Pistor. Pubblicato da Princeton University Press nel 2019. Ristampato con autorizzazione.

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