COVID-19: un’analisi delle conseguenze di genere

Eleonora Maglia, basandosi sui dati dell’Istituto Superiore di Sanità relativi all’epidemia in corso, secondo cui le donne sono meno colpite in termini di letalità da Covid-19, presenta alcune considerazioni sulle conseguenze di genere dell’emergenza sanitaria in atto. Maglia sostiene che, nonostante il numero di donne interessate dal virus sia minore di quello degli uomini, la situazione emergenziale sta accentuando molte pre-esistenti diseguaglianze di genere e forme di disagio.

Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS, 2020a, Differenze di genere in Covid-19), in Italia la percentuale di letalità per Covid-19 negli uomini è quasi il doppio dell’equivalente femminile (rispettivamente 17,1 per cento e 9,3 per cento il 23 aprile 2020) e queste proporzioni sono confermate anche a livello internazionale (in alcuni paesi come Tailandia e Repubblica Domenicana addirittura il rapporto M/F sale oltre 3:1, rispettivamente fino a 3,8 e 3,2). Da ciò si è indagata l’esistenza di fattori protettivi ascrivibili al genere (inteso come l’insieme delle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile) che, allo stato attuale delle conoscenze sul virus, sono individuati in componenti biologiche e comportamentali (come le differenze funzionali del sistema immunitario, il diverso equilibrio ormonale, la differente incidenza tra fumo e co-morbilità, oltre all’atteggiamento mediamente più attento nei confronti della prevenzione sanitaria).

Se però, oltre al tasso di mortalità, si prendono in considerazione altri aspetti (come l’occupazione o la quotidianità familiare), la situazione appare differente e si vede come le donne sono colpite dalla pandemia anche più degli uomini. In questo articolo si cerca di analizzare le conseguenze di genere per Covid-19 al fine di una riflessione più articolata sugli impatti complessivi per il genere femminile. Seppur in qualche misura biologicamente protette dal contagio e dalla letalità del virus, infatti, come si vedrà, le donne risultano di fatto molto esposte alle conseguenze dirette dell’emergenza sanitaria, ma anche ad una riproduzione e ad un aggravio delle disuguaglianze pre-esistenti.

CONSEGUENZE DI GENERE – Osservando la distribuzione dei casi e dei decessi per genere e per fasce di età decennali, si nota un numero maggiore di casi di genere femminile tra i 10 e i 59 anni e oltre i 90 anni (ISS, 2020b, Bollettino sorveglianza integrata Covid-19 del 30 aprile). Se nella fascia di età superiore a 90 anni, la presenza di un numero di donne più che doppio rispetto al numero degli uomini si spiega con la struttura demografica della popolazione, le differenze riscontrate nelle età di mezzo potrebbero essere ascrivibili al profilo occupazionale. Infatti, nel settore posto maggiormente sotto sforzo in questo periodo di emergenza (ovvero la sanità e i servizi socio assistenziali) sono le donne ad essere maggiormente presenti (a livello globale le donne rappresentano il 70 per cento della forza lavoro complessiva secondo il rapporto United Nations Population Fund, 2020, Covid-19: A Gender Lens) e si vede con quali effetti: tra i casi di infezione negli operatori sanitari, il 69 per cento è appunto donna (ISS, a, op. cit.).

In più, le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro ci avvertono dell’impatto negativo che la pandemia ha e avrà per i soggetti più fragili, come chi lavora in forme di precariato (secondo l’Osservatorio ILO, 2020, Covid-19 e mondo del lavoro la disoccupazione mondiale potrebbe aumentare anche di 25 milioni e fino a 35 milioni di persone in più potrebbero trovarsi in condizioni di povertà lavorativa) ed è noto che i settori dove prevalgono forme di lavoro precario sono ad alta intensità femminile (anche fino all’83,9 per cento secondo il Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum).

Inoltre, lo spostamento verso formule di home working attivato per limitare la mobilità e la prossimità e contenere il rischio di contagio comporta, nel caso delle donne, una sovrapposizione anche fisica dei compiti produttivi e riproduttivi, con conseguenti aggravi nella gestione operativa delle attività quotidiane e peggioramenti nel disequilibrio domestico. A riguardo, si consideri sulla base dei dati Istat pre-pandemici (Istat, 2019, I tempi della vita quotidiana. Lavoro, conciliazione, parità di genere e benessere soggettivo) si stima che la parità di genere nei tempi di lavoro familiare sarà raggiunta in oltre 60 anni al ritmo attuale di cambiamento (nell’ultimo decennio gli uomini in coppia hanno aumentato annualmente di un minuto e mezzo il loro impegno giornaliero nel lavoro familiare, quando invece le donne lo hanno ridotto di poco più di due minuti).

In più, le restrizioni e l’incertezza futura portano ad un inasprimento dei comportamenti disfunzionali personali e rischiano di peggiorare il numero dei casi totali di violenza domestica. In un Paese come l’Italia in cui l’85 per cento dei femminicidi avviene in famiglia (Eures, 2019, Il femminicidio in Italia), l’attuale isolamento obbligato sta accrescendo le difficoltà di accesso ai centri antiviolenza e di avvio di percorsi di contrasto alla violenza sessista nelle relazioni tanto da comportare una diminuzione pari all’80 per cento nella fruizione di questi servizi,  secondo i dati DiRE fin qui rilevati.

Altro aspetto da considerare tra le conseguenze di genere della pandemia è la condizione delle immigrate che, nella pandemia in corso, risultano maggiormente esposte al contagio per la loro maggior presenza nei settori considerati più a rischio. Secondo i dati Migrantes infatti in Italia il 70,6 per cento degli addetti impiegati in ambito infermieristico o di cura alla persona è rappresentato dalle donne migranti  (Migrantes, 2019, XXVIII Rapporto Immigrazione).

Ora è noto anche che, per l’anno scolastico in corso, le scuole non riapriranno e si tratta di un ulteriore problema per il genere femminile, che già sopporta il fenomeno del part-time involontario a causa dei servizi di cura insufficienti. In Italia infatti sono già 433.000 le donne inattive o part-time per carenze nel welfare, soprattutto localizzate al Sud (il 44,8 per cento delle madri in età lavorativa) e per cause nell’88 per cento dei casi ascrivibili proprio ad una mancanza dei servizi per l’infanzia (Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, 2019, Focus sull’occupazione femminile. Donne al lavoro: o inattive o part-time).

IN CONCLUSIONE – Anche un evento con effetti apparentemente orizzontali come l’attuale pandemia non colpisce tutti allo stesso modo, ma piuttosto mette in risalto molti vulnus preesistenti della società, come le varie forme di segregazione occupazionale su cui si auspica sarà possibile presto ragionare e porvi soluzione. Ad emergenza conclusa certamente si renderà necessario un grande lavoro di ricostruzione e l’auspicio è che coincida anche con un nuovo inizio, in cui sarà colta l’opportunità di intervenire fattivamente per realizzare la parità di genere, ricordando -tra le tante riflessioni in merito- le conclusioni del Word Economic Forum, secondo cui, da un lato la competitività economica può essere accresciuta conseguendo un migliore equilibrio tra generi nei posti di responsabilità e, d’altro lato, solo le economie che saranno in grado di impiegare tutti i loro talenti riusciranno poi a prosperare.

Ad oggi, secondo i dati Istat in tema di stereotipi di genere (Istat, 2019, Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale) permangono una serie di pregiudizi che mostrano quanto ancora debba essere compreso il ruolo fattivo che l’inclusione femminile nel mondo del lavoro può apportare in termini di produttività e di innovazione; ciò nonostante, nella ricostruzione post-emergenza sanitaria, si apriranno molti spazi di ri-contrattazione che potrebbero portare ad  una re-visione di molti schemi e pre-concetti ormai desueti, non sostenuti dall’evidenza e di fatto solamente bloccanti. Intanto, nell’attuale situazione di tempo sospeso, è possibile iniziare a ragionarvi, perché poi ci sarà molto lavoro da svolgere in proposito, visto che, ad esempio,  secondo l’ultimo rapporto Un Women sui progressi del Goal 5 (parità di genere) le donne hanno ancora il doppio delle probabilità di essere disoccupate o sotto-rappresentate (Un Women, 2019, Progress on the sustainable development goals. The gender snapshot) e i dati Eurostat diffusi per il Women’s Day sulla disuguaglianza di genere mostrano che l’Italia è ultima in Europa anche soltanto per il tasso di occupazione femminile (53,1 per cento e -13,8 punti percentuali rispetto alla media europea).

Schede e storico autori