Un’anatomia della struttura occupazionale italiana

Armanda Cetrulo, Dario Guarascio e Maria Enrica Virgillito esplorano empiricamente le caratteristiche della struttura occupazionale italiana alla ricerca dei fattori profondi in grado di spiegare la composizione e l’ordinamento gerarchico delle professioni e trovano che il potere risulta concentrato nelle mani di un ristretto gruppo di professioni, che la conoscenza è eterogeneamente distribuita (e spesso sconnessa dal potere) ed che è scarsa la diffusione delle competenze digitali e delle pratiche organizzative di tipo orizzontale.

Che cos’è il lavoro? Cosa distingue le diverse occupazioni e che cosa spiega le differenze nelle performance (produttive) e nei livelli salariali, nonchè l’eterogeneo posizionamento degli individui e delle professioni all’interno della struttura occupazionale?

In un nostro recente lavoro (Anatomy of the Italian occupational structure: concentrated power and distributed knowledge. GLO Discussion Paper n. 418, 2019) abbiamo cercato di rispondere a queste domande proponendo un nuovo approccio che si differenzia da quelli più tradizionali caratterizzati da diversi limiti.

Secondo l’economia neoclassica, il lavoro è definibile come un insieme di mansioni, a cui sottendono specifiche conoscenze ed abilità, finalizzate alla realizzazione di obiettivi produttivi predeterminati. Inoltre, sia gli elementi che costituiscono il lavoro (i.e. mansioni, conoscenze e abilità) sia la loro controparte performativa (i.e. ‘lo sforzo’ messo in campo dal lavoratore) sarebbero perfettamente misurabili, al netto di asimmetrie informative che, a seconda della loro intensità, possono rendere incompleti i contratti siglati all’interno del mercato.

Altri approcci teorici, quale quello classico (i.e. Marx) o quello evolutivo (i.e. Schumpeter) fanno invece riferimento alla natura dialettica (lavoro quale processo da cui scaturisce il valore oggetto di appropriazione da parte del capitale); o collettiva (lavoro quale componente solo parzialmente distinguibile delle competenze idiosincratiche dell’impresa) del lavoro. Le classificazioni statistiche ufficiali (si pensi, ad esempio, alle tassonomie più note a livello internazionale quale la ISCO), infine, incasellano il lavoro in categorie professionali estremamente disaggregate. All’interno di quest’ultime vengono raggruppate professioni considerate omogenee dal punto di vista degli obiettivi produttivi perseguiti, delle competenze detenute e dei titoli di studio prevalentemente richiesti.

Secondo l’impostazione neoclassica, quindi, il posizionamento delle diverse professioni all’interno della struttura occupazionale è riconducibile, in via pressoché esclusiva, alla complementarità tra le conoscenze e le abilità che dovrebbero caratterizzare le professioni afferenti ad una data categoria; e gli obiettivi produttivi che debbono essere realizzati, tenendo conto della convenienza relativa tra l’utilizzare un umano o una macchina per raggiungere un dato obiettivo produttivo. Ad esempio ci si attende che la professione di addetto alla catena di montaggio sia esercitata da soggetti dotati di competenze tecniche e titoli di studio di livello medio-basso, potenzialmente soggetti alla sostituzione da parte di macchine capaci di raggiungere il medesimo obiettivo ad un costo inferiore. In modo simile, l’appartenenza ad una data categoria all’interno delle classificazioni statistiche tende ad essere associata a determinati livelli di competenza e, di nuovo, di qualificazione/titolo di studio. D’altra parte, il contraltare che la teoria economica dominante propone alla strutturazione gerarchica delle professioni (propria delle classificazioni statistiche) è l’ordinamento in termini di retribuzione percepita, laddove quest’ultima risulterebbe a sua volta associata alle competenze individuali (generalmente approssimate dal titolo di studio).

Nel nostro lavoro, abbiamo esplorato empiricamente le caratteristiche della struttura occupazionale italiana alla ricerca dei fattori profondi in grado di spiegarne la composizione e l’ordinamento gerarchico. Andando al di là dell’impostazione teorica tradizionale, abbiamo messo al centro dell’analisi elementi chiave nella sociologia del lavoro e nella teoria evolutiva dell’impresa: i) il potere, il controllo e l’autonomia; ii) l’apprendimento, l’accumulazione e l’uso delle conoscenze caratterizzanti in modo eterogeneo i diversi contesti occupazionali; iii) le peculiarità organizzative e la natura delle interazioni all’interno delle stesse organizzazioni; iv) l’uso delle tecnologie digitali. L’analisi si basa su di un’esplorazione intensiva delle informazioni contenute nell’Indagine Campionaria delle Professioni (ICP) condotta da INAPP e ISTAT nel 2012. L’ICP fornisce informazioni sull’intero spettro delle professioni italiane al massimo livello di disaggregazione consentito dalla Classificazione delle Professioni (CP) ISTAT 2011 (5-digit). Per ulteriori informazioni, è possibile consultare il sito dell’Istat .L’indagine si ispira al modello americano O*NET – repertorio informativo fondato su di un consolidato modello concettuale sulla base del quale si è sviluppato un vastissimo filone di letteratura concernente gli effetti del cambiamento tecnologico e dell’internazionalizzazione sull’occupazione – e costituisce l’unica fonte informativa europea capace di fornire variabili concernenti caratteristiche qualitative del lavoro espresse ad un tale livello di dettaglio e di disaggregazione. Le informazioni a livello di singola professione – informazioni di natura qualitativa ma fornite sotto forma di indicatori standardizzati e tra loro comparabili – riguardano: mansioni; competenze; abilità; conoscenze; strumenti e dispositivi tecnologici; prassi organizzative; grado di autonomia, controllo e capacità di esercitare potere sugli altri.

Quali sono, dunque, le caratteristiche delle diverse professioni in Italia? E’ possibile delineare un’anatomia della struttura occupazionale che tenga conto non solo dell’importanza dell’apprendimento e delle competenze, ma anche del livello di discrezionalità e partecipazione dei lavoratori impegnati quotidianamente nello svolgimento delle proprie mansioni? E la classificazione statistica ufficiale delle professioni fornisce una descrizione coerente della composizione e dell’ordinamento gerarchico delle professioni italiane?

Da un punto di vista operativo, tre sono le direttrici lungo le quali si è sviluppata l’esplorazione: conoscenza e apprendimento, organizzazione del lavoro e capacità digitali. Un primo passo è stata l’analisi delle 400 variabili contenute all’interno della ICP escludendo, sulla base di una valutazione discrezionale degli autori, quelle non riconducibili alle tre già menzionate direttrici. Questa prima fase ha condotto ad un significativo restringimento del campo di analisi: 100 variabili che, dopo una successiva valutazione concernente la congruenza qualitativa delle stesse, sono state ulteriormente ridotte a 70. A questo punto, per ‘pulire’ il supporto da potenziali ridondanze e distorsioni si è posta in essere un’analisi statistica (basata sulla valutazione sistematica di mediane, varianze e correlazioni tra le variabili) che ha portato ad un insieme di partenza composto da sole 25 variabili. Quest’ultimo è l’oggetto dell’analisi fattoriale attraverso cui sono stati identificati i fattori latenti capaci di descrivere l’anatomia della struttura occupazionale italiana.

Cinque sono i fattori che sembrano meglio descrivere la struttura occupazionale: potere; abilità cognitive e manuali; uso di strumenti e conoscenze digitali, lavoro di gruppo e creatività. Nel loro insieme, questi cinque fattori sono in grado di spiegare il 70% della varianza caratterizzante le 25 variabili selezionate. I fattori hanno un peso differenziato nello spiegare la variabilità interna alla struttura occupazionale italiana: il potere ha la maggiore capacità esplicativa, seguito dagli altri fattori (nell’ordine in cui sono sopraelencati). Una volta identificati i fattori, lo studio ha verificato come questi si distribuiscono e si combinano a livello macro (guardando alle professioni al massimo livello di aggregazione, 1-digit) e micro (5-digit). Le figure che seguono mettono in luce la distribuzione dei fattori ‘potere’ e ‘competenze digitali’ tra i grandi gruppi professionali italiani.

L’analisi da cui questa breve nota è tratta fornisce una vasta massa di evidenze (micro e macro) volte a descrivere una geografia, per certi versi inaspettata (e senz’altro lontana dalle semplificazioni della teoria dominante e dalle rigidità delle classificazioni statistiche), della struttura occupazionale italiana. I risultati principali possono essere sintetizzati come segue.

In primo luogo, il potere e la conoscenza non sembrano essere necessariamente sovrapposti. Mentre il potere risulta concentrarsi in occupazioni di vertice la cui prerogativa principale è quella di dirigere e controllare le attività altrui, la conoscenza si distribuisce in modo eterogeneo e la sua presenza (ad esempio tra le professioni intellettuali) non è automaticamente associata alla disponibilità ed all’esercizio del potere (e ciò fa supporre che, in assenza di un’adeguata dotazione di potere organizzativo, anche elevati livelli di conoscenza/competenza possano non garantire l’ottenimento di significative porzioni del valore aggiunto generato all’interno dell’organizzazione).

La concentrazione del fattore ‘destrezza’ tra le occupazioni ripetitive posizionate nella parte media e in quella bassa della struttura occupazionale (i.e. le professioni medium e low-skill tradizionalmente considerate ad elevate fragilità e ad elevato rischio di sostituzione con le macchine) sembra altresì alludere alla presenza di profili professionali che, pur se ‘bassi’ in termini di conoscenze formali, si contraddistinguono per capacità tecniche ed esperienza specifica potenzialmente premianti poiché difficilmente sostituibili. Le competenze digitali (i.e. fattore ‘digital’), come mostra la figura precedente, sono concentrate in un numero molto ristretto di professioni e non paiono connotare quelle caratterizzate dai più elevati livelli di potere. Infine, la struttura occupazionale italiana mostra una scarsa propensione al lavoro in team e, più in generale, alle forme di lavoro e di organizzazione interna di tipo ‘orizzontale’ frequentemente utilizzate nelle imprese ad alta intensità di innovazione e conoscenza (ciò conferma evidenze precedenti che sottolineano l’arretratezza del tessuto produttivo italiano dal punto di vista dell’innovazione tecnologica ed organizzativa); mentre la creatività e le mansioni ad alto contenuto cognitivo (i.e. fattore ‘creative’) risultano concentrate tra gli artisti, le professioni intellettuali e gli artigiani.

Il lavoro di analisi reso possibile dalle preziose informazioni contenute nella ICP ha messo in luce fattori profondi, spesso trascurati dall’analisi economica tradizionale, che paiono spiegare in modo efficace le forme e l’eterogeneità della struttura occupazionale italiana. Sebbene ancora ad uno stadio meramente descrittivo, l’analisi qui sintetizzata fornisce strumenti operativi utili per approfondire ulteriormente l’esplorazione e, in particolare, per verificare se i fattori appena elencati siano in grado di spiegare meglio delle variabili tradizionalmente utilizzate (quali il titolo di studio o la ripetitività relative delle mansioni) fenomeni-chiave quali la dinamica e la distribuzione delle retribuzioni. Lavori in questa direzione sono già in corso.

Schede e storico autori