Cile, la strada verso l’allegria è lastricata di ostacoli

Giuliano Toshiro Yajima commenta i risultati del secondo turno delle elezioni in Cile che hanno portato al governo Boric e una generazione apertamente critica verso la narrativa del “milagre” economico come conseguenza delle riforme liberiste degli anni della dittatura di Pinochet. Yajima illustra i pesanti lasciti di quelle riforme (un’economia finanziariamente fragile, strutturalmente disomogenea e profondamente diseguale) che rendono molto arduo il compito che attende il nuovo governo.

Due anni dopo le proteste dell’estallido social il Cile somiglia al famoso disegno del pittore Joaquin Torres Garcia, che per lanciare un movimento autonomo artistico sudamericano abbozzò il profilo del Cono Sur “invertito”: Nuestro norte es el Sur, come scrisse nel suo manifesto Universalismo Constructivo. Gabriel Boric Font, neoeletto Presidente del Cile, è nato proprio nell’estremo Sud (Nord?) cileno, nella città di Punta Arenas, la capitale della regione di Magallanes, parte della Terra del Fuoco. Il suo profilo, così come quello di molti della sua compagine governativa, appare, analogamente a quanto immaginava Torres Garcia, l’inversione non soltanto dei profili dei politici dell’epoca della dittatura ma anche di quelli dei loro successori, dai quali Boric rileverà, a marzo, la gestione del paese.

Per comprendere come si sia arrivati a questa situazione e avere una misura del compito di riforma e trasformazione socioeconomica che attende gli ex leader della rivolta studentesca dei “pinguini” (il movimiento de los pingüinos del 2006 prende il nome dalla divisa degli studenti della scuola secondaria cilena) è utile richiamare brevemente alcuni fatti stilizzati riguardanti le relazioni economiche internazionali, la struttura produttiva e le diseguaglianze economiche nel paese.

Fragilità finanziaria esterna e interna . Il Cile è un tipico esempio di “piccola economia aperta”, i cui tratti fondamentali sono la forte dipendenza dall’export, l’indebitamento in valuta estera e l’esposizione ai cicli di liquidità internazionale. Durante le due fasi di afflusso di capitali finanziari sperimentati dal Cile dopo il ritorno alla democrazia (1989-2001/2001; 2003-2012), nel settore privato si è avuta una forte instabilità (Grafico 1). Ciò è particolarmente evidente per il ciclo culminato nella crisi asiatica del 1997,  nel corso del quale il rilevante saldo negativo del settore privato associato all’eccesso delle importazioni sulle esportazioni ha determinato una significativa crescita del debito estero. Si può qui ricordare che successivamente – dal 2004 al 2013 – il saldo delle partite correnti è diventato positivo grazie all’aumento dei proventi delle esportazioni innescato dal boom dei prezzi delle materie prime.

 

Grafico 1. Saldi settoriali per l’economia cilena, 1990-2017Fonte: Banca Centrale del Cile

 

Nel complesso, il Cile si caratterizza per fasi di acuta instabilità finanziaria, legate a squilibri della bilancia dei pagamenti che, a loro volta, incidono sulla dinamica macroeconomica del paese. In quel che segue, vedremo come la tendenza all’instabilità finanziaria si leghi a specifiche fragilità (e squilibri) strutturali dell’economia cilena.

La struttura produttiva . La struttura produttiva e commerciale del Cile gioca un ruolo centrale nella spiegazione delle dinamiche economiche e dei loro effetti sulle evoluzioni politiche passate e presenti. L’economia dipende fortemente dalle risorse naturali, in particolare dall’estrazione del rame. Dal 2006 a oggi, il peso del rame sul totale delle esportazioni è stato costantemente superiore al 50%. Nello stesso periodo, l’industria manifatturiera ha perso terreno rispetto all’estrazione mineraria in termini di contributo relativo al Pil (che ha raggiunto il 21% nell’apice del boom delle commodity).

Questo cambiamento strutturale può aver contribuito al relativo declino della produttività cilena: il tasso di crescita medio passa dal 1,8% del periodo 2000-2010 allo 0,8% del 2010-2019. In effetti, la struttura produttiva caratterizzata da specializzazione nell’estrazione ed esportazione di materie prime (rame) e parallelo indebolimento nella produzione di manufatti con conseguente crescita delle importazioni, intrappola il Cile in una condizione ‘periferica’. Da ciò derivano molteplici conseguenze negative: il già menzionato indebolimento della produttività, bassi tassi di innovazione, riduzione della complessità della struttura produttiva e crescente dipendenza (finanziaria e in termini di beni importati) dalle economie avanzate.

Tale condizione può essere rilevata empiricamente rapportando la quota delle attività industriali ad alto contenuto tecnologico (l’indicatore utilizzato fa riferimento alla quota di attività ingegneristiche) sul totale del valore aggiunto manifatturiero cileno con quella degli Stati Uniti (considerati come la ‘frontiera tecnologica’) e confrontando l’evoluzione di tale rapporto con quello di un’economia che, nel medesimo periodo, ha sperimentato una dinamica strutturale opposta a quella del Cile, la Corea del Sud (Grafico 2).

 

Grafico 2. Cile: Indice di Partecipazione relativa delle attività ingegneristiche sul totale del valore aggiunto manifatturieroFonte: Cepal

 

A partire dagli anni ’70, la posizione cilena è progressivamente peggiorata raggiungendo, dopo alcune oscillazioni un valore pari al 20% della quota statunitense. Al contrario, in Corea del Sud lo stesso rapporto è cresciuto costantemente ed ha superato quello degli Stati Uniti già a partire dagli anni ’90. La causa è stato il  significativo irrobustimento del settore manifatturiero ad alta tecnologia che ha permesso alla Corea di occupare oggi una posizione di preminenza, sia in termini di quantità prodotta sia di quota di domanda globale assorbita, nella gran parte dei segmenti di prodotto più innovativi.

Disuguaglianze. Il Cile è notoriamente un paese ad altissima disuguaglianza dei redditi in base alle stime ufficiali.Calcolata con l’indice di Gini essa è stimata essere pari al 46% dalla World Bank nel periodo 2006-2013 che è , appunto, un valore molto alto. Tuttavia se si tiene conto dell’evasione fiscale e dei guadagni in conto capitale –in particolare quelli attribuibili a profitti non distribuiti – l’indice sale, secondo le stime di López, Figueroa e Gutiérrez, a uno stratosferico 60% – che si riduce al 53% se si tiene conto della sola evasione fiscale. Queste correzioni hanno un impatto ancora più impressionante sulla quota di reddito detenuta dall’ultimo percentile (il più ricco) della popolazione cilena: il 30% invece del 19,75% calcolato usando i dati fiscali.

Dar conto in modo articolato delle cause di queste disuguaglianze non è possibile in questa sede. Tuttavia su di esse hanno certamente un grande impatto le peculiarità strutturali dell’economia cilena, gli squilibri commerciali e le politiche macroeconomiche di cui si è deto in precedenza.

Infatti, di grande importanza è certamente la distribuzione del reddito tra rendite, profitti e salari che risulta molto sbilanciata a favore delle prime soprattutto per il peso che assume il settore minerario. In media annua, tra il 2005 e il 2014 queste rendite sono state di circa 39.000 milioni di dollari l’anno e le prime 10 compagnie minerarie private si sono appropriate del 40% circa di questa cifra. Al netto delle imposte (storicamente molto basse per quest’attività), la quota di rendite catturate da questi 10 operatori sul totale scende al 29,3%, circa 11.400 milioni di dollari in media nei nove anni presi in considerazione. Tale cifra equivale al 5,1% del PIL medio annuo e al 23,3% della spesa pubblica media durante lo stesso periodo.

Una simile concentrazione comporta quasi di necessità una forte compressione dei redditi nella parte bassa della distribuzione, che molto probabilmente è stata aggravata dalle politiche fiscali adottate. In Cile, negli anni successivi al ritorno della democrazia e fino al 2013, si è sempre avuto un avanzo di bilancio ad eccezione dei primi anni 2000 (quelli del contagio della crisi asiatica) e del 2008 ( l’anno della crisi finanziaria globale). Questa “prudenza” fiscale pubblica ha, però, costretto molte famiglie cilene, soprattutto le più indigenti, a una sorta di imprudenza. Ad esempio, nel 2017 il 74,4% delle famiglie situate nel primo decile della distribuzione hanno usato più del 25% del reddito mensile per ripagare i loro debiti, e per il 47,2% di essi le passività eccedevano del 75% il valore del loro patrimonio. Inoltre, per un terzo di queste famiglie, occorrevano più di 36 mesi per estinguere i propri debiti.

 

Conclusioni. Chile, la alegría ya viene era lo slogan del No” al plebiscito con cui Pinochet aveva chiesto la sua rielezione nel 1988. Dopo tre decenni di apertura finanziaria, squilibri strutturali legati alla predominanza del settore delle materie prime e crescita di disuguaglianze strutturali, territoriali e distributive di cui si è cercato brevemente di dare conto i cileni hanno deciso di non perseguire più l’illusione di una vita di arricchimento personale pretendendo invece un “Chile Despierto” (slogan delle manifestazioni del 18-O), capace di dare maggiori opportunità a tutti. Ciò ha portato ad una costituente a carattere fortemente progressista, dove le forze che hanno rappresentato la continuità dopo la fine della dittatura sono solo il 40%, mentre quelle senza una diretta affiliazione partitica il 41,1%. Di fronte all’esplosione del quadro partitico sancita anche dal primo turno delle elezioni politiche (assieme all’avanzata dell’estrema destra di Kast), per i pinguini si è resa necessaria l’apertura alle forze della ex Concertacion (il rassemblement di centro-sinistra a cui apparteneva la Bachelet), con conseguente “ammorbidimento” di alcune posizioni della loro piattaforma programmatica. La ricerca di un compromesso tra le istanze di trasformazione portate avanti dai protagonisti delle mobilitazioni (abolizione del sistema di pensioni private, assicurazione medica universale e riforma del sistema penitenziario e delle forze dell’ordine) e le aree più moderate emerge anche guardando la lista dei 24 ministri del neocostituito governo. L’inclusione di 14 donne, di 7 under 40 – in buona parte esponenti del movimento di lotta e studentesco (Giorgio Jackson, Camilla Vallejo, Nicolas Grau solo per citarne alcuni) – è coerente con le istanze di trasformazione più radicali. D’altro lato, però, la presenza di profili più “tranquillizzanti” in posizioni di peso come nel caso di Mario Marcel, presidente dal 2016 del Banco Central de Chile, nominato ministro delle finanze, sembra rispondere ad esigenze di pragmatismo e rende difficile prevedere azioni di rottura negli ambiti più delicati della politica economica. Il rischio di spaccatura tra queste due anime del governo esiste ma è prematuro fare previsioni e solo i prossimi mesi ci diranno se le tre grandi questioni, tra loro collegate, della vulnerabilità esterna, della inadeguata struttura produttiva e delle alte disuguaglianze saranno affrontate in modo coraggioso andando incontro alle istanze del movimento del 18-O oppure se il governo Boric cederà al “fascino discreto” della borghesia cilena.

 

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