Verso un parlamento fluido? Il fenomeno degli Intergruppi parlamentari

Eugenio Levi, Rama Dasi Mariani e Elena Paparella analizzano il fenomeno dei c.d. Intergruppi parlamentari combinando un approccio quantitativo con una prospettiva giuspubblicistica. Gli autori individuano e analizzano - anche attraverso un raffronto tra parlamento italiano e europeo - le principali caratteristiche di questi raggruppamenti trasversali e sganciati dai partiti; ne mettono in evidenza gli elementi critici -legati alla scarsa trasparenza- e le potenzialità; e si interrogano sulla possibile matrice del fenomeno, riconducibile alla crisi del partito tradizionale.

Molti cittadini italiani hanno scoperto dell’esistenza degli Intergruppi parlamentari nel dibattito sulla legalizzazione della cannabis. Infatti, in quell’occasione, 112 parlamentari provenienti da gruppi diversi si sono riuniti sotto un’unica sigla, “Cannabis legale”, per tentare di dare impulso ad un iter legislativo e di stimolare una mobilitazione nella società su questo tema. Di per sé, sembrerebbe una novità interessante nel panorama parlamentare italiano, capace di dare una scossa al rapporto fra società civile e istituzioni, agevolando la rappresentanza di interessi che al momento non si identificano in nessun partito. Ma è davvero così?

In primo luogo occorre precisare che la costituzione e l’attività degli Intergruppi parlamentari non è normata. Il fenomeno assume un carattere spontaneo e informale e, per questo, connotato da una diffusa mancanza di trasparenza, come emerge dalle Fig. 1 e 2. Non esiste un elenco ufficiale di Intergruppi parlamentari, per cui la lista su cui abbiamo sviluppato quest’analisi (disponibile su richiesta) è ricostruita attraverso i siti web, i comunicati stampa e le schede dei singoli parlamentari sui siti istituzionali di Camera e Senato.

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Gli Intergruppi che siamo riusciti a catalogare sono 46. La media di parlamentari per Intergruppo, considerando i dati disponibili e pubblicati dagli Intergruppi stessi, è 68. In particolare, 6 Intergruppi dichiarano più di 100 parlamentari membri: “Cannabis legale”, “Non è un gioco” (contro il gioco d’azzardo), “Amici del Tiro, della Caccia e della Pesca”, quelli sul Terzo Settore, quello per l’Acqua Bene Comune.

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Un elemento di rilievo che emerge dall’analisi delle attività svolte dagli Intergruppi se analizziamo la Fig. 3, sembrerebbe l’evidente distinzione rispetto agli interessi rappresentati. Da una parte, alcuni gruppi sembrano rappresentare interessi fluidi, poco strutturati in organizzazioni consolidate, nonché legati a singole proposte di legge. Si tratta di un numero esiguo, ma spesso si rivelano i più attivi e provvisti di un sito funzionante. Fra questi, troviamo Cannabis legale, l’Intergruppo sulla cittadinanza per gli immigrati di seconda generazione, quello per il testamento biologico e quello per l’Acqua bene comune. Dall’altra, c’è un numero più vasto di gruppi che sembrano rappresentare interessi consolidati, di cui si fanno portavoce associazioni di natura pubblica o privata, spesso vere e proprie lobbies, che esistono da molti anni e che rappresentano interessi piuttosto stabili nel tempo. Ad esempio, l’Intergruppo “I costi del non fare” sulle utilities pubbliche è collegato al corrispondente Osservatorio, l’Intergruppo Nuova Mobilità Ciclistica alla FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta), l’Intergruppo Amici del Bio alla Città del Bio, Globe Italia alla corrispettiva associazione, l’Intergruppo per lo Sviluppo della Montagna alla UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) e così via. Meno rilevanti rispetto al problema della rappresentanza, ma pur sempre presenti, sono anche Intergruppi che servono per monitorare più efficacemente un fenomeno sociale e facilitare così il lavoro parlamentare e quelli che, invece, costituiscono soltanto un megafono per un singolo parlamentare in cerca di visibilità.

Gli Intergruppi del primo tipo, per quanto organizzati, non sembrano riuscire a raggiungere risultati concreti. Hanno fin qui avuto serie difficoltà a far avanzare le loro proposte in Parlamento. I loro disegni di legge sono nella gran parte dei casi ancora fermi in Commissione, per cui difficilmente raggiungeranno in questa legislatura gli obiettivi che si erano preposti. Altri, fra cui il disegno di legge sulla cittadinanza, che pure era nel programma elettorale del PD e di SEL, sono da tempo in attesa di essere calendarizzati in Assemblea. Questa difficoltà non sembra imputabile alla composizione degli Intergruppi, visto che in ognuno di questi vi è una folta presenza di parlamentari PD, bensì allo scarso sostegno da parte dei gruppi parlamentari di riferimento. Il secondo tipo di Intergruppi, invece, sembra decisamente più efficace nel raggiungere risultati. Alcuni sono riusciti ad approvare la proposta di legge per cui si erano costituiti, come l’Intergruppo per la cooperazione allo sviluppo, altri, la maggior parte, hanno proposto e fatto approvare in Parlamento degli emendamenti alle Leggi di Stabilità sui loro temi di riferimento.

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Considerata tale distinzione fra tipi di Intergruppi, non sembra che su questa abbiano influenza le differenze di temi per i quali essi si attivano (Fig. 4). Molti, il 40%, affrontano argomenti legati alle politiche sociali e ai diritti civili. Fra questi, vi sono vari Intergruppi sulle politiche per la salute, sui diritti civili, per l’eutanasia e il testamento biologico, sulle politiche di welfare. Il 18% degli Intergruppi segue tematiche a carattere economico, spesso a tutela di interessi particolari, quali gli esercizi balneari, i comuni di montagna, gli impianti termali, ecc. e il 15% si occupa di politica estera, ad esempio quelli per l’amicizia con il popolo curdo o saharawi o l’”Intergruppo parlamentare amici di Vladimir Putin”. Decisamente staccati gli altri ambiti, ovvero ambiente, innovazione e infrastrutture e mobilità, con 3 Intergruppi ciascuno, e fanalini di coda religione (2 Intergruppi, uno che riunisce i parlamentari evangelici e l’altro sul Giubileo) e cultura, con solo un Intergruppo sulla musica.

Tale proliferazione di Intergruppi su di uno stesso argomento sembrerebbe costituire un interessante indice della frammentazione degli interessi specifici rappresentati. A tale riguardo sono emblematici l’Intergruppo parlamentare sulla Sussidiarietà e l’Intergruppo parlamentare per il Terzo Settore: entrambi rilevanti in termini numerici, si occupano dello stesso argomento con le stesse finalità, ma rappresentano soggetti associativi diversi, Comunione e Liberazione il primo, il Forum del Terzo Settore il secondo.

Per ampliare la prospettiva è parso utile un raffronto con il Parlamento Europeo, all’interno del quale gli Intergruppi parlamentari sono collocati al livello più basso della struttura organizzativa, come risulta dal sito istituzionale su cui è pubblicato l’elenco completo, corredato dei nominativi dei rispettivi membri, oltre che dell’indicazione degli eventuali supporti finanziari ricevuti.

Probabilmente in virtù della loro regolamentazione (art. 34 Regolamento PE), di 28 Intergruppi presenti nel PE, 16 hanno un sito ufficiale. In altri termini si tratterebbe di un 57% contro il 17% degli Intergruppi del Parlamento italiano. Risulta quindi agevole seguire i lavori, tutti rendicontati in diverse voci del menu; incontri, risoluzioni, lettere, ecc. Per quanto riguarda i “successi” dell’attività degli Intergruppi, anche in questo caso i numeri sono a favore della realtà europea: 14 Intergruppi su 28 hanno portato a compimento numerosi progetti legislativi e risultano molto attivi nel rapporto con la società civile.

Per contro, valutare complessivamente l’operato degli Intergruppi parlamentari italiani non è agevole soprattutto in considerazione della loro eterogeneità. Infatti, se da un lato appare quasi scontata una valutazione positiva dell’Intergruppo “Non è un gioco”, che ha introdotto numerose novità nell’ambito del gioco d’azzardo, prima su tutte la campagna “Gioca Responsabile”, su altro versante, altrettanto scontato è il giudizio negativo sull’Intergruppo “Amici del Termalismo”, per il quale non è stato possibile trovare alcuna proposta. Tuttavia, oltre a questi, ci sono Intergruppi che rappresentano interessi meno specifici, i quali si fanno carico di battaglie che produrranno i loro effetti, probabilmente, solo nel lungo periodo. Al momento dunque sfuggono a valutazioni di tipo quantitativo. Piuttosto, ciò che delude di più del nostro Parlamento è la mancanza di Intergruppi sul tema del lavoro, dei diritti umani, della povertà, dell’ambiente, della libertà di religione. Questi vuoti sono colmati nel Parlamento europeo (v. gli interguppi “antirazzismo e diversità” e “cambiamento climatico, sviluppo sostenibile e biodiversità”), probabilmente più idoneo a forme maggiormente organizzate di associazionismo endo-parlamentare, in quanto non “geneticamente” strutturato sui partiti tradizionali.

A tale riguardo ci si chiede se tali differenze – di istanze e/o interessi rappresentati – tra il livello europeo e quello nazionale, non abbiano a che fare proprio con il tema più generale della trasformazione dei partiti politici e della loro funzione. Sembrerebbe quindi proficua la combinazione di riflessioni, sia pure rapide, concernenti i modelli della rappresentanza e dell’organizzazione parlamentare, con l’analisi di dati, al fine di spiegare le ragioni e le caratteristiche della proliferazione di questi raggruppamenti parlamentari trasversali, sganciati da una diretta appartenenza partitica e spesso – ma non sempre – impegnati in via esclusiva nell’ambito di iter legislativi specifici. Che i partiti abbiano perso molto del loro potenziale di mediazione e rappresentanza fuori del parlamento corrisponde, infatti, ad un fenomeno ben chiaro, ma che i partiti – cui dovrebbero corrispondere i gruppi parlamentari nella loro valenza politica – abbiano perso consistenza anche dentro il parlamento, e che questo possa essere, a seconda dei casi, il risvolto parlamentare della cittadinanza attiva o una manifestazione di attività di lobbying, forse non appare sempre così evidente.

Tra le interpretazioni più immediate dell’origine e della proliferazione degli Intergruppi parlamentari, vi potrebbe essere quella che induce a definirli come espressione del tentativo di allestire canali alternativi di comunicazione tra i cittadini elettori e gli organi di governo, sia pure con modalità, obiettivi ed esiti, come si è visto, molto eterogenei. Sembrerebbe quindi non troppo irragionevole considerarli come un ulteriore effetto della crisi delle forme della democrazia rappresentativa veicolata dai partiti e, all’interno del parlamento, dai gruppi parlamentari. Per di più anche questi ultimi – almeno per quanto concerne l’esperienza del nostro Parlamento – soffrono di un costante logorio, imputabile ad una normativa regolamentare parlamentare tendente alla separatezza tra partiti e gruppi, a sua volta in qualche misura alimentata da una giurisprudenza costituzionale poco incline a riconoscere il rilievo costituzionale dei partiti (G. Rivosecchi, I partiti politici nella giurisprudenza costituzionale, in Osservatorio Costituzionale, 3/2016, 7/10/2016)

Per quanto riguarda la generale tematizzazione del “partito” in relazione alla sua “crisi”, si può dire che sia frequente nelle riflessioni delle più diverse discipline, almeno tanto quanto consolidata e strutturale è ormai la più generale evanescenza sia dei c.d. “corpi intermedi”, che di un modello di democrazia rappresentativa ampiamente strutturato su questi ultimi.

Sono ben noti i temi “caldi” oggetto delle più diffuse analisi sulla progressiva estinzione della funzione di intermediazione dei partiti. Il passaggio al professionismo della politica, con i costi che ne derivano (F. Biondi, Il finanziamento pubblico dei partiti, in F. Biondi, G. Brunelli, M. Revelli, I partiti politici nella organizzazione costituzionale, Napoli, 2016) e che mutano radicalmente le logiche e i codici della rappresentanza (P. Ignazi, Forza senza legittimità. Il vicolo cieco dei partiti, Roma-Bari, 2012), la perdita di collegamento con l’elettorato, la riduzione della partecipazione attraverso il voto.

Ad alimentare tale processo di indebolimento dei partiti vi sarebbero anche ragioni più generali collegate al c.d. “post-fordismo politico” (M. Revelli, Finale di partito, Torino, 2013), ovvero lo sganciamento dalle ideologie, oltre che da classi sociali individuate, l’impossibilità per il partito di contare come in passato su di un certo tipo di adesioni, o sul sistema delle deleghe. Peter Mair ha molto efficacemente sintetizzato, anche di recente, i punti salienti della crisi strutturale dei partiti: 1) il ritiro dei partiti dai territori, 2) il problema delle risorse sfociato nel finanziamento pubblico, 3) il professionismo della politica che vede i quadri di partito transitare stabilmente verso il Parlamento (P. Mair, Ruling the void. The hollowing-out of western democracy, London-New York 2013).

Tutto questo genera l’ampliamento di una partecipazione dal basso che non si collega ai partiti ma si colloca nei movimenti, realizzando una deviazione dalla politica alla c.d. “sub-politica” (U. Beck, la società del rischio.. Verso una seconda modernità, 1986, Roma, 2000) e producendo una sostanziale e progressiva fluidificazione della volontà dell’elettorato, che di fatto induce a spostare la riflessione dal rappresentante al rappresentato, in altri termini a prendere in considerazione anche la crescente “labilità del démos” (M. Luciani, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in N. Zanon, F. Biondi (a cura di), Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, Milano, 2001; G. Brunelli, Partiti politici e dimensione costituzionale della libertà associativa, in F. Biondi, G. Brunelli, M. Revelli, I partiti politici nella organizzazione costituzionale, Napoli, 2016). Di fatto gli obiettivi della mobilitazione sono mutevoli e l’elettorato si mostra disposto a mobilitarsi di volta in volta per una specifica istanza, piuttosto che perseverare nella fedeltà a un partito.

Tale scenario sembrerebbe costituire il retroterra – o meglio l’humus – del fenomeno degli Intergruppi parlamentari, insieme alla evidenza che il modello costituzionale di cui all’art. 49 Cost. – confacente alla forma di governo parlamentare per la quale “il sistema dei partiti entra nel sistema <presupposto> dalle norme costituzionali” (L. Elia, Governo (forme di) in Enc. Dir. Milano, 1970) – è da tempo sottoposto all’incessante logorio della più che tendenziale torsione maggioritaria, oltre che del contestuale svuotamento della funzione parlamentare.

Per concludere, l’esperienza degli Intergruppi nel nostro Parlamento potrebbe rivelare una potenziale alternativa al canale tradizionale dei partiti nel rappresentare interessi fluidi che, tuttavia, rispetto al corrispettivo del Parlamento Europeo, al momento risulta ancora ampiamente inespressa e solo parzialmente efficace. Allo stesso tempo, questo non impedisce agli Intergruppi un discreto – anche se scarsamente trasparente – livello di radicamento nelle dinamiche parlamentari come sede privilegiata d’interlocuzione fra parlamentari di gruppi diversi e interessi strutturati, tanto da rendere incerta la definizione, nonché demarcazione, tra causa ed effetto degli Intergruppi in rapporto alla crisi dei partiti.

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