Viaggio nell’Italia del lavoro

Paolo Ciofi, “Viaggio nell’Italia del lavoro”, Caliceditori, 2008

Il libro scritto da Paolo Ciofi è una eccezionale testimonianza di un viaggio “da vicino” nel mondo del lavoro. Detto con le parole di Ciofi un viaggio “alla scoperta di questo mondo solitamente sconosciuto e ignorato, di certo molto complicato e persino contraddittorio, che per brevità e con qualche approssimazione chiamiamo mondo del lavoro”. Il viaggio non è metaforico ma reale, e ciò costituisce un elemento che rafforza l’analisi dell’autore, ovvero del racconto basato sull’incontro con i luoghi e la gente, tanto trascurati nelle analisi del mondo produttivo e capitalistico italiano, raccontate esclusivamente attraverso numeri e non fatti.

Ciofi, usa anche molto bene i numeri ed in modo molto intelligente, mostrando come il mondo del lavoro dipendente, che rimane subacqueo per media e politica è tutt’altro che invisibile, quantomeno per le statistiche ufficiali. Non cambia la consistenza numerica ma cambia profondamente il rapporto di forza tra capitale e lavoro, che diventa un rapporto fortemente asimmetrico a vantaggio del primo. Lo squilibrio che si rafforza e solidifica tra profitti e salari, segna il predominio di un capitalismo globale che sottrae risorse all’economia per attraccarsi alle speculazioni offerte dal mondo dei mercati finanziari. Questo processo è tipico di questa fase della globalizzazione in cui domina una monocultura dell’impresa capitalistica moderna.

L’appiattimento del capitalismo italiano, fa notare giustamente Ciofi, su finanza e delocalizzazione spinta, si traducono inevitabilmente in devalorizzazione e dequalificazione del lavoro, utilizzo della precarietà ed insicurezza sociale con il peggioramento della condizione materiale e psicologica dei lavoratori. Aggiungo che il frazionamento spinto della produzione e l’esternalizzazione, operando attraverso la devalorizzazione del lavoro, sono anch’essi parte responsabile di quella perdita di produttività che troppo spesso viene additata in via esclusiva alla incapacità di comprimere in maniera asfittica il costo del lavoro. Ricordiamoci che il successo delle imprese distrettuali di Becattini veniva proprio attribuito alla qualità dell’ambiente produttivo e delle relazioni sociali del distretto, che già Marshall chiamava “atmosfere industriali”.

Il libro si chiude con una inchiesta sugli infortuni e sulle “morti bianche” nel Lazio e nella capitale. I dati riflettono le trasformazioni dell’economia, segnando un massiccio spostamento dei casi di infortunio e morti bianche dai settori manifatturieri ai servizi. Ciofi fa notare che questo dato è indicativo del fatto che alla trasformazione produttiva dell’economia in chiave di una accresciuta modernità, non si è accompagnato un miglioramento qualitativo delle condizioni del lavoro. In altre parole, chi si appropria dei vantaggi della modernità produttiva sono i capitali a scapito dei lavoratori, che sostengono da una posizione di svantaggio relativo il peso preponderante di questo processo inarrestabile, del quale essi non godono alcun beneficio.

In conclusione, la lettura di questo libro e la ricerca che ne è alla base, rappresenta un prezioso documento per riportare al centro dei media e della politica, il tema del lavoro non come problema nazionale ma come opportunità per ricostruire le basi sociali del dialogo tra politica e società e ridare nuove e solide basi all’economia italiana.

                                                                                                                                                           Luca Murrau

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