Volere bene al patrimonio culturale

Annalisa Cicerchia ricorda che il 2018 è stato l’Anno europeo del Patrimonio culturale, con oltre 23 mila eventi in 37 paesi, e si interroga sui suoi effetti in Italia. A questo scopo richiama un sondaggio precedente al 2018 sul rapporto dei cittadini europei con il patrimonio culturale dal quale risultava che l’interesse e l’apprezzamento del campione italiano erano inferiori alla media europea. Uno studio italiano del 2020 si è chiesto se con l’Anno europeo fosse cambiato l’atteggiamento degli italiani verso i beni culturali e naturali: una volta tanto, è emersa una bella sorpresa.

Qualcuno ricorderà che il 2018 è stato dichiarato Anno Europeo del Patrimonio culturale, promosso per “incoraggiare la condivisione e la valorizzazione del patrimonio culturale dell’Europa quale risorsa condivisa, sensibilizzare alla storia e ai valori comuni e rafforzare il senso di appartenenza a uno spazio comune europeo”.

Vista la materia delicata e controversa, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno scelto di parlare di Anno europeo del patrimonio culturale e non Anno del patrimonio culturale europeo, per non urtare sensibilità identitarie, nazionaliste e rivendicazioniste.

Gli Stati membri sono stati quindi chiamati a realizzare attività ed iniziative volte a valorizzare il patrimonio e a rafforzare il senso di appartenenza dei cittadini, sostenuti da un budget di 8 milioni di euro, più 4,8 per progetti speciali nell’ambito del programma Europa Creativa. Oltre 23mila eventi hanno coinvolto 37 Paesi e visto la partecipazione di 12,8 milioni di persone.

Fra i risultati diretti più significativi dell’Anno, secondo la Commissione Europea, il primo e principale è stato il grande coinvolgimento dei cittadini, testimoniato dalla risposta corale di singoli, di associazioni e di organizzazioni pubbliche e private.

In preparazione dell’Anno Europeo era stato lanciato l’Eurobarometro Speciale 466, dedicato al patrimonio culturale. L’Eurobarometro è una iniziativa di rilevazione delle opinioni dei cittadini dell’Unione, che dipende dalla Commissione Europea e che è affidata a società di rilevazione private. L’Eurobarometro standard prevede circa 1000 interviste faccia a faccia per stato membro, con due rilevazioni all’anno. L’Eurobarometro speciale, integrato nelle rilevazioni dell’Eurobarometro standard, viene effettuato sulla base di approfondimenti tematici richiesti dalla Commissione o da altre istituzioni comunitarie, così come è accaduto in vista dell’Anno dedicato al Patrimonio.

I risultati, paese per paese, pubblicati alla fine del 2017, offrono una fotografia del rapporto dei cittadini europei con il patrimonio che nessuno, fino ad allora, si era curato di rilevare. Nel complesso, i risultati sono stati incoraggianti, anche se in diversi paesi e in alcuni specifici aspetti della rilevazione l’Eurobarometro ha confermato l’opportunità di prendere iniziative per far comprendere meglio il significato e il valore del patrimonio e avvicinarlo di più ai cittadini. In particolare, le opinioni raccolte presso il campione italiano si sono rivelate in alcuni comparti più caute e distanti, se non addirittura più scettiche, della media, rivelando (nessuna sorpresa!) minore familiarità dei nostri concittadini con siti, luoghi e risorse storiche, artistiche e paesaggistiche e un tasso di partecipazione decisamente più basso della media europea.

L’Anno è servito a cambiare qualcosa, in questa direzione? Sembrerebbe di sì, secondo quanto è emerso dalla indagine condotta nel 2020 dalla Fondazione Scuola dei Beni e attività culturali, con l’Associazione per l’Economia della cultura, sull’impatto dell’Anno in Italia.

Nel nostro Paese sono stati realizzati 1.690 tra eventi e progetti, alcuni dei quali hanno avuto diritto a piccoli finanziamenti, oppure a fregiarsi del marchio ufficiale, oppure ad essere inclusi nel calendario delle manifestazioni. Secondo il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, hanno preso parte direttamente a queste iniziative circa 1 milione e 120 mila persone. La geografia italiana delle iniziative è disomogenea e più densamente popolata nel Centro e nel Sud (al Nord è stato coinvolto con almeno un programma un comune su 17, al Sud uno ogni 8). Sei regioni hanno ospitato più della metà degli eventi; nel solo Lazio, se ne contano 229. La categoria maggiormente rappresentata tra i promotori è quella delle associazioni del Terzo settore, con 817 progetti (48,3 per cento del totale); i Comuni hanno proposto 174 progetti (10,3 per cento); le Fondazioni 121 progetti (7,2 per cento); Il MiBACT, attraverso gli uffici centrali e periferici e i musei autonomi, ne ha realizzati 111 (il 6,6 per cento); le Università e gli Enti Pubblici di Ricerca il 6%; le società private 100 progetti (5,9 per cento) e infine le società cooperative (3%), le scuole pubbliche (2%), le Regioni (2%), hanno dato vita ad altri 326 progetti.

L’indagine della Fondazione, oltre che valutare l’impatto – complessivamente, piuttosto favorevole in termini di visibilità e innovazione – dell’Anno sul settore culturale e creativo, ha anche dato spazio rilevante al tema del coinvolgimento dei cittadini. A questo scopo, a un campione di 600 persone, estratto nei comuni dove si erano svolte manifestazioni rilevanti dell’Anno, sono state riproposte testualmente alcune delle domande dell’Eurobarometro 466 (il campione del 2017 era per l’Italia fatto di 1.000 intervistati).

I dati sembrano indicare, in modo notevolmente coerente, che l’Anno Europeo del Patrimonio non è passato invano, e che alcuni atteggiamenti dei cittadini italiani sono cambiati nella direzione auspicata.

Per esempio, la percentuale di persone che negli ultimi 12 mesi hanno dichiarato di essere state almeno una volta in una biblioteca o in un archivio è passata dal 23 al 56 per cento; quella di chi è andato a visitare monumenti o siti dal 51 al 72 per cento; quella di chi ha preso parte a spettacoli dal vivo dal 38 al 44 per cento; quella di chi è stato almeno una volta in un laboratorio di artigianato artistico dal 26 al 48 per cento.

Anche il sentiment nei confronti del patrimonio sembra aver virato al meglio. Solo il 31 per cento del campione italiano dell’Eurobarometro speciale del 2017 si trovava completamente d’accordo con l’affermazione Vivere in prossimità di luoghi ove sia presente il patrimonio culturale di valore europeo può promuovere la qualità della vita dei cittadini. La percentuale rilevata dal questionario della Fondazione e di Economia della cultura nel 2020 è dell’83 per cento. Un aumento lo ha registrato anche la percentuale dei residenti che si trova completamente d’accordo con l’idea che Vivere in prossimità di luoghi collegati ad un patrimonio culturale può dare ai cittadini un maggiore senso di appartenenza all’Europa: dal 27 al 64 per cento.

I consensi pieni all’affermazione I monumenti ed i siti, le opere d’arte e le tradizioni popolari della mia regione e del mio paese (ad es. artigianato artistico, festival, musica, danza, ecc.) stimolano un senso di fierezza e di orgoglio sono passati dal 35 al 56 per cento; quelli all’affermazione I monumenti e i siti, le opere d’arte e le tradizioni popolari (ad es. artigianato artistico, festival, musica, danza, ecc.) in luoghi o città dell’Europa diversi dal mio stimolano un senso di fierezza e di orgoglio dal 29 al 55 per cento.

Sono significativamente più alte anche le quote di intervistati che dichiarano di essere completamente d’accordo con la necessità di rendere il patrimonio culturale europeo oggetto di insegnamento scolastico (dal 39 all’82 per cento) e che sono convinti che patrimonio culturale europeo o le attività collegate alla fruizione del patrimonio promuovano l’economia e il lavoro in Europa (dal 29 al 68 per cento).

Lo studio di valutazione di impatto condotto dalla Fondazione propone almeno tre spunti di riflessione.

Il primo riguarda proprio gli studi di impatto delle politiche e degli interventi culturali, in Italia ancora troppo pochi e spesso eseguiti per finalità puramente formali e amministrative, ma che invece contribuirebbero a migliorare significativamente la qualità della progettazione e a orientare in modo più specifico i nessi fra risorse impiegate e risultati attesi.

Il secondo riguarda l’oggetto dello studio, e si traduce in domande sulle caratteristiche dei cambiamenti rilevati: quali fattori concomitanti, rinforzando l’azione degli eventi dell’Anno europeo, li hanno favoriti? Quanto tempo passerà, in assenza di rinforzo, perché i benefici dell’attenzione al valore del patrimonio si disperdano? Come integrare, nell’analisi, oltre che la dimensione quantitativa della frequentazione di luoghi e istituzioni, anche la qualità delle esperienze culturali?

Il terzo spunto è di tipo politico, di politica culturale. L’Anno europeo ha messo al centro dell’attenzione una visione del patrimonio in chiave di qualità della vita, di identità, di caratterizzazione dei luoghi dell’esperienza quotidiana, di affettività, di appartenenza. Si tratta di una novità importante, rispetto all’appiattimento sulle sole opportunità di redditività turistica al quale siamo purtroppo abituati in Italia (anche negli scarsi spazi dedicati al tema dal PNRR).

Questa prospettiva sembra reggere molto meglio dell’altra allo stravolgimento causato dalla pandemia. Infatti, se il patrimonio ha senso solo o soprattutto come giacimento da sfruttare il più possibile con l’industria del turismo (arrivando a minacciarne la stessa conservazione con fenomeni di pressione insostenibile, chiamati overtourism), nei lunghi mesi segnati dalla crisi sanitaria, con l’azzeramento dei viaggi internazionali, non si saprà bene che cosa farne. Al contrario, se si riconosce al patrimonio culturale la capacità di avere un senso per il benessere e il godimento quotidiano di chi vive e lavora a contatto con beni, siti e luoghi, pur con i vincoli imposti dalla necessità di contrastare i contagi, le esperienze di prossimità potranno continuare e intensificarsi anche in piena emergenza, e contribuire, come del resto raccomanda ai propri associati l’International Council of Museum, alla ripresa e alla resilienza delle comunità.

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