Eliminare il lavoro minorile dalla filiera del Cobalto nelle Repubblica Democratica del Congo è possibile: l’esperienza di Bon Pasteur

Cristina Duranti osserva che mentre cresce la domanda mondiale di cobalto, nelle miniere della Repubblica Democratica del Congo si consumano gravi violazioni dei diritti umani ad iniziare dal lavoro minorile. La fragilità del sistema e la corruzione rischiano di rendere inefficaci le misure dirette a mitigare questi problemi, contenute nel nuovo Codice Minerario. In questo contesto, Bon Pasteur sta realizzando a Kolwezi un intervento che coniuga protezione sociale e sviluppo comunitario offrendo alternative sostenibili al lavoro minorile dalle miniere.

Abbiamo già descritto sul Menabò le gravi violazioni dei diritti umani, incluse le peggiori forme di lavoro minorile (Worst Forms of Child Labour), che interessano una delle zone minerarie più ricche del pianeta, la Provincia del Lualaba nella RDC, da cui viene estratto ed esportato più del 50% del cobalto mondiale. La capitale di questa provincia, Kolwezi, sta sperimentando da due anni una frenetica “corsa all’oro grigio”, alimentata da un rialzo di oltre il 120% del suo valore di mercato, dovuto al boom delle auto elettriche e, conseguentemente, alla domanda crescente di batterie, per le quali il cobalto è materia prima indispensabile.

Ricordavamo come nella RDC, dove lo stato di diritto è fragilissimo e la popolazione vive cronicamente in condizioni di estrema povertà e insicurezza, le grandi compagnie minerarie internazionali, sono complici di un sistema di sfruttamento che contribuisce a mantenere le condizioni socio-economiche della popolazione locale a livelli inaccettabili. Quei vertiginosi aumenti dei prezzi infatti, non solo non hanno prodotto effetti di“trickle down” della ricchezza sulle comunità minerarie, ma alcuni fattori di rischio sociale (mancanza di servizi e infrastrutture) sono stati esacerbati dall’arrivo di masse di persone senza lavoro e affamate, spesso reduci da conflitti sanguinosi nell’est del paese, spinte dal miraggio di ottenere guadagni facili come artigiani minerari (creseurs).

Il governo congolese ha cercato di arginare questi fenomeni, promulgando nel Marzo 2018 un nuovo Codice Minerario, che aumenta la tassazione per le imprese minerarie, soprattutto per materie strategiche che subiscono impennate improvvise nei prezzi, e impone un maggiore investimento sociale da parte delle aziende (0,3% del volume d’affari). Precedentemente le concessioni avevano durate molto lunghe e non potevano essere ricontrattate anche a fronte di fluttuazioni molto significative dei prezzi. Tale provvedimento, considerato positivamente dalla società civile, è stato poi “annacquato” dal Presidente che, dietro pressione dei colossi minerari, ha aperto alla possibilità di negoziare le condizioni delle concessioni “caso per caso”, con ciascuna azienda. Questo braccio di ferro con le aziende del settore estrattivo industriale (LSM) non produrrà gli effetti redistributivi attesi e anche l’attesa regolamentazione del settore minerario artigianale (ASM), che rappresenta ufficialmente il 20% del mercato, ma nei fatti arriva fino al 40% per il cobalto, non sortirà gli effetti sperati. Infatti la possibilità che hanno tutti i congolesi di ottenere una licenza di estrazione deve essere esercitata in forma associata o cooperativa. Alle persone fisiche non sarà più consentito commerciare in minerali. Questo cambiamento dovrebbe porre fine al sistema caotico attuale, fonte di sfruttamento e abusi, tra cui il diffuso lavoro minorile. Tuttavia, in un contesto di assenza di controlli, di estrema asimmetria informativa tra creseurs e negociants, di scarsa cultura sindacale e associativa, di inesistenti opportunità di lavoro alternative alla miniera, l’effetto è un inasprimento ulteriore delle condizioni dei creseurs. Le -poche- cooperative legalmente costituite sono tali per lo più ”sulla carta”, molto spesso costituite da intermediari alle dipendenze dei negociants o dei grandi distributori. In molti dubitano che, al di là delle intenzioni, questo sistema riuscirà a garantire un miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei creseurs e delle loro famiglie.

In questo difficile contesto, un ONG locale, Bon Pasteur, affiliata con la Fondazione Internazionale Buon Pastore ONLUS, ha avviato nel 2013 un programma di sviluppo comunitario e protezione sociale di cui si è dato conto nel 2015 sul Menabò.

La Fondazione è stata invitata a partecipare al Forum su Responsible Minerals dell’OCSE nell’Aprile scorso per fare il punto sull’applicazione delle linee guida promulgate dalla stessa OCSE due anni fa per garantire la responsabilità della filiera dei minerali provenienti da zone di conflitto o ad alto rischio ed eliminare le peggiori forme di lavoro minorile.

In base ai dati raccolti dalla Fondazione, tutti i fattori identificati dalle linee guida dell’OCSE come indicatori di “alto rischio” di violazione dei diritti umani – ad eccezione di quelli connessi ai conflitti – sono ancora prevalenti nelle comunità minerarie di Kolwezi e alcuni di essi potrebbero essere addirittura peggiorati negli ultimi due anni a causa della “cobalt rush”.
Secondo alcune ricerche effettuate dal Bon Pasteur tra il 2013 e il 2017, su otto comunità minerarie di Kolwezi:

  • nonostante l’aumento dei prezzi del cobalto, la povertà, la fame e i tassi di disoccupazione sono ancora elevatissimi, con picchi stimati al 90% della popolazione che vive con meno di 2$ al giorno;
  • nelle comunità più isolate il lavoro minorile è ancora prevalente in tutti i settori economici. Il 70% dei bambini è impegnato in varie forme di lavoro, il 60% in attività minerarie (scavo, trasporto, estrazione, frantumazione, lavaggio) che causano traumi e rischi per la salute a lungo termine;
  • la scuola pubblica gratuita non è disponibile nella maggior parte dei siti in cui Bon Pasteur lavora. Di conseguenza, solo il 57% dei bambini dichiara di aver frequentato – più o meno regolarmente – la scuola primaria e solo il 5% si è iscritto alla secondaria, ciò colpisce in modo sproporzionato le ragazze che, in età adolescenziale, risultano essere in larga parte analfabete e inoccupabili;
  • i meccanismi formali di protezione e applicazione della legge sul lavoro minorile sono estremamente inefficaci. Per una provincia in cui si stima ci siano oltre 20,000 bambini lavoratori e un numero impressionante di orfani, esiste un solo assistente sociale. La maggior parte degli abusi, incluso il lavoro minorile e le violenze sessuali, non vengono segnalate, non esistendo meccanismi di protezione;
  • lo sfruttamento sessuale e la violenza di genere sono molto diffusi e ampiamente sottostimati;
  • il reddito derivante dal lavoro di artigianato minerario continua ad essere imprevedibile e intermittente, causando frequenti spostamenti e frammentazione dei nuclei familiari.

Negli ultimi cinque anni, il programma attuato dal Bon Pasteur, è riuscito a:

  • ridurre del 92% del lavoro minorile nella comunità di Kanina, 1.674 bambini hanno lasciato il lavoro in miniera, sono inseriti in un programma scolastico e di promozione psico-sociale, diventando in molti casi a loro volta difensori dei diritti dei minori e testimoniando la loro esperienza in altri villaggi per diffondere una cultura di protezione dell’infanzia;
  • aumentare reddito, sicurezza alimentare e fiducia in se stesse per 300 donne e ragazze, attraverso l’alfabetizzazione, la formazione professionale e la promozione di quattro cooperative agricole che hanno migliorato anche la sicurezza alimentare delle famiglie;
  • creare “spazi protetti” gestiti dalle comunità per 5.000 persone, per segnalare e prevenire violazioni dei diritti umani e mobilitare le vittime per sostenere il cambiamento di leggi e sistemi ingiusti.

L’approccio del programma del Bon Pasteur si basa su alcuni elementi distintivi evidenziati da una recente ricerca, in corso di pubblicazione, del CPC Network della Columbia University:

  • inclusività radicale: mettere i più poveri ed emarginati al primo posto nell’ascolto dei bisogni locali per la progettazione delle iniziative e strutturare le azioni attorno ai loro bisogni primari invece che sulla base delle indicazioni dei “potenti” locali;
  • integrazione di diritti umani e sviluppo: fornire istruzione e sicurezza alimentare, promuovendo mezzi di sussistenza alternativi basati sull’agricoltura e i servizi;
  • perseveranza nella costruzione di relazioni umane di lungo termine, elevando il valore spirituale di ogni essere umano in un ambiente estremamente materialistico;
  • concentrarsi su “processo” e “risultati”, ponendo attenzione al “come fare” oltre che al “cosa fare” e resistendo alla pressione di adottare priorità e modelli di intervento imposti dalle aziende, dai donatori o dalle istituzioni;
  • adottare un approccio strategico per coinvolgere i “potenti”, facendo leva sulla credibilità morale ed etica delle religiose e rifiutando la corruzione pervasiva, investendo nello sviluppo a lungo termine delle capacità locali.

Il “modello” Bon Pasteur di Kolwezi è stato recentemente presentato durante il seminario Modern Slavery, Human Trafficking, and Access to Justice for the Poor and Vulnerable nell’ambito dell’iniziativa “Ethics in Action” coordinata da Jeffrey Sachs e sarà incluso nel documento conclusivo che lo stesso Sachs presenterà -in qualità di special advisor per i Sustainable Development Goals- al Segretario delle Nazioni Unite e a Papa Francesco.

Al Forum dell’OCSE in Aprile la Fondazione ha inoltre presentato alla Global Battery Alliace del World Economic Forum il suo nuovo piano quinquennale basato su una consultazione ampia e senza precedenti, che ha coinvolto otto comunità minerarie del Lualaba. L’obiettivo è migliorare le condizioni socio-economiche di oltre 19.000 persone, portando 4.800 bambini fuori dalle miniere e nelle scuole. Attraverso questo piano, il Buon Pastore intende contribuire significativamente al piano nazionale della RDC per sradicare il lavoro minorile entro il 2025 e al raggiungimento di uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile, l’8.7.

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