Aziende e lavoratori in rete: utilizzo e prospettive del contratto tra imprese

Eleonora Maglia si occupa del contratto di rete tra imprese, uno strumento di spinta alla collaborazione organizzativa, ad un decennio dalla sua introduzione in Italia. Dopo aver illustrate le caratteristiche del contratto e le aspettative in esso risposte, Maglia ne esamina, sulla base dei dati disponibili, gli utilizzi effettivi e i risultati raggiunti in termini di performance aziendali e protezione della forza lavoro. Infine, Maglia valuta le prospettive del contratto di rete e le condizioni per un suo efficace utilizzo futuro.

Sono trascorsi circa 10 anni da quando nel nostro paese è stato introdotto il contratto di rete tra le imprese, un lasso di tempo sufficiente per formulare una valutazione sugli effetti che ha prodotto questo strumento. E’ questo lo scopo principale di queste note che si propongono anche di illustrare le caratteristiche del contratto di rete, i risultati che da esso ci si attendevano, nonché le prospettive di un suo migliore utilizzo nel prossimo futuro.

E’ opinione condivisa che aderendo ad un contratto di rete, un imprenditore può migliorare il proprio posizionamento sul mercato e sviluppare la competitività della propria azienda Il contratto di rete è uno strumento di politica industriale che amplia le opzioni disposizione delle imprese per aggregarsi e può assolvere alla duplice funzione di sopperire al problema della piccola dimensione delle imprese italiane e di innescare partnership funzionali alla crescita economica.

Il ricorso a forme di economia collaborativa dovrebbe, infatti, permettere di superare i limiti che incontrano le singole imprese e consente l’accesso, altrimenti precluso, a risorse finanziarie, immateriali e tecnologiche, assicurando flessibilità e autonomia agli imprenditori e producendo benefici anche per i lavoratori. La promozione di politiche industriali ed agricole in logica di network è, peraltro, coerente con l’orientamento comunitario che vede nell’unione di risorse e competenze la condizione per raggiungere la massa critica necessaria a realizzare progetti di R&S, innovazione e internazionalizzazione aziendali. In un’ottica nazionale, poi, il fatto che gli obiettivi perseguiti dalle imprese retiste siano definiti in un contratto assicura flessibilità e autonomia soggettiva, e ciò consente di superare le storiche ritrosie e resistenze alla condivisione del controllo tipiche delle imprese italiane,

Reti di imprese e obiettivi comuni. Secondo i dati di InfoCamere, attualmente in Italia sono presenti 5.084 reti che coinvolgono 31.283 imprese, localizzate specialmente in Lombardia (15% dei casi), in Veneto (9,8%) e in Toscana (8,9%), e concentrate nel settore manifatturiero (con 777 imprese impegnate in fabbricazioni metallifere e 576 dedite all’attività alimentare).

L’introduzione del contratto di rete in Italia si è avuta con l’articolo 3, comma 4-ter e seguenti del decreto legislativo n. 5/2009, diretto a sostenere i settori industriali a seguito della crisi del 2007. Stipulando un contratto di rete (basato su un programma comune, nonché sullo scambio di informazioni, prestazioni industriali commerciali tecniche o tecnologiche e sull’esercizio in comune una o più attività), secondo l’auspicio del legislatore, sarebbe stato possibile, soprattutto per le PMI, superare gli ostacoli organizzativi e cognitivi che limitavano le loro possibilità di crescita.

I dati di InfoCamere mostrano che nelle reti sono inserite soprattutto imprese di piccole dimensioni, con un numero di addetti compreso tra 0 e 9 (60% dei casi) e tra 10 e 49 (31%). Pertanto, uno degli obiettivi del decreto 5/2009 sembra essere stato raggiunto. Ma ciò vale anche per altri due obiettivi: l’innovazione di processo e di prodotto/servizio (35% dei casi) e per l’aumento della competitività e della penetrazione del mercato (40% dei casi).

I network di imprese hanno fatto ricorso al contratto di rete anche per finalità attinenti alla responsabilità sociale. Adottando questo strumento e trascendendo i confini aziendali, molte PMI hanno infatti potuto offrire programmi strutturati di conciliazione vita-lavoro e di welfare aziendale (sperimentazioni di questo tipo sono presenti in Lombardia, Trentino Alto Adige e Emilia Romagna) che, altrimenti, sarebbero accessibili solo ad aziende di grandi dimensioni. Tali programmi hanno anche l’effetto benefico di migliorare le relazioni industriali.

Quindi, se un’azienda partecipa ad un contratto di rete e in virtù di ciò vede accrescersi le sue possibilità operative, anche i dipendenti ne traggono un vantaggio. Essi, però, sono anche esposti al rischio di distacco, di assunzione congiunta o di co-datorialità e ciò significa che le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa possono cambiare per iniziativa unilaterale. La mobilità del personale tra aziende retiste è infatti favorita dallo stesso legislatore e le condizioni per realizzarla risultano semplificate (pur all’interno di determinate condizioni di temporaneità, formalizzazione e funzionalità). Queste derogative in melius discendono dall’utilità attribuita al contratto in rete in termini di flessibilità (di fatto lo strumento in esame si inserisce nel processo di progressiva decostruzione del modello fordista verticalmente integrato e di successiva esternalizzazione dei cicli e dei processi produttivi) e possono essere di vantaggio anche per i dipendenti. Negli ultimi anni di crisi economica, infatti, questo istituto giuridico è stato utilizzato in favore dei lavoratori, per garantirne l’ occupazione presso altri datori di lavoro. Così, le reti hanno prodotto un duplice beneficio anche nel mercato del lavoro: da un lato, è stato possibile preservare la professionalità dei dipendenti (altrimenti depauperata da periodi di inattività) e, dall’altro, si è limitato il rischio di dispersione del capitale umano (derivante dalla possibilità che la forza lavoro più competente cerchi e trovi alternative occupazionali).

Prospettive per il futuro. Il contratto di rete, come si è detto, nell’iter legislativo è stato considerato idoneo sia a creare un contesto imprenditoriale innovativo e competitivo sia a favorire l’adattamento del sistema produttivo nazionale alle esigenze di modernizzazione dettate dalla globalizzazione e dell’avanzamento tecnologico. Ad un decennio dall’introduzione, queste aspettative possono dirsi realizzate?

Secondo le rilevazioni di Unioncamere (Rapporto dell’Osservatorio nazionale distretti italiani, 2014) i primi segnali di uscita dalla crisi si sono registrati proprio tra le PMI inserite in forme di aggregazione e ciò corrobora la valutazione del contratto di rete come modello economico efficace. Gli studi sul tema (Confindustria et al., Gli effetti del contratto di rete sulla performance delle imprese 2017; Intesa Sanpaolo, Mediocredito Italiano, Osservatorio sulle reti di impresa 2014; Ministero dello Sviluppo Economico, Osservatorio sui contratti di rete 2014) inoltre concordano nel correlare positivamente il contratto di rete con la performance (misurata come media pesata delle variabili innovazione di prodotto e di processo, export, IDE, tasso di impiego di laureati). Nelle imprese retiste, cresce il fatturato (38,5% dei casi), aumentano gli investimenti (33% dei casi) e flettono i costi di produzione (24,8% dei casi).

Complessivamente, quindi, a fronte del costo rappresentato dalla cessione dell’autorità individuale, l’appartenenza ad una rete permette di superare i limiti del capitalismo familiare e del localismo territoriale. Dai dati InfoCamere, infatti, si desume che una quota rilevante di reti è costituita da imprese che hanno sede in Regioni diverse (27,2%) e ciò differenzia le reti da altri modelli di organizzativi fondati sulla cooperazione tra più attori economici di prossimità (come i distretti industriali studiati da Becattini).

In più, il successo delle reti conferma che la svolgimento di attività in collaborazione –come l’integrazione di catene di sub-fornitura e l’appartenenza locale, quando si traduce in una maggiore attenzione per la tutela degli occupati e degli impianti– produce effetti positivi a livello territoriale (ad esempio riduce il differenziale del costo del lavoro e favorisce, così, il fenomeno positivo del re-shoring). Le reti di imprese nazionali e straniere possono anche concorrere ad un miglior posizionamento delle imprese locali all’interno delle catene del valore globale. Inoltre, posto che la capacità di produrre e diffondere informazione determina un aumento della redditività media delle imprese, incentivando l’interazione tra le imprese si contribuisce a diffondere nel tessuto sociale informazioni (sulle tecnologie, sui materiali e sui prodotti) economicamente rilevanti che realizzano, di fatto, una distribuzione dei profitti più paritaria.

Quindi, il contratto di rete tra imprese (grazie al quale i soggetti coinvolti si coordinano per collaborare, scambiandosi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica) si può inserire tra le condizioni che alimentano l’efficienza, la capacità competitiva, nonché l’equità, di un sistema produttivo locale e, per tutto questo, ragionevolmente si può auspicare un crescente ricorso ad esso nel prossimo futuro.

Le sperimentazioni di recente attivazione interessano la Pubblica Amministrazione (che ha disposto misure in grado di agevolare l’adesione ad un contratto di rete a livello nazionale, regionale e locale); il sistema finanziario (che ha previsto condizioni di favore in caso di programmi di sviluppo in rete particolarmente pregevoli) e il settore manifatturiero (che ricerca così percorsi di innovazione e digitalizzazione all’interno del programma Industria 4.0). Il numero e la composizione degli attori economici coinvolti in un contratto di rete è destinato così ad aumentare e a differenziarsi progressivamente. In una situazione di questo tipo, per diminuire i costi della gestione dei rischi di free riding e creare le condizioni per un successo pieno, diventerà sempre più importante promuovere la comunicazione tra gli aderenti e la creazione di ambienti di lavoro partecipativi. Ciò potrebbe avvenire facendo sì che l’organo comune (manager o comitato), incaricato della gestione della rete, diventi anche leader di riferimento e sia in grado non soltanto di integrare le pluralità ma anche di realizzare la democrazia industriale. In questo modo tutti i benefici permessi da una rete, e che abbiamo illustrato in queste note, potranno utilmente concretizzarsi.

 

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