Considerazioni sul programma economico del Partito Democratico

– Stefano Sylos Labini –
In questo breve commento vorrei partire da quello che a mio avviso è un errore di impostazione del programma economico del Partito Democratico e consiste nel fatto che la parola chiave che avrebbe dovuto caratterizzare la linea non è “crescita” ma investimenti, sia pubblici che privati. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la crescita è una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire a tutti un miglioramento economico e della qualità della vita e che le politiche per promuovere la crescita si fondano su un deciso rilancio degli investimenti i quali devono essere accompagnati da misure fiscali e sociali volte a contrastare le tendenze verso un’accentuazione delle disuguaglianze.

Certamente, prima di addentrarsi nel merito degli investimenti bisogna precisare dove vanno recuperate le risorse. E le risorse vanno recuperate attraverso le banche, le grandi società energetiche ancora controllate dallo Stato, la tassazione mirata delle rendite finanziarie per indirizzare le risorse private verso l’innovazione e gli investimenti produttivi, la continuazione della lotta all’evasione fiscale avviata dal governo Prodi. Anche la ricomposizione della spesa pubblica con un’espansione delle spese in conto capitale e una compressione delle spese correnti può offrire una possibilità per finanziare la crescita degli investimenti e delle spese in formazione e in ricerca e sviluppo. Inoltre, bisogna mettere in campo una serie di azioni per spendere interamente e nel modo migliore la grande massa di finanziamenti nazionali ed europei che saranno disponibili nel Mezzogiorno nel periodo 2007-2013 (si tratta di una cifra complessiva pari a 100 miliardi di euro). Questi finanziamenti da soli non garantiscono che si metta in moto un ciclo di investimenti ed uno sviluppo tecnologico e industriale sufficientemente ampio e diffuso, per cui il governo centrale dovrà impegnarsi attivamente per stimolare le imprese ad elaborare e ad aggregarsi su progetti di una certa consistenza.

Scendendo nel dettaglio, occorre puntare sulla concertazione per mettere a punto un Nuovo Patto Sociale per rilanciare gli investimenti delle imprese. In questo Patto vanno coinvolti non solo i sindacati che rappresentano i lavoratori e le imprese che realizzano gli investimenti, ma anche le banche (che sono i soggetti principali che concorrono a finanziare gli investimenti e le attività delle piccole e medie imprese) e, soprattutto, le comunità territoriali al fine di tener conto della domanda pubblica che esse esprimono. Bisogna allora studiare dei meccanismi di scambio e di mutua convenienza che possano stimolare tale collaborazione. Per ciò che riguarda banche e imprese si potrebbe pensare ad esempio:

1. a tassi sui prestiti collegati con il rendimento degli investimenti e con i risultati aziendali. In questo modo si possono attenuare gli effetti negativi del ciclo sulla redditività aziendale e quindi sull’autofinanziamento che concorre in larghissima misura a coprire i fabbisogni relativi alle spese per gli investimenti innovativi.;
2. all’erogazione di credito a medio termine per gli investimenti con più lunghi tempi di ritorno;
3. al rilancio di quella che è considerata la migliore legge di incentivazione industriale: la legge Sabatini del 1965. Questa legge, che andrebbe estesa anche alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dell’energia e dell’ambiente, consente alle imprese che acquistano i macchinari di pagare in 5 anni con un tasso di interesse di favore e alle imprese che vendono i macchinari di ottenere dalle banche autorizzate il pagamento immediato;
4. a prestiti agevolati e incentivi fiscali per quelle imprese che volessero effettuare investimenti per assumere lavoratori a tempo indeterminato e per acquistare beni capitali avanzati e tecnologie innovative.

Per quanto riguarda il settore energetico, oltre all’esiguità delle spese pubbliche nella ricerca di ENEA, CNR e altri istituti di ricerca, colpisce lo scarso impegno dei grandi colossi energetici come l’ENI e l’ENEL che stanno realizzando profitti giganteschi e di cui lo Stato, cioè il governo, è l’azionista di maggioranza relativa con il 30% del capitale azionario. L’ENI e l’ENEL dovrebbero aumentare le spese in R&S dai valori attuali che sono inferiori allo 0,3% del fatturato per arrivare ad una quota del 3% in linea con gli obiettivi europei di Lisbona. Di conseguenza anche la strategia degli investimenti di queste grandi imprese energetiche andrebbe riconsiderata dal momento che oggi l’ENI e l’ENEL hanno come obiettivo primario l’espansione all’estero per aumentare il giro d’affari, le quotazioni azionarie e i profitti. Al contrario, andrebbe privilegiata una politica di investimenti sul territorio nazionale proprio per ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio ed accrescere la produzione di energia rinnovabile interna.

Per quanto riguarda il Mezzogiorno, è necessario ampliare il meccanismo della “premialità” introdotto dal Tesoro per i finanziamenti europei, ma è anche indispensabile esaltare il ruolo di tutti i soggetti pubblici, a partire dalle Regioni e Comuni, nel compito di esercitare un’azione di promozione e coinvolgimento sul territorio, individuare i progetti, effettuare le selezioni, erogare i finanziamenti ed effettuare i controlli sull’avanzamento e sulla realizzazione degli investimenti. L’azione di indirizzo e di promozione a livello di governo nazionale potrebbe avvalersi anche delle grandi imprese energetiche ancora controllate dallo Stato, che potrebbero costituire dei potenti motori di investimento per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. In un tale scenario, i centri di ricerca pubblici potrebbero affiancare le regioni per realizzare delle reti e dei consorzi d’imprese e di università in grado di presentare progetti d’innovazione di rilievo. Perché non dobbiamo dimenticare che se è vero che le regioni spesso non sono dotate di personale qualificato in grado di valutare e di selezionare i migliori progetti tecnologici e industriali, è altrettanto vero che spesso le regioni hanno di fronte interlocutori industriali poco credibili e non in grado di presentare progetti di successo. Un’azione di coinvolgimento delle imprese sul territorio sia per quel che riguarda l’aspetto informativo sia per elaborare dei progetti consistenti è indispensabile se consideriamo che il tessuto industriale del Mezzogiorno è costituito da piccole imprese che spesso non hanno le competenze per svolgere un ruolo attivo nei processi di innovazione (identificazione dei problemi, elaborazione dei progetti, reperimento delle risorse finanziarie).

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