Verso la Commissione europea 2014-2019: tensioni democratiche e resistenze governative

Mario Gervasi illustra le novità introdotte dal Trattato di Lisbona del 2007 relativamente sia al ruolo del Parlamento europeo sia al procedimento di nomina della Commissione Europea e del suo Presidente. In particolare, Gervasi mette in rilievo come queste novità possano avere contribuito a determinare lo stato di incertezza in cui si trova oggi l’Unione europea e ad alimentare qualche equivoco riguardo all’evoluzione in senso parlamentare dei rapporti istituzionali all’interno dell’Unione europea.

A seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona del 2007, per la nomina del Presidente della Commissione il Consiglio europeo è chiamato a tenere conto delle elezioni del Parlamento europeo e a procedere alle relative consultazioni; ed è proprio il Parlamento che, in ultima istanza, elegge il Presidente della Commissione (art. 17, par. 7, TUE). Benché parte della dottrina abbia riscontrato in tale innovazione, di per sé, un importante contributo alla democratizzazione della Commissione, essa presenta carattere meramente formale. Infatti, nonostante il ˗ generico ˗ riferimento ai risultati elettorali e alle consultazioni del Consiglio europeo con gli eurodeputati, e nonostante l’«elezione» del Presidente della Commissione da parte del Parlamento, resta fermo che, sostanzialmente, il ruolo del Parlamento europeo si riduce alla mera scelta tra la conferma ed il rigetto della designazione del Consiglio europeo.
Tuttavia prendendo le mosse da tale innovazione normativa, oltre che dai documenti prodotti dal Parlamento e dalla stessa Commissione – Risoluzione PE 22 novembre 2012, 2012/2928(RSP), Comunicazione Commissione 12 marzo 2013, COM(2013) 126 final, Raccomandazione Commissione 12 marzo 2013, 2013/142/UE, Risoluzione PE 4 luglio 2013, 2013/2102(INI) – i principali partiti politici europei hanno indicato già durante la campagna elettorale per il rinnovo dell’Assemblea il nome del proprio candidato alla Presidenza della Commissione, incanalando, in tal modo, la scelta del Consiglio europeo verso un esito che non ha potuto non tenere conto dei primi “timidi” passi compiuti verso un rinnovamento dell’assetto istituzionale europeo, orientato ad una maggiore centralità del Parlamento (si veda Claudio De Fiores, in questo numero del Menabò).
Si riscontrerebbe, allora, un’evoluzione in senso democratico del meccanismo di nomina del Presidente della Commissione, ma resterebbe aperto il quesito dell’effettiva portata di tale evoluzione ai fini della democratizzazione della Commissione tutta.
Nessuna novità ha apportato, infatti, il Trattato di Lisbona rispetto al ruolo del Presidente della Commissione nella designazione degli altri componenti dell’Istituzione: l’indicazione dei membri della Commissione spetta al Consiglio, cui viene prescritto di procedere a tale scelta meramente «di comune accordo» con il Presidente eletto. A prima vista, emergono il carattere del tutto generico del riferimento all’«accordo» del Consiglio con l’eletto Presidente della Commissione, nonché il ruolo fondamentale della volontà degli Stati, cui spetta in principio la proposta dei candidati a membri della Commissione. Considerando anche la vaghezza dei criteri di elezione dei commissari, ampio è il margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri nell’indicazione dei candidati.
Coerentemente, il potere del Presidente della Commissione di deciderne l’organizzazione interna, nonché di nominare i Vicepresidenti (art. 17, par. 6, TUE), non appare di particolare incisività, intervenendo dopo la formazione dell’Istituzione. Del resto, uno dei Vicepresidenti della Commissione è l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il quale viene nominato direttamente dal Consiglio europeo, con il mero «accordo» del Presidente della Commissione (art. 18, par. 1 TUE). Anche il potere di provocare le dimissioni di uno dei membri della Commissione altro non è che un potere negativo, che non incide fattivamente sulla composizione della Commissione. Ad onta della sua formale funzione di indirizzo, non sembra quindi possa riconoscersi al Presidente della Commissione una significativa posizione di supremazia al suo interno.
Nessuna modifica è stata introdotta dal Trattato di Lisbona anche rispetto al ruolo del Parlamento europeo nella fase conclusiva della nomina della Commissione. All’Assemblea, infatti, spetta solamente il voto di approvazione della proposta Commissione: di nuovo, il margine di manovra del Parlamento europeo è ridotto all’aut aut tra ratifica e rigetto.
Alla luce di quanto detto, rispetto alla designazione dei membri della Commissione il ruolo del Presidente della Commissione e quello del Parlamento europeo restano alquanto modesti; piuttosto, spetta al Consiglio europeo, cioè a un organo di Stati, la scelta dei candidati commissari, peraltro sulla base delle proposte avanzate dagli Stati membri.
A conferma della persistenza dell’interesse degli Stati membri per la composizione della Commissione, va infine segnalato il fallimento della riduzione del numero dei componenti dell’Istituzione a 2/3 del numero degli Stati membri (art. 17, par. 5, TUE), in luogo della presenza di un cittadino per ogni Stato dell’Unione europea (Decisione del Consiglio europeo del 22 maggio 2013, 2013/272/UE). Di conseguenza, a dispetto della sua formale configurazione come organo tecnico preposto alla promozione dell’interesse generale dell’Unione, nella Commissione trovano di fatto affermazione anche gli interessi particolaristici degli Stati membri; se così non fosse, non si spiegherebbe il motivo della ritrosia di questi ultimi ad accettare la riduzione del numero della membership della Commissione.

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