Zuckerberg e i nuovi orizzonti del filantrocapitalismo

Cristina Duranti si occupa dell’iniziativa filantropica di Zuckerberg-Chan accolta in generale molto positivamente per l’entità della donazione e la giovane età dei due filantropi. Analizzando approfonditamente le caratteristiche di questa iniziativa, che ha pochi precedenti, Duranti si interroga sull’impatto che questa nuova forma di filantrocapitalismo potrà avere sulla politica, sul settore nonprofit americano e globale, e sulla capacità dei sistemi democratici di influire sulla redistribuzione dei redditi e delle ricchezze.

L’annuncio di Mark Zuckerberg e sua moglie Priscilla Chan, il 1 dicembre scorso, in occasione della nascita della prima figlia, di donare, nel corso della loro vita, il 99% delle azioni Facebook per scopi filantropici (si stima che ammonterà a 45 miliardi di dollari), ha suscitato una reazione generalmente molto positiva nel pubblico globale dei social media e tra i commentatori USA e internazionali. Per gli osservatori meno esperti di filantropia statunitense è stato facile accomunare questa iniziativa a quella analoga di Bill Gates che nel  2000 ha dato vita alla più grande fondazione grant-making del mondo, o a quelle di altri miliardari che hanno aderito al “Giving Pledge” lanciato nel 2010 da Warren Buffet. Occorre, invece, segnalare alcune diversità.

Destinare fondi alla filantropia è una pratica profondamente radicata nella cultura capitalistica americana che vede nel give back una forma efficace di condivisione, se non di vera e propria redistribuzione, della ricchezza e un modo di prendersi cura da parte dei ricchi della comunità che ha consentito loro di accumulare fortune spesso davvero enormi.  Ciò vale anche per Zuckerberg e sua moglie.  Ma le caratteristiche e le modalità della loro filantropia presentano aspetti peculiari.

In passato, i grandi filantropi, si pensi a Rockefeller, Ford e Carnegie, offrivano soprattutto supporto finanziario ad un sistema di welfare le cui priorità erano stabilite dalla politica, la quale, a quei tempi, godeva probabilmente di maggiore forza e credibilità. Negli ultimi anni, grazie alle enormi ricchezze accumulate da pochi, spesso giovani, imprenditori o finanzieri di successo, la filantropia ha assunto proporzioni tali da permettere di parlare di  philantrocapitalism.

I filantrocapitalisti interpretano il proprio ruolo più come quello di social investor, cioè promotori di iniziative di impresa sociale indipendenti ed innovative, tipo start-up, che non di  finanziatori di politiche di welfare decise dal sistema pubblico.

Quella di Zuckerberg-Chan tuttavia è un’iniziativa con pochi precedenti anche tra i filantrocapitalisti, non solo per la giovanissima età dei coniugi Zuckerberg e per l’entità della donazione, ma anche per altri aspetti, che meritano una riflessione attenta.  Vediamo di cosa si tratta e quali implicazioni potranno aversi nel futuro:

In primo luogo, non si tratta di una charity: Zuckerberg e Chan, dietro consiglio di advisor specializzati nella gestione dei grandi patrimoni dei giovani miliardari della Silicon Valley, hanno deciso che nel corso della loro vita il 99% delle loro azioni (o i proventi dall’eventuale vendita di tali azioni) dovranno essere destinate alla Chan-Zuckerberg Initiative, una LLC (Limited Liability Company) da loro costituita per realizzare finalità sociali. La forma giuridica prescelta costituisce una novità:  i grandi e piccoli filantropi americani avevano finora preferito ricorrere a un charitable trust o a una più tradizionale fondazione familiare.

Costituire una fondazione familiare o un trust consente di mettere al riparo dal fisco grandi patrimoni e ottenere benefici fiscali consistenti, commisurati al valore della donazione. Per ottenere questi benefici, tuttavia, è necessario che la fondazione o il trust ottengano dall’IRS, l’agenzia delle entrate USA, lo status di 501(c)3, sostanzialmente equivalente allo stato di ONLUS italiano. Il che, a sua volta, richiede di soddisfare alcune condizioni che negli anni si sono via via indebolite, ma che, secondo molti giovani filantrocapitalisti, ancora vincolano eccessivamente il raggio d’azione di chi vuole “fare del bene”.

In primis, c’è il vincolo della mission, per cui la charity deve avere precisi obiettivi di utilità sociale e deve dimostrare all’IRS di perseguirli distribuendo ogni anno almeno il 5% del valore del suo patrimonio. Non si tratta di una quota ingente ma in compenso il sistema, sotto questo aspetto, è molto trasparente. Infatti, tutti i “form 990” – l’equivalente della dichiarazione dei redditi per le Fondazioni USA – sono resi pubblici dall’IRS e chiunque può verificare se le grant concesse dalle Fondazioni sono in linea con i loro statuti e coerenti con l’ammontare che dovrebbero distribuire [1. Per una panoramica dettagliata sulle caratteristiche del sistema delle fondazioni USA il sito di riferimento è quello del Foundation Centre di New York che, tra l’altro, gestisce un database accessibile a tutti gli utenti e indicizzato per parole chiave, di tutti i form 990 delle Fondazioni grant-making statunitensi]. Da questo punto di vista il sistema di grant-making statunitense è, dunque, molto trasparente e dovrebbe rappresentare un modello per il resto del mondo e in particolare per il nostro paese.

La legge consente, però, alle Fondazioni di distribuire le grant senza rendere pubblici i  processi di selezione; d’altro canto, per la maggior parte delle fondazioni medio-piccole i costi da sostenere per istituire adeguate commissioni di valutazione sono proibitivi. Ne consegue che i criteri di grant making sono spesso poco chiari e che il principio della redistribuzione venga talvolta aggirato; ciò avviene in particolare quando i membri delle famiglie fondatrici creano a loro volta delle non-profit, più o meno legittime, a cui la fondazione di famiglia può trasferire anche l’intero 5% del patrimonio.

Nel caso dell’Iniziativa Chan-Zuckerberg, la LLC non chiederà (secondo quanto affermato da Zuckerberg) lo status di 501(c)3, e quindi non sarà obbligata a distribuire alcuna percentuale del proprio patrimonio, né dovrà preoccuparsi di rendere trasparenti i criteri con cui finanzierà progetti e attività benefiche e non dovrà creare neanche board o commissioni per definire le strategie di grant-making.

E’ probabile che questa opacità troverà un deterrente nell’attenzione che i media, e più in generale l’opinione pubblica,  riserveranno alle scelte di grant-making della LLC . Questa attenzione avrà probabilmente l’effetto di spingere un brand globale come Facebook a intraprendere azioni che non mettano in pericolo uno dei suoi asset più preziosi e volatili, la reputazione. Sarà, perciò, nell’interesse di Facebook fornire quanti più dati possibile sull’efficacia delle azioni filantropiche realizzate dall’Iniziativa Chan-Zuckerberg. Se così non fosse dovrebbe essere rivisto il giudizio di molti secondo cui quella di Zuckerberg è stata soprattutto  un’eccellente  – e molto costosa-  mossa pubblicitaria.

Questa pressione dell’opinione pubblica non potrà comunque sostituirsi al ruolo diindirizzo e controllo che nei sistemi democratici dovrebbero svolgere organismi rappresentativi della collettività. In questo caso, la collettività non potrà avere, almeno formalmente, alcuna voce in capitolo sulle scelte di distribuzione di un patrimonio così vasto.

Il secondo aspetto importante riguarda la possibilità che i Filantrocapitalisti dettino l’agenda politica. Tutte le organizzazioni che ottengono lo status di 501(c)3 devono sottostare  a un altro importante vincolo: il divieto di fare attività politica o di  lobbying  e di  supportare in qualsiasi modo le campagne elettorali.

Alla LLC di Zuckerber-Chan questo vincolo non si applica ed è probabile che  questa forma giuridica sia stata scelta proprio per avere una maggiore libertà di azione, forse nella convinzione che per raggiungere più efficacemente l’obiettivo “di far avanzare il potenziale umano e promuovere maggiore equità per tutti i bambini della prossima generazione”, sia necessario poter influenzare direttamente le scelte di policy locali, nazionali e magari internazionali. Invece di finanziare il lavoro di advocacy di associazioni non-profit, che inevitabilmente avrebbe richiesto qualche forma di negoziazione, Zuckerberg e Chan promuoveranno direttamente una loro specifica agenda politica.

Nella lettera aperta che annuncia la donazione alla figlia, si legge: “Dobbiamo partecipare alla definizione delle politiche e influenzare il dibattito pubblico”. Nella loro agenda politica è presumibile che figureranno modifiche al sistema scolastico USA, visto che Zuckerberg è stato grande finanziatore delle charter schools in New Jersey, attirandosi non poche critiche da parte dei sostenitori del sistema pubblico; ma forse anche la promozione di una regolamentazione fiscale internazionale ancora più favorevole di quella che gli ha consentito ad una così giovane età di raggiungere una ricchezza inimmaginabile anche per personaggi del calibro di Buffet e Soros.

Infine, un’ulteriore conseguenza potrebbe essere la rottura della solidarietà fiscale.  In un primo momento le (poche) critiche mosse all’Iniziativa Chan-Zuckerberg, soprattutto dall’ala liberal dei commentatori USA, tra cui John Cassidy del New Yorker,  hanno riguardato i presunti benefici fiscali che la coppia avrebbe tratto dalla donazione. Facendo alcune ipotesi sul valore delle azioni donate ogni anno (non più di 1 miliardo di dollari all’anno nei prossimi tre anni, per non perdere la maggioranza e quindi il controllo di Facebook), se avesse deciso di chiedere lo status di 501(c)3, la coppia avrebbe ottenuto ogni anno benefici fiscali uguali al valore della donazione, quindi fino a 1miliardo di dollari, il che equivale a supporre che non avrebbero più dovuto pagare tasse sul reddito per il resto della vita. Avendo, invece, scelto di non chiedere lo status di charity non otterranno benefici fiscali diretti dalla donazione. Anzi, se la LLC effettuerà investimenti o attività di natura commerciale, pagherà le tasse sui profitti che genererà. Ciò non toglie tuttavia che la possibilità di mettere –quasi- completamente al riparo dalla tassazione un patrimonio di dimensioni uguali o superiori al PIL di paesi come la Bolivia, la Birmania o la Slovenia, sollevi interrogativi molto seri sull’equità del sistema statunitense e sulla tendenza di questo nuovo filantrocapitalismo a rompere il patto di solidarietà fiscale su cui si reggono le società moderne.

Queste riflessioni forse non sono popolarissime in un momento in cui è messa fortemente in dubbio la capacità degli Stati e dei Governi di gestire la fiscalità in modo da contrastare efficacemente le crescenti disuguaglianze. Un’opinione pubblica disillusa da scandali e corruzione, tende a considerare più credibili ed efficaci le azioni  di  giovani miliardari di successo a cui attribuisce il merito di essersi fatti da sé,  dimostrando grande capacità di innovazione e di impresa.  Perché il modo migliore di redistribuire le ricchezze dovrebbe essere deciso da una classe politica screditata che agisce attraverso un sistema pubblico spesso corrotto e inefficiente, piuttosto che da coloro che hanno costruito grandi ricchezze?

Questa scarsa fiducia nel sistema democratico di rappresentanza e delega permette a iniziative come quelle di Zuckerberg  di conquistare presso l’opinione pubblica un consenso che non sarà facile mettere in discussione.

In conclusione, l’Iniziativa Chan-Zuckerberg può proiettare il filantrocapitalismo verso nuovi orizzonti, con rilevanti conseguenze ad almeno quattro livelli:

  • al livello del sistema filantropico americano, poiché questa iniziativa diventerà un modello di “nuova filantropia” e potrà influenzare altri miliardari che volessero dedicare parte del loro patrimonio a cause benefiche;
  • al livello dell’intero settore non-profit statunitense e mondiale che beneficia di questa forma peculiare di redistribuzione della ricchezza e che dovrà fare i conti con l’agenda di Zuckerberg e con le sue modalità alternative di grant-making;
  • al livello del sistema politico statunitense, che sarà oggetto di azioni di lobbying senza limitazioni da parte di soggetti che dispongono di risorse enormi per influenzare i processi decisionali su temi sociali, ma non solo;
  • e, infine, al livello dei meccanismi di rappresentanza che, nei sistemi democratici, devono stabilire le priorità sulle quali la comunità dovrà investire, redistribuendo il reddito tassato ai cittadini.

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