Il “caro” asilo nido

Roberto Fantozzi dopo aver ricostruito l’evoluzione della normativa italiana sugli asili nido, esamina i loro costi nelle diverse regioni italiane e il loro rapporto con i redditi familiari. Fantozzi mostra che il costo degli asili nido è fortemente variabile a livello regionale e che spesso il reddito delle famiglie che non utilizzano gli asili nido è maggiore di quello delle famiglie che lo utilizzano. Egli illustra anche altri aspetti del rapporto tra disuguaglianze e costo degli asili che sembrano meritevoli di approfondimento.

Di asili nido, si parla molto poco e il silenzio che li avvolge viene rotto quasi soltanto quando diventano sede di spiacevoli fatti di cronaca. In questa scheda tralasciamo la cronaca e ci occupiamo, invece, degli aspetti legati alla funzione di servizio per la prima infanzia svolta dagli asili nido e di come questo servizio possa determinare, in alcuni casi, effetti indesiderati. In particolare ci chiederemo se gli asili nido che molto spesso non sono “cari” ai bambini che li frequentano lo siano invece (in termini economici) per i loro genitori.

Dopo aver ripercorso le principali tappe dell’evoluzione normativa del sistema degli asili nido in Italia, presenteremo alcune evidenze empiriche che emergono dal confronto tra i dati dell’ultima rilevazione dell’Istat sull’offerta comunale di asili nido e quelli dell’indagine campionaria sulle famiglie italiane “Reddito e condizioni di vita” condotta nel 2013 (IT-SILC).

La prima forma di assistenza all’infanzia, fornita dalla Stato, può essere fatta risalire al periodo fascista con l’istituzione dell’OMNI (Opera nazionale maternità e infanzia fondata nel 1925 e sciolta nel 1975) che aveva, però, natura puramente assistenziale. Successivamente, nel 1950 vennero istituite presso le imprese le “camere di allattamento” (legge 860 del 1950), mentre nell’era repubblicana il primo intervento legislativo rilevante in materia, si ebbe con la legge 1044 del 1971 (ancora oggi in vigore), nella quale vennero affrontati diversi aspetti. Il più rilevante è il riconoscimento agli asili nido di una funzione educativa – e non più solo assistenziale – che facilitasse al contempo anche “l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale”. Un secondo aspetto fu la predisposizione di un piano quinquennale per la realizzazione di 3800 asili nido comunali da dislocare sull’intero territorio nazionale. L’obiettivo, nonostante un rifinanziamento del piano previsto dalla legge 891 del 1977, non è stato mai raggiunto; nel 2012, infatti, si contavano 3656 nidi pubblici. Infine, la legge prevedeva che l’attuazione di quanto disposto avvenisse mediante il coinvolgimento delle regioni, e più in particolare dei comuni.

Dopo la legge del 1971 un nuovo impulso in materia arrivò, nell’ambito della strategia di Lisbona, dal Consiglio Europeo di Barcellona del 2002, dove si fissò per ogni stato membro l’obiettivo di offrire, entro il 2010, servizi all’infanzia ad almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai tre anni. Anche questo obiettivo è, ad oggi, disatteso in Italia; sempre nel 2012, infatti, i posti potenzialmente disponibili – considerando sia l’offerta pubblica sia quella privata – avrebbero garantito l’accesso solo al 20,4% dei minori di tre anni d’età.

Contestualmente, nella Finanziaria per il 2002 (legge 448/2001) si tornò a ribadire che gli asili nido in quanto strutture “dirette a garantire la formazione e la socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre anni ed a sostenere le famiglie ed i genitori, rientrano tra le competenze fondamentali dello Stato, delle regioni e degli enti locali”.

Quattro anni più tardi, la Finanziaria per il 2006 (legge 266/2005) introdusse un sostegno economico per le famiglie, mediante detrazione fiscale. Si stabilì, infatti, che per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido venisse riconosciuta per ogni figlio una detrazione del 19% e comunque di importo complessivamente non superiore a 632 euro annui, pari, quindi, ad una riduzione dell’imposta lorda di circa 120 euro.

L’anno successivo, con la Finanziaria per il 2007 (legge 296/2006), venne promossa un’intesa in sede di Conferenza unificata con lo scopo di ripartire la somma di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 destinati a attuare, da parte delle regioni “un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socioeducativi […], al fine di favorire il conseguimento entro il 2010, dell’obiettivo comune della copertura territoriale del 33% […] e di attenuare gli squilibri esistenti tra le diverse aree del Paese”.

Nonostante i diversi interventi normativi, i bambini che frequentano gli asili nido sono ancora oggi pochi. Si potrebbe pensare, allora, che la funzione degli asili nido non sia così rilevante, né per l’educazione del bambino né per i genitori. La letteratura di riferimento, però, mostra l’esatto contrario: molti studi hanno provato, infatti, che la frequenza da parte dei bambini degli asili nido favorisce lo sviluppo socio-cognitivo dell’adolescente e, al tempo stesso, accresce le possibilità per le madri di accedere o rimanere nel mondo del lavoro (per l’Italia, ad esempio, cfr. Del Boca, Brilli, Pronzato, 2013).

Ma qual è oggi la situazione degli asili nido in Italia? Dai dati a disposizione, purtroppo, emerge un quadro ben diverso da quanto ci si auspicherebbe. Come già evidenziato, infatti, l’obiettivo di copertura del 33% è ancora lontano dall’essere raggiunto. Inoltre, il decentramento amministrativo – previsto già nella legge del 1971 e più volte confermato in altri interventi normativi – ha comportato un’inevitabile disomogeneità nell’offerta del servizio sull’intero territorio nazionale. Nel 2012 si confermano ampie differenze territoriali con una carenza di strutture soprattutto nel Mezzogiorno. Ad esempio, l’indicatore di presa in carico (numero di utenti ogni 100 residenti di 0-2 anni) risulta pari al 2,1% in Calabria mentre raggiunge il 24,8% in Emilia Romagna.

Complessivamente, nell’anno scolastico 2012/2013 i bambini di età tra zero e due anni che hanno usufruito dell’offerta pubblica sono stati 193.160, di cui 149.647 iscritti agli asili nido comunali; i restanti 43.513 hanno frequentato asili nido privati convenzionati o con contributi da parte dei Comuni. Dal 2011 si registra, inoltre, un calo degli utenti (figura 1), che fa seguito al continuo incremento delle iscrizioni registrato nei 7 anni precedenti. Ad essere in diminuzione sono soprattutto le iscrizioni agli asili nido comunali (circa 5.700 in meno nell’ultimo biennio rilevato). La spesa sostenuta dai genitori come compartecipazione non è, invece, diminuita negli anni e nel 2012 è stata di circa 304 milioni di euro, pari al 19% del totale della spesa complessiva per gli asili nido (1 miliardo e 567 milioni di euro).

Fig. 1: Percentuale di spesa sostenuta dagli utenti e numero di utenti (anni 2004-2012)

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Mediamente in Italia, nel periodo in esame, le famiglie hanno sostenuto una spesa annua di 1.572 euro; il massimo (2.955 euro) si è avuto in Valle d’Aosta, il minimo (516 euro) in Calabria. Il dato di per sé è poco indicativo, per questo è opportuno rapportarlo alle disponibilità economiche delle famiglie. Utilizzando i dati IT-SILC 2013 è possibile determinare il reddito annuo medio equivalente delle famiglie che dichiarano di avere (YFSA), o non avere (YFNA), un bambino iscritto presso un asilo nido pubblico o privato (figura 2). Oltre alle già note differenze territoriali – i redditi delle famiglie YFSA sono compresi tra i circa 5.700 euro della Campania e i 21.675 euro della Lombardia – emerge una dato che merita un primo approfondimento. In alcune regioni, (ad esempio Liguria, Lombardia, Toscana) il reddito delle famiglie YFNA è minore di quello delle famiglie YFSA ma, come si vede, esistono anche casi contrari.

Una spiegazione plausibile di questo andamento potrebbe essere rappresentata dai differenti criteri che i singoli comuni utilizzano per formare le graduatorie degli asili.

Fig. 2: Reddito familiare equivalente annuo delle famiglie con bimbi con bimbi 0-3 anni iscritti al nido (YFSA) o non iscritti al nido(YNSA). Anno 2012).

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Prescindendo dalla spiegazione, è interessante osservare se i redditi delle famiglie YFSA e la spesa annua sostenuta per l’iscrizione siano tra loro proporzionali (qui utilizziamo la spesa per i nidi pubblici; nel caso di nidi privati l’ammontare potrebbe essere anche molto superiore). Potrebbe accadere, infatti, che un nucleo familiare YFSA oltre ad un reddito annuo inferiore rispetto ad un nucleo YFNA, debba sopportare anche una spesa per il nido non commisurata al proprio reddito.

Nella figura 3, per ogni regione, è stato riportato sull’asse delle ordinate il rapporto tra il reddito delle famiglie YFNA e il reddito delle famiglie YFSA – un rapporto maggiore di 100 indica che YNSA>YFSA e viceversa – mentre sull’asse delle ascisse è stata riportata l’incidenza delle spesa per asili sui redditi delle famiglie YFSA.

Dalla figura – anche al netto della Campania, che presenta un valore anomalo – emerge un’evidente correlazione (positiva) tra le due variabili: in base a questi dati, tanto più è alto il reddito delle famiglie YFNA, tanto più alto è la spesa che le famiglie YFSA devono sopportare annualmente per la frequenza dei nidi.

Fig. 3: Relazione tra incidenza della spesa per nido sul reddito familiare equivalente annuo (YFSA) e rapporto tra i redditi delle famigli con e senza bimbi iscritti al nido; (YFNA/YFSA). Anno 2012.

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Questa relazione suggerisce almeno due riflessioni, La prima è che un sistema così strutturato aggrava le disuguaglianze economiche. Infatti, le famiglie YFNA, ovvero quelle senza figli al nido, pur avendo un reddito maggiore non partecipano alla ripartizione delle spese per le scuole dell’infanzia. La seconda riflessione, riguarda la possibilità che le famiglie YFNA utilizzino canali alternativi di assistenza, quali la famiglia stessa o baby sitter private. I dati sull’iscrizione dei bambini sembrano dare sostegno all’ipotesi di una certa resistenza da parte delle famiglie a servirsi degli asili nido; infatti, nel 2012 i posti nelle strutture pubbliche non sono stati completamente utilizzati e in alcune regioni, ad esempio in Molise, la percentuale di utilizzo dei posti disponibili è stata soltanto del 67%.

Queste prime analisi meriterebbero di essere maggiormente approfondite. Tuttavia, appare chiaro che in Italia la cultura dell’istruzione nella prima infanzia presenta molte carenze e, inoltre, il sistema degli asili nido meriterebbe di essere profondamente rivisto.

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