Variabilità e incertezza nella Récherche di Proust

Daniela Cocchi ricorda che “La Récherche” di Proust è stata affrontata secondo schemi di lettura molto diversi. Lo schema che Cocchi, da statistica, propone è del tutto non usuale perché orientato a rintracciare la presenza di spunti riguardanti la variabilità e l’incertezza, ed il loro trattamento, nello svolgimento dell’intera opera. Cocchi, con una lettura puntuale, mostra come termini divenuti sempre più importanti - statistica, probabilità e impossibilità - sono centellinati in situazioni narrative particolari e dense di significato.

La Récherche proustiana, annoverata tra i capolavori della letteratura mondiale, costituisce un importante banco di prova per qualunque lettore. Analisi molto approfondite sono state fatte, da parte di critici illustri, sui concetti di tempo, memoria, coscienza ed emozioni. Le riflessioni che questa opera suggerisce sono legate a che cosa si pensi sulla vita, nella sua accezione più completa, a cui si può accedere tramite il grande dono della scrittura, che l’Autore ha posseduto. Questa opera monumentale e cosi importante non è certo comunemente ricordata e apprezzata per le sue caratteristiche quantitative, eppure in essa i riferimenti alla probabilità e alla statistica sono numerosi.

Il più preciso e commovente richiamo diretto è un riferimento al modo di ragionare dello statistico che si ritrova nell’ultimo volume: Il tempo ritrovato. Sono passati molti anni dall’inizio dell’opera proustiana, che possiamo fare risalire grossolanamente all’ultimo decennio dell’800, la prima guerra mondiale è terminata, e il narratore racconta di un ricevimento a cui prende parte, che gli si rivela triste e grottesco, e dove ritrova i protagonisti del tempo perduto, imbiancati e livellati dallo scorrere degli anni. Ciascuno di loro è invecchiato, la caratteristica rilevante, comune a tutti, è questo tremendo cambiamento; non importa come sia stato raggiunto. Il narratore effettua quindi il paragone con l’attività dello statistico, il quale, registrando i decessi, non tiene conto del percorso che ha portato un individuo alla morte, ma solamente conta il numero di persone che vengono a mancare in un intervallo di tempo. I convitati al ricevimento sono persone che, partite da una certa condizione tempo addietro, sono giunte ad un’altra. Per descrivere il passaggio, l’Autore usa anche altre parole e sostiene quanto sia verosimile che, allo stesso modo in cui si celebra, a Parigi, un certo numero medio di matrimoni per anno, un qualsiasi ambito della ricca borghesia abbia dato luogo alla stessa proporzione di persone che si sono lanciate nell’oceano “del gran mondo”. Le frasi su questo argomento sono redatte in modo mirabile. In esse, almeno due dettagli sono da segnalare: che il paragone importante avvenga sia con i decessi, tristissimi, che con i matrimoni, un po’ meno funerei, assieme al fatto che per l’autore, giustamente, le medie e le proporzioni sono la stessa cosa (le proporzioni sono medie di variabili che assumono due soli valori).

Il secondo, sconvolgente, riferimento diretto alla statistica riguarda il richiamo a uno dei pochi valori numerici, oserei dire il solo, che si può ritrovare in tutta la trattazione. Un omosessuale dichiarato, il barone di Charlus, esasperato dalla superficialità delle frasi pronunciate riguardo alla caratteristica dell’omosessualità da parte di un interlocutore che giudica non informato, gli sbraita il valore numerico, che lui pensa di conoscere benissimo, della proporzione di omosessuali in Francia. Dopo quella dichiarazione, il narratore scrive quanto si ritrovasse imbarazzato e preoccupato da questa rivelazione, temendo che il riferimento potesse estendersi, suo malgrado, alla omosessualità femminile e tirare in ballo la sua amata. Tutta l’opera, di fatto, soffre di una terribile ambiguità: l’omosessualità maschile è una caratteristica propria di personaggi che vengono presentati in un modo tutto sommato spregevole. Il destinatario dell’amore del narratore, a sua volta, è una ragazza, della quale egli teme e sospetta un orientamento sessuale diverso.

Considerando il complesso di tutta la Recherche, i termini “probabile” e “probabilmente” (in francese) sono abbastanza frequenti, e appaiono circa 200 volte nella narrazione. Invece, il termine preciso “probabilità” compare meno spesso, e sempre con riferimento alle questioni di amore e gelosia. Il primo richiamo appare nel testo “Dalla parte di Swann”, in cui il protagonista, geloso della amata Odette, congettura in vari modi “per una sorta di equità intellettuale e per suddividere le diverse probabilità”, configurando situazioni in cui cerca di considerarla come se non l’avesse mai amata e fosse per lui una donna come tutte le altre. Quindi, la probabilità viene qui assunta come la valutazione non distorta e obiettiva che non è deviata dal sentimento soggettivo, in quanto è importante dare a tutti gli esiti la stessa opportunità.

In seguito, il termine probabilità compare per tre volte nella narrazione contenuta in “All’ombra delle fanciulle in fiore”. Nel primo caso, una dama ben determinata a realizzare il proprio progetto di ascesa sociale, si sfinisce nel rendere visita al maggior numero possibile di conoscenti, perché, consapevole del potere della disseminazione e basandosi sul calcolo delle probabilità, confida nella possibilità di informare riguardo ai suoi successi mondani: la probabilità viene vista come il limite della frequenza relativa. Nello stesso volume ci sono due riferimenti distinti ai primi incontri del protagonista con la giovanissima Albertine, da lui amata nel corso di tutta l’opera, anche dopo la sua scomparsa. Con il primo riferimento, l’autore si rammarica del fatto che, nonostante quanto il calcolo delle probabilità possa affermare, non ha mai rivisto, riferendosi alla sensazione di struggimento che certe situazioni comportano, “la ragazzina dalle guance piene” che lo guardava. Ci sono quindi avvenimenti che si rivelano impossibili, anche se in linea di principio potrebbero avere luogo: secondo la probabilità un evento può avvenire, ma l’evento finale può sfortunatamente essere il mancato accadimento.

Il secondo riferimento è meno triste e recita che la consapevolezza della probabilità di conoscere un gruppetto di ragazze che gli interessano è, per il narratore, davvero prezioso. Si sta parlando del modo comune a tutti di considerare la probabilità: un numero tra 0 e 1

Invece in “Sodoma e Gomorra”, “La prigioniera”, “Albertine scomparsa”, il termine probabilità è connesso all’idea di sofferenza. Nel primo caso, esso compare nel punto in cui l’autore apprende dei gusti omosessuali di una giovane e si interroga sulla probabilità che abbia conosciuto, in passato e in termini non piacevoli da ricordare, proprio l’amata Albertine. Qui, l’idea di probabilità viene associata ad una sensazione negativa. Il secondo caso riguarda una frase molto forte che afferma che la gelosia del protagonista nasceva da alcune immagini e da una sofferenza evidenti, quindi da una certezza e non da una probabilità: la probabilità è vista come qualcosa di incerto, relativa ad un evento immaginario, mentre la realtà è certa.

E, infine, il fatto che Albertine sia morta, e non possa più ridiscutere con il narratore certi dettagli apparentemente insignificanti, attribuisce alla veridicità di tali particolari, proprio in modo speculare a quanto abbiamo appena notato, l’equivalente di una sorta di probabilità, cioè di qualcosa che ha perduto le caratteristiche della certezza. C’è il riferimento a dettagli che sarebbero stati considerati impossibili se una persona scomparsa fosse stata viva, ma che possono essere visti come probabili, se si vive solo nel ricordo e non si considera se un evento si verifica realmente o no.

Il termine “improbabile” non è impiegato spesso. Esso appare, ancora in “All’ombra delle fanciulle in fiore”, per rimarcare, assieme al termine “impossibile”, la non attendibilità di una relazione omosessuale tra due ragazze, una delle quali è l’amata. In Sodoma e Gomorra, la faccenda dell’impollinazione dei fiori da parte di un insetto viene considerata improbabile per un paio di volte: il fiore aspetta e aspetta che l’insetto alato si posi proprio li, ma ciò può avvenire per un caso davvero improbabile. Nello stesso volume la visita presso una signora “bene” di uno scrittore, famoso e gradito in passato, a malapena sopportato al presente, viene valutata, con aria distratta, “troppo improbabile” perché la sua salute era molto cattiva. In “La prigioniera”, un personaggio aveva creduto fortemente che un certo suo desiderio si avverasse: che una persona a lui cara non fosse presentata ad un personaggio importantissimo avrebbe potuto avvenire solo per la morte improbabile di questo personaggio. Ancora, in “Albertine scomparsa” Proust nota che una certa ipotesi, nella fattispecie la simulazione della volontarietà di una partenza sgradita, diventava tanto più necessaria quanto più era improbabile – vale a dire meno probabile – e guadagnava in forza quanto perdeva in verosimiglianza. Per inciso, tutta la frase trabocca di termini del gergo statistico. Infine, ne “Il tempo ritrovato”, il narratore vagheggia il giorno improbabile in cui lui, anziano, avrebbe potuto domandare un casto bacio a delle giovinette.

Possiamo fermarci concludendo che, nell’ambito di una prosa mirabile, il linguaggio usato fa riflettere, un secolo dopo, al modo in cui variabilità e incertezza, a cavallo tra il secolo diciannovesimo e il ventesimo, fossero concetti radicati nel pensiero di un grande dell’epoca.

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