Variazioni climatiche e sviluppo economico

Il premio Nobel assegnato ad Al Gore ha confermato l’importanza che i cambiamenti climatici hanno assunto non solo tra gli scienziati ma anche negli ambienti politici ed economici e nell’opinione pubblica. In generale, vi è un certo consenso sul fatto che l’attività umana stia determinando delle alterazioni sugli equilibri climatici del nostro pianeta, però esistono diverse idee sull’evoluzione del clima nel futuro. In questo articolo si cercherà di fare il punto per delineare dei possibili scenari sui cambiamenti climatici che potrebbero verificarsi in tempi non lontani. Tali scenari dipenderanno anche dalle politiche che verranno messe in atto nei prossimi anni a livello globale.

Grazie alle stime sulle variazioni della temperatura e dell’anidride carbonica ottenute dalle analisi sulla carota glaciale della stazione russa di Vostok in Antartide, è stato possibile ricostruire l’evoluzione del clima negli ultimi 420.000 anni della storia della Terra (Fig. 1).

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Figura 1 – Variazioni della temperatura e dell’anidride carbonica negli ultimi 420.000 anni.

Fonte: J.R. Petit et alii (1999).

Dall’analisi appare chiaramente che picchi caldi (interglaciali) e picchi freddi (glaciali) si sono alternati con una certa regolarità – circa 100.000 anni – e le variazioni di temperatura e di anidride carbonica sono state simili: gli innalzamenti sono stati rapidissimi, mentre le diminuzioni sono state più lente e discontinue. E questo è accaduto anche per il livello del mare: alle brusche risalite si sono succeduti lenti abbassamenti. Durante i massimi glaciali la temperatura media terrestre era di 6-8°C inferiore all’attuale, ma nelle zone polari si giunse sino a 10-14°C in meno. Com’è noto, le oscillazioni climatiche di lungo periodo sono in massima parte riconducibili ai movimenti della Terra intorno al Sole ed alle conseguenti variazioni dell’energia solare in arrivo.

Osservando con attenzione la Figura 1 si può vedere che nell’ultimo periodo caldo databile a circa 125.000 anni fa, la temperatura aveva raggiunto un valore più elevato rispetto a quello di oggi; inoltre, nel Mar Mediterraneo si era ampiamente diffusa la fauna marina di provenienza senegalese e il livello del mare era addirittura sette metri più alto del livello attuale (F. Antonioli, 2004). Ma ciò che differenzia la fase calda attuale da quelle precedenti è il livello di anidride carbonica: oggi la quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera è nettamente superiore rispetto al passato.

Dopo il picco caldo di 125.000 anni è iniziata una lunga e lenta fase di raffreddamento, che ha raggiunto il culmine circa 20.000 anni fa, momento in cui il livello del mare era 120 metri al di sotto del livello attuale. Poi, nel periodo compreso tra 20.000 e 14.000 anni fa, si è verificato un riscaldamento rapidissimo, a cui è seguito un crollo della temperatura che ha toccato un minimo circa 12.700 anni fa (Fig. 2). Si tratta dello Younger Dryas, un episodio freddo che è considerato “un cambiamento climatico improvviso” per la rapidità e l’intensità con cui ebbe luogo (la durata è di circa 1.200 anni). La violenta caduta di temperatura fu determinata proprio dal rapido processo di riscaldamento che aveva innescato lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia. In tal modo grandi quantità di acqua fredda e dolce si riversarono nell’Oceano, riducendone la salinità e bloccando la risalita verso nord della corrente calda del Golfo. L’effetto fu una glaciazione di tutta la fascia costiera dell’Europa Occidentale.

Figura 2. – Variazioni della Temperatura in Groenlandia negli ultimi 17.000 anni.

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Fonte: R.B. Alley (2001).

Dopo questo evento freddo la temperatura ha ripreso a salire e, intorno a 10.000 anni dal presente, si è assestata sui valori attuali consentendo alla specie umana di sfruttare l’ambiente con l’agricoltura e l’allevamento. E’ interessante segnalare che anche nell’ultimo picco caldo di 125.000 anni fa la temperatura si stabilizzò sui valori massimi per circa 10.000 anni. Poi, per effetto dei movimenti della Terra intorno al Sole, iniziò un lungo periodo di raffreddamento.

Negli ultimi 10.000 anni si sono verificate delle oscillazioni minori: alcuni picchi caldi, come quello medioevale, si sono alternati con delle fasi fredde, la più importante delle quali è conosciuta come “la Piccola Età Glaciale” compresa tra il 1450 e il 1850.

Dopo il 1850 la temperatura media del pianeta e la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera hanno ripreso ad aumentare (Fig. 3). Questo fenomeno è associato con la “Rivoluzione industriale”, cioè con il passaggio da un’economia prettamente agricola e artigianale ad un’economia fondata sulla produzione industriale intensiva. Il nuovo modello di produzione fu sospinto in primo luogo dallo sviluppo della macchina a vapore e dal crescente utilizzo del carbone in sostituzione del legno e dell’energia idraulica.

Figura 3 – Variazioni della Temperatura negli ultimi 150 anni.

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Fonte: University of East Aglia, Norwich, UK.

L’aumento della temperatura e dell’anidride carbonica ha poi subito una fortissima accelerazione dal 1980, quando la popolazione, l’economia mondiale e i consumi di energia hanno intrapreso un sentiero di crescita sempre più rapido e sostenuto. Un andamento analogo ha caratterizzato anche il livello del mare che è risalito in modo continuo dal 1900. Quello che colpisce è la velocità con cui oggi si stanno manifestando l’aumento della temperatura e della concentrazione di anidride carbonica e lo stesso innalzamento del livello del mare. Nel periodo compreso tra il 1900 e il 2005 la temperatura media della terra è aumentata circa 1°C, mentre la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera ha fatto registrare un incremento da 270 parti per milione (ppm) ai valori attuali di 380 ppm. Per il livello del mare si è passati da un tasso medio di risalita pari a 1,8 mm/anno nel periodo 1900 – 1993 ad un tasso di 3,1 mm/anno nel periodo 1993-2004.

Queste osservazioni hanno portato gli scienziati del Comitato intergovernativo sul mutamento climatico (IPCC) a ritenere che l’accelerazione del cambiamento climatico verso un maggiore riscaldamento sia in stretta relazione con le crescenti emissioni di anidride carbonica. Tali emissioni vengono prodotte in larga misura dall’uso dei consumi di combustibili fossili (il petrolio, il gas e il carbone soddisfano circa l’80% dei consumi mondiali di energia) e risentono degli estesi processi di deforestazione che interessano vaste aree del pianeta. Ciò significa che l’attività umana è diventata una nuova variabile che sta interagendo con le variabili “naturali” e concorre così a determinare il clima della Terra.

A sua volta, l’innalzamento della temperatura sta provocando lo scioglimento del permafrost[1] in vaste aree della Russia e del Canada e quindi il rilascio nell’atmosfera di grandi quantità di anidride carbonica e di metano precedentemente intrappolati nel ghiaccio. Così i fenomeni naturali e quelli di origine antropica generano degli effetti che si rinforzano a vicenda.

D’altra parte, il riscaldamento terrestre sta determinando un rapido scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia, del mare Artico e dell’Antartide. Al riguardo, gli scienziati hanno già raccolto le prime prove di un rallentamento della risalita verso nord della corrente calda del Golfo a causa dell’afflusso di grandi quantità di acqua dolce e fredda proveniente dalla fusione dei ghiacciai nell’emisfero settentrionale. La corrente del Golfo fa sì che oggi Norvegia, Gran Bretagna, Olanda, Belgio e Francia occidentale abbiano un clima ben più mite rispetto a quello del Canada e della Groenlandia, due aree che si trovano alla stessa latitudine. L’interruzione della corrente del Golfo potrebbe determinare una forte caduta della temperatura in tutta l’Europa centro-settentrionale così come è accaduto 12.700 anni fa (il picco freddo dello Younger Dryas).

Nel contempo, i processi di combustione che generano i gas serra producono anche una particolare tipologia di polveri sottili, le “nuvole marroni”, che si accumulano a 3.000 metri di altezza e che possono spostarsi rapidamente riuscendo ad attraversare l’Oceano Atlantico in meno di una settimana. Queste nubi agiscono come uno schermo che riflette verso l’esterno una parte della radiazione solare in arrivo sul pianeta. Così l’inquinamento prodotto dall’attività umana innesca anche degli effetti opposti a quelli appena illustrati: le polveri sottili scaraventate in aria dalle ciminiere di centrali elettriche, industrie, scarichi di automobili, combustioni varie, a cui si aggiungono le ceneri delle eruzioni vulcaniche, stanno riducendo di circa la metà il riscaldamento del pianeta.

Dunque è evidente che l’inquinamento generato dall’attività umana sta influenzando l’evoluzione del clima terrestre. In questa fase l’effetto predominante è rappresentato dal riscaldamento dell’atmosfera per l’effetto serra causato dalle emissioni di anidride carbonica, ma sono all’opera anche fenomeni che vanno in direzione opposta, come il rallentamento della corrente del Golfo e la formazione delle “nuvole marroni” riflettenti. Effetto serra, rallentamento della corrente del Golfo e nuvole marroni si sovrappongono ai movimenti della Terra intorno al Sole ed ai cicli solari. Tale complessità non rende agevole fare previsioni precise sull’evoluzione del clima terrestre, ma quel che è certo è che la temperatura sta aumentando, la concentrazione di anidride carbonica ha raggiunto livelli mai registrati in passato e gli effetti dell’attività umana sono nettamente più rapidi dei fenomeni naturali. Questi fenomeni sono in stretta relazione con i consumi di combustibili fossili, che nel futuro sono destinati ad esaurirsi, e, già oggi, sono fonte di gravissimi conflitti militari.

Come ha scritto lo stesso Giovanni Sartori, “Il mercato non ci salverà”, vale a dire che sarà necessario un maggiore intervento dello Stato perché le imprese in questo momento hanno uno scarsissimo incentivo a trainare la riconversione energetica e ambientale del sistema di produzione e di consumo. Infatti, se non si verificherà un mutamento ancora più netto dei prezzi relativi delle fonti di energia, delle tecnologie e dei prodotti, difficilmente avranno luogo cambiamenti dei consumi, della produzione e degli investimenti in quanto il mercato non anticipa gli eventi, ma li segue adattandosi alle nuove situazioni. Il Protocollo di Kyoto per ridurre le emissioni di CO2 rappresenta un esempio di intervento pubblico attraverso la regolamentazione. Accanto all’azione normativa, è auspicabile che i governi utilizzino anche la leva fiscale e la spesa pubblica innovativa in modo molto maggiore rispetto a quel che accade oggi. Perché oltre ad un impegno sistematico verso il risparmio e l’efficienza energetica, verso la raccolta differenziata e il riciclaggio dei rifiuti, la nostra società deve porsi l’obiettivo di accelerare la sostituzione dei combustibili fossili, delle macchine a benzina, dei prodotti chimici e delle materie plastiche con nuove tecnologie e nuovi prodotti ecologici. In questo modo potremo avere un’economia che sia più rivolta al futuro di quella oggi dominante.

Bibliografia
J. R. Petit, J. Jouzel, D. Raynaud, N. I. Barkov, J.-M. Barnola, I. Basile, M. Bender, J. Chappellaz, M. Davis, G. Delaygue, M. Delmotte, V. M. Kotlyakov, M. Legrand, V. Y. Lipenkov, C. Lorius, L. Pèpin, C. Ritz, E. Saltzman and M. Stievenard (1999) – Climate and atmospheric history of the past 420,000 years from the Vostok ice core, Antarctica, Nature Vol. 399, 429-436 (3 June 1999)
F. Antonioli (2004) – Sea level change in Italy during last 300 ka, a revue. Quaternaria Nova VIII, 15-28
R. B. Alley (2001) – The Two-Mile Time Machine: Ice Cores, Abrupt Climate Change, and Our Future, Princeton University Press
IPCC (2007) – Climate Change 2007: The Physical Science Basis, Summary for policymakers, Paris, February 5th, 2007.
G. Sartori (2005) – Il mercato non ci salverà. La difesa dell’ambiente e il caso del petrolio, Corriere della Sera, 3 settembre 2005

[1] Il permafrost è il terreno che rimane sottozero per almeno due anni. Normalmente è caratterizzato da uno strato attivo superficiale, che si estende da pochi centimetri a diversi metri di profondità e che si scioglie durante l’estate per ricongelare d’inverno, e uno strato più profondo che rimane sempre ghiacciato. Lo strato superficiale attivo reagisce ai cambiamenti climatici stagionali, mentre quello profondo non si è più scongelato dalla fine dell’ultima era glaciale, circa 10.000 anni fa, e viene considerato come un prodotto della glaciazione conservatosi fino ai nostri giorni.

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