Un’analisi interdisciplinare ai fenomeni economici: l’economia cognitiva

“Quando abbandoniamo il nostro studio e
ci impegniamo nelle faccende della vita comune,
le conclusioni [della ragione] sembrano svanire,
come i fantasmi del mattino,
e ci è difficile conservare perfino quelle convinzioni
che avevamo raggiunto con difficoltà”.
D. Hume 1739

Nel 2002, l’Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato il Premio Nobel per l’economia a Vernon Smith “per aver affermato la rilevanza degli strumenti di laboratorio per l’indagine empirica in economia” e a Daniel Kahneman “per aver integrato intuizioni della ricerca psicologica nella scienza economica[1]. La decisione dell’Accademia ha sancito la rilevanza di un approccio all’analisi dei fenomeni economici diverso rispetto a quello proposto dall’economia neoclassica.

É un fatto degno della massima attenzione che, nel corso dell’ultimo ventennio, stiano aumentando tra gli stessi economisti del mainstream le prese di distanza dalla cosiddetta “finzione di Walras” (cfr. Zamagni 1994), dall’idea cioè che compito primario ed esclusivo dell’economia sia lo studio del rapporto fra uomo e natura, ovvero tra uomo e cose[2].

Uno dei principali scopi perseguiti dalla scuola di Losanna (da cui trae ispirazione l’economia neoclassica), è stato il tentativo di purificare la scienza economica. I fondatori di questa scuola, fra i quali possiamo annoverare Leon Walras e Vilfred Pareto, hanno trattato il non economico come irrazionale. É noto come loro chiamino residuo il non economico, vale a dire tutto quanto si discosti dall’economia pura. Per raggiungere questo obiettivo, si è reso necessario (da parte di questi autori) appropriarsi del metodo della fisica in modo da elaborare leggi certe, assiomatiche ed interrelate dal principio di necessità. Ne è risultato un modello atomistico, che ipotizza il comportamento del singolo agente come volto esclusivamente alla ricerca del massimo piacere con la minima fatica[3]. L’agente sceglie in condizioni di conoscenza perfetta. Le informazioni sono acquisite senza sforzi e senza costi. Esiste tra gli agenti un elevato grado d’interdipendenza, poiché le azioni dell’uno sono fortemente influenzate da quelle altrui. Emerge un quadro d’interazione alquanto complesso che il mercato atomistico di concorrenza perfetta riesce a semplificare. Non sussistono dunque problemi di organizzazione o di informazione di cui l’economista debba occuparsi: nella posizione d’equilibrio, tutte le complicazioni che discendono dai rapporti tra uomo e uomo scompaiono; accade addirittura che in condizione di equilibrio, l’uomo in quanto tale, si spogli delle sue determinazioni storico-sociali.

L’esigenza riconosciuta invece è quella di considerare adeguatamente la complessità dei fenomeni economici e dei processi che guidano le scelte degli individui. Negli ultimi anni, a questa esigenza ha cercato di rispondere una nuova branca dell’economia, denominata economia cognitiva. Questa recente disciplina studia le operazioni di ragionamento e i processi di adattamento assunti dagli attori economici nel corso delle loro interazioni (Walliser 2001). Si parla di adattamento perché gli agenti, nelle loro scelte, non si comportano secondo quanto previsto dalle curve di preferenze descritte dagli economisti tradizionali, ma violano apparentemente, la razionalità. Le violazioni della razionalità economica non sono episodiche ma, come osserva Kahneman, sistematiche.

Al riguardo lo studioso israeliano asserisce che:

“la classica teoria delle scelte fissa una serie di condizioni di razionalità che sono forse necessarie ma difficilmente sufficienti: esse, infatti, consentono di definire come razionali molte scelte palesemente sciocche” (Kahneman 1994, p. 23). “Nessuno ha mai creduto seriamente che tutti gli esseri umani abbiano sempre credenze razionali e prendano invariabilmente decisioni razionali. Il principio di razionalità viene generalmente inteso come un’approssimazione, fondata sulla convinzione (o speranza) che gli scostamenti dalla razionalità si facciano rari quando la posta è alta o tendano a scomparire del tutto sotto i colpi della disciplina del mercato” (Kahneman 2003, p. 87). 

 Si potrebbe affermare che l’economia cognitiva nasca dal bisogno di approfondire le ragioni di questa “ricorrenza dell’irrazionalità”.

Tale materia di studio si consolida e si diffonde a partire dalla fine degli anni Ottanta, e soprattutto nel corso degli anni Novanta, quando affiorano la complementarietà e le affinità tra i contributi resi dai vari economisti nel corso degli anni Cinquanta[4].

Proprio nella metà del Novecento erano emersi risultati sperimentali che mettevano in discussione la validità del modello standard dell’azione razionale. In particolare vanno ricordati: il paradosso di Allais nel 1952 e lo studio empirico dei processi decisionali nelle imprese condotto da Cyert, Trow e Simon nel 1956[5].

Il “paradosso di Allais” è probabilmente il più celebrato risultato nella storia dell’economia sperimentale[6]. Nel 1952 a Parigi, Allais presentò il suo celebre paradosso ad una platea composta dai migliori economisti della sua generazione: fra gli altri, i futuri Nobel Paul Samuelson, Milton Friedman e Kenneth Arrow, ed altri “giganti” come Jacob Marschak, Leonard Savage ed Oskar Morgenstern. Il suo scopo era duplice: a) mostrare che il metodo assiomatico della teoria dell’utilità soggettiva attesa, proposto da von Neumann e Morgenstern nel loro studio del 1944, non forniva un’adeguata teoria descrittiva delle scelte in condizione di incertezza; b) manifestare l’esigenza di modificarne i criteri formali, non solo per catturare il comportamento ‘anomalo’ osservato, ma per legittimarlo come perfettamente razionale.

Nel 1953 l’economista francese pubblicò, sulla rivista Econometrica, un articolo in cui esponeva i risultati dell’esperimento, nel quale i soggetti sperimentali dovevano esprimere delle preferenze fra varie alternative[7]. Egli confutò la teoria dell’utilità attesa, dimostrando che la definizione assiomatica di razionalità non permetteva né di descrivere né di predire le decisioni economiche[8]. In particolare, l’economista francese, inaugurando il metodo sperimentale nella teoria del consumatore, invalidò il principio dell’indipendenza introdotto da Savage, secondo cui le preferenze del consumatore sono indipendenti dal modo in cui le opzioni vengono messe a confronto[9]. Allais in questo modo dimostrò che i limiti della teoria dell’utilità attesa non riguardavano solo le decisioni caratterizzate da incertezza, alle quali essa non era affatto applicabile, ma anche a quelle caratterizzate da rischio[10].

I risultati ottenuti indicavano inoltre l’impossibilità di racchiudere tali aspetti psicologici in procedure formali, come quelle che caratterizzano la teoria dell’utilità attesa. Si rilevò che, l’applicazione delle probabilità alla funzione di utilità ordinale, non si era dimostrata sufficiente per superare i limiti connessi al riferimento a categorie psicologiche, come i desideri e le credenze individuali. Il contributo dello scienziato francese ottenne scarsa attenzione tra gli economisti statunitensi, ma alle critiche di Allais fecero eco molti anni più tardi le elaborazioni in positivo di Kahneman e Tversky che, con la Prospect Theory, accolsero ed estesero le posizioni del premio Nobel francese (1988).

Come si sosteneva precedentemente, a partire dagli anni ’50 numerosi sforzi sono stati compiuti da diversi studiosi al fine di approfondire l’analisi della “razionalità” nella scelta economica. Un contributo decisivo in questa direzione è stato fornito dalla scuola comportamentista americana, grazie ai lavori di eminenti studiosi quali Simon, Cyert, March e Newell[11]. In termini generali la scuola comportamentista di Carnegie, partendo da un approccio di tipo empirico fortemente “grounded on reality[12], ha criticato la nozione di razionalità assoluta propria dell’approccio neoclassico concentrando la propria attenzione più specificatamente sui limiti computazionali, cognitivi e informativi propri dell’agente economico pervenendo alla definizione di un concetto più “debole” di razionalità comunemente noto in letteratura con il termine di “razionalità limitata” (bounded rationality). Questi autori hanno mostrato che gli agenti economici piuttosto che essere dei perfetti ottimizzatori adottano, dati i loro limiti cognitivi, regole pratiche di comportamento (heuristics) che consentono loro da un lato di semplificare i propri modelli decisionali, dall’altro di coordinarsi con gli altri agenti al fine di ridurre il grado di incertezza caratteristica di sistemi economici complessi[13].

La pubblicazione di questi lavori suscitò interesse, ma non alterò l’orientamento prevalente della scienza economica. Occorrerà aspettare quindi la fine degli anni Ottanta per constatare i primi mutamenti verso un sostanziale ripensamento della teoria economica mainstream. Una delle ragioni di questa sfasatura è da attribuire alla variegata natura di questi lavori e più in generale delle matrici dell’economia cognitiva, che sono state individuate come tali solo successivamente. Un altro motivo di questo ritardo è dovuto al fatto che, negli anni Cinquanta, le tecniche di ottimizzazione avevano raggiunto un elevato livello di perfezione formale, rivelandosi molto efficaci, ma allo stesso tempo molto complesse. Bisogna sottolineare che i teorici dell’ottimizzazione spesso non hanno tenuto in conto i problemi derivanti da un eccessivo dispendio di tempo di calcolo, da parte degli individui, per poter effettuare delle scelte (Rizzello 1997).

A partire dagli anni Settanta Daniel Kahneman ed il suo più giovane collega psicologo Amos Tversky, hanno pubblicato decine di lavori scientifici in cui è stata ampiamente discussa una nuova modalità di studio su come le persone valutano l’incertezza e prendono decisioni[14]. Di particolare rilievo, a tal riguardo, appare il loro contributo nello studio dei principi psicologici che governano il determinarsi delle alternative nel processo di decision–making, mostrando come le preferenze varino sensibilmente in base alle modalità con cui esse si presentano e vengono identificate.

In concreto, Kahneman e Tversky mostrano per la prima volta in maniera efficace come i giudizi degli individui siano il prodotto finale dell’azione di particolari meccanismi cognitivi quali la rappresentatività, la disponibilità e l’ancoraggio. Con questi termini viene fatto riferimento a specifici processi cognitivi che, in maniera del tutto inconsapevole, dirigono e influenzano in modo determinante la maggior parte delle nostre decisioni quotidiane.

Kahneman nel suo saggio, scritto in collaborazione con Amos Tversky, Judgement under Uncertainty: Heuristics and Biases (1974, p. 31) afferma che:

“molte decisioni vengono prese sulla base di convinzioni riguardanti la probabilità di eventi incerti, come il risultato di un’elezione, la consapevolezza di un imputato o la futura quotazione di una moneta. Il più delle volte, queste congetture sono espresse con frasi come: “Penso che…, Ci sono buone possibilità che…, È improbabile che…, e via dicendo, e qualche volta assumono persino forma numerica, con l’enunciazione di quote o probabilità soggettive”.

I due studiosi hanno dato inizio ad un lungo percorso che ha progressivamente messo in discussione la validità descrittiva dell’assunzione di razionalità e del modello normativo dell’utilità attesa, proposto da von Neumann. Le loro ricerche hanno, come punto di partenza, la constatazione e valutazione di apparenti anomalie cognitive e contraddizioni osservabili nel comportamento quotidiano delle persone. In particolar modo essi osservano che gli individui, posti di fronte ad una scelta, si comportano in maniera significativamente diversa, mostrando una propensione al rischio oppure un’avversione ad esso, a seconda di come la scelta e le opzioni vengono presentate loro. L’esempio proposto dai due psicologi è il seguente: le persone sono disposte ad attraversare un’intera città per risparmiare 5 euro per un capo che ne costa 15, mentre non sono disposte a fare altrettanto per risparmiare la stessa cifra per l’acquisto di un capo che è venduto a 125 euro. Questo fenomeno viene rappresentato con la teoria del framing delle decisioni ossia della loro ‘contestualizzazione’ (il termine italiano è probabilmente inadeguato essendo a differenza dell’inglese framing, troppo carico di significato realistico-descrittivo anziché psichico), teoria che a sua volta si ricompone o presuppone delle riflessioni[15].

Da queste riflessioni, gli autori sono arrivati a dimostrare come le preferenze vengano espresse nel momento stesso in cui viene posto il problema e in funzione del modo in cui le informazioni sono presentate di volta in volta, non essendovi, quindi, un modo per la nostra mente di garantire l’esistenza di un ordine di preferenze e credenze che sia coerente e determinato a priori[16]. Secondo Kahneman infatti, i requisiti formali di coerenza della cosiddetta razionalità economica sono psicologicamente impossibili e non possono essere soddisfatti dalla mente umana. Sarebbe un errore intendere questa posizione come rifiuto radicale della razionalità. Essa implica invece, che la sola nozione realistica di razionalità diventa quella di razionalità limitata, un concetto introdotto da Simon diversi anni prima, nel quale viene presa in considerazione l’asimmetria ricorrente nelle scelte quotidiane degli uomini[17].

Ecco il commento che diede Tversky (1977) dopo i loro studi: 

“[…] Daniel Kahneman e io abbiamo studiato i processi cognitivi sottostanti la formazione di preferenze e credenze. La nostra ricerca ha mostrato che i giudizi soggettivi generalmente non obbediscono ai principi normativi fondamentali della teoria delle decisioni. Al contrario, i giudizi umani sembrano seguire principi che talvolta conducono a risposte ragionevoli e talaltra a errori gravi e sistematici. Inoltre la nostra ricerca (cfr. Tversky & Kahneman 1974; Kahneman & Tversky 1979) mostra che gli assiomi della scelta razionale sono spesso violati in maniera sistematica dagli intervistati, sia smaliziati sia ingenui, e che le violazioni sono spesso ampie e fortemente persistenti. Alcuni dei bias osservati, come la fallacia del giocatore e la fallacia di regressione (Tversky & Kahneman op. cit.), sono reminiscenze di illusioni percettive. In entrambi i casi, la risposta erronea originaria non perde la sua attrattiva anche quando l’intervistato ha appreso la risposta corretta”.

Condividendo l’idea di Karl Polany secondo cui “we know more then we can tell”, tentativo di questo lavoro è quello di stimolare una riflessione critica sulla formulazione classica della teoria della razionalità[18] e più in generale proporre un criterio di osservazione alternativo, magari più complesso e criticabile rispetto ad altri, da adottare in futuro nella lettura dei fenomeni socio-economici.

Riferimenti Bibliografici

Allais M. (1952), “Le comportament de l’homme rationnel devant le risque: Critique des postulats de l’école Américaine”, Econometrica, 21, pp. 503-546.

Egidi M. & Rizzello S. (2003), “Cognitive Economics: Foundations and Historical Evolution”, Department of Economics “S. Cognetti de Martis”, Torino, Working Paper 4/2003; trad. it. “Economia Cognitiva: fondamenti ed evoluzione storica”, Sistemi intelligenti: rivista quadrimestrale di scienza cognitiva e intelligenza artificiale, 2003, vol. 2, pp. 221-246.

Hume D. (1985), A Treatise of Human Nature, Penguin Books, London, [1739-1749].

Kahneman D. (1994), “New Challenges and Theoretical Economics”, Journal of Institutional and the Theoretical Economics, (1994), 150, 1, pp. 18-36; trad. it. “Nuove sfide al principio di razionalità”; in Kahneman D. (2007), pp. 1-30.

Kahneman D. (2003), “A Psycological Perspective on Economics”, American Economic Review (Proceedings), 93, 2, pp. 162-168; trad. it. “Una prospettiva psicologica dell’economia”; in Kahneman D. (2007), pp. 85-97.

Kahneman D. (2004), “Toward National Well-Being Accounts”, American Economic Review (Proceedings), 94, 2, pp. 429-434; trad. it. “Verso una contabilità nazionale del benessere”; Kahneman D. (2007), pp. 98-113.

Kahneman D. (2007), Economia della felicità, Il Sole 24 ore, Milano.

Katona G. (1951), Psychological Economics of Economic Behaviour, Mc-Graw-Hill, New York; trad. it. L’analisi psicologica del comportamento umano, Etas Libri, Milano, 1964; in Rizzello S. (1997).

Knight F.H. (1921), Risk, Uncertainty and Profit, Hougton Mifflin Company, Boston.

Gosetti G. (2004), Giovani, lavoro e significati. Un percorso interpretativo e di analisi empirica, Franco Angeli, Milano.

Neumann J. von & J Morgenstern O. (1944), Theory of Games and Economic Behavior, (seconda ed. ampliata 1947), Princeton University Press, Princenton (NJ).

North D.C. (1996), “Economics and Cognitive Science”, Archive at WUSTL working paper, http://129.3.20.41/eps/eh/papers/9612/9612002.pdf (visited. 3/5/2009) 

Novarese M. & Rizzello, S. (1999), “Origin and Recent Developments of Experimental Economics”, Storia del Pensiero economico, 37 http://ideas.repec.org/p/wpa/wuwpmh/0409001.html (visited 10/12/2008).

Novarese M. & Rizzello S. (2004), Economia Sperimentale, Bruno Mondadori, Milano. 

Pareto V. (1906). Manuale di economia politica, con una introduzione alla scienza sociale, Società editrice libraria, Milano.

Piattelli Palmarini M. & Motterlini M. (2005) (a cura di), Critica della ragione economica, Il Saggiatore, Milano.

Rizzello S. (1997), L’economia della mente, Laterza, Roma-Bari; trad. ingl. The Economics of the Mind, Edward Elgar, Aldelshot, 1999.

Simon H.A. (2000), Scienza economica e comportamento umano, Edizioni di Comunità, Torino.

Simon H.A. & March J.C. (1958), Organizations, John Wiley, New York; trad. it. La teoria dell’organizzazione, Edizioni di Comunità, Torino, 1966.

Tversky A. (1977), “On the elicitation of preferences: descriptive and prescriptive considerations”, in Piattelli Palmarini M. & Motterlini M. (2005).

Tversky A. & Kahneman D. (1974), “Judgment under uncertainty: Heuristics and Biases”, Science, New Series, 185 (1974), 4157, 1124-1131; trad. it. “Il giudizio in condizioni d’incertezza euristiche e bias”; in Kahneman D. (2007), pp. 31-57.

Tversky A. & Kahneman D. (1986), “Rational Choice and the Framing of Decisions”, Journal of Business, vol.59, n.4, pt.2, pp. 251-278.

Walliser B. (2001), “What Cognitive Economics is about”, Cognitive Economy, Proceedings of the French School Economie Cognitive, Cnrs, www.cenecc.ens.fr/EcoCog/Livre/Drafts/walliser2.doc

Walras L.M. (1874), Éléments d’économie politique pure, ou théorie de la richesse sociale, Corbaz, Lausanne; trad. it. Elementi di economia politica pura, UTET, Torino, 1974.

Zamagni S. (1994), “Economia e filosofia”, Dipartimento di Scienze Economiche, JEL, A 12, B 41, Bologna.


[1] Cfr. Nobel Press Release (2002), http://www.nobel.se/economics/laureates/2002/.

[2] Come si legge nell’opera Elements of Pure Economics di Leon Walras: “assumendo l’equilibrio possiamo anche spingerci ad astrarre dall’imprenditore e considerare semplicemente i servizi produttivi come se fossero scambiati direttamente fra loro” (Walras 1974, p.71). Pareto estenderà poi la “finzione di Walras” fino a comprendervi anche l’analisi del comportamento del consumatore. A tal proposito è rimasta celebre l’affermazione di Vilfred Pareto secondo cui non c’è alcun bisogno di sapere chi sia il consumatore; tutto quanto si richiede, ai fini della teoria, è la conoscenza della sola mappa di indifferenza e ovviamente del vincolo di bilancio (ibidem).

[3] Nell’economia neoclassica, il principio per il quale si ritiene che i fenomeni sociali possano essere spiegati efficacemente a partire dagli individui che in essi intervengono è alla base del concetto di homo oeconomicus e del principio del self-interest. Esso si sposa bene con la filosofia neoclassica utilitaristica, di derivazione benthamita, secondo la quale il benessere sociale (welfare) è dato dalla semplice somma del benessere individuale (well-being) degli appartenenti ad una data popolazione. Come noto, Bentham definisce l’utilità di un oggetto, in termini edonistici, come capacità di quel oggetto di procurare effettivamente piacere; mentre l’ordinalismo paretiano fissa l’attenzione sulla preferenza o desiderabilità per un oggetto, con il quale l’utilità diventa un costrutto teorico inferito dalle scelte osservate. A tal proposito, Edgeworth (1881) immaginò un “edonimetro”, un apparecchio in grado di registrare in modo continuo l’utilità individuale (nel senso adottato da Bentham, come sensazioni positive o negative del momento), definendo la felicità attraverso l’integrale dell’utilità misurata nel tempo (cfr. Kahneman 2004, pp. 100-102).

[4] L’economia cognitiva affonda le sue radici già nel Settecento e soprattutto nell’Ottocento, con alcuni contributi rispetto ai quali emergono fortissime affinità concettuali, prima fra tutte quelle di Marshall, Menger e Veblen.

[5] Fra gli altri economisti che apportarono nuove idee, in quella fase storica, si possono annoverare Katona (suo è il survey method), Markowitz ed Ellsberg.

[6] È utile ricordare che di solito viene segnalato come lavoro capostipite dell’economia sperimentale quello di Edward Chamberlin del 1948, mentre Novarese e Rizzello (2004) pongono la prova di Louis Leon Thurstone del 1931, come primo esperimento in economia a scopo didattico. In quel esperimento si verificava la teoria neoclassica del consumatore attraverso un’osservazione empirica (la stima) di una curva di indifferenza individuale. La cosa interessante fu che, il lavoro di Thurstone non fu pubblicato su una rivista di economia ma bensì sul Journal of Social Psychology. Questo vicenda non fu un fatto isolato ma era una prassi ben consolidata in quegli anni. (cfr. Novarese & Rizzello 2004, pp. 13-14).

[7] La tecnica sperimentale utilizzata da Allais fu molto semplice e si basava sull’uso di questionari ipotetici che non prevedevano alcuna remunerazione. I soggetti dovevano compiere due scelte tra alternative diverse (fra A e B) e (fra C e D). Ciascuna alternativa era caratterizzata da un diverso esito, certo o aleatorio (cfr. Novarese & Rizzello op. cit., p. 17).

[8] Leonard Savage, che aveva preso parte alla conferenza tenuta da Allais, pubblicò nel 1954 Foundations of Statistics, nel quale analizzava i fondamenti statistici dell’utilità attesa. In esso propose una soluzione al paradosso di Allais presentando il medesimo prospetto sottoforma di estrazione. La differenza fra le due interpretazioni sta nel fatto che, mentre Savage giustificava il manifestarsi di queste distorsioni (bias) causate da un errore, l’economista francese le considerava come un fatto normale.

[9] Per il principio dell’indipendenza, il soggetto impegnato in una scelta, dovrebbe trascurare gli esiti uguali dal momento che essi sono indifferenti ai fini della sua scelta. Di fatto però, i soggetti coinvolti nell’esperimento, fecero scelte non coerenti tra loro e infransero in questo modo il principio di indipendenza e di conseguenza invalidando così la teoria dell’utilità attesa.

[10] L’economista Frank Knight sosteneva che non siamo in grado di prevedere gli eventi futuri perchè non conosciamo tutte le variabili del presente (Knight 1921, p. 201). Nel suo contributo egli giunge ad elaborare una differenza fondamentale per la scienza economica: la differenza tra rischio ed incertezza. Il rischio rappresenta una condizione nella quale è possibile tracciare una distribuzione di probabilità dei risultati tale da riuscire ad assicurarsi contro tale condizione. La natura oggettivamente misurabile della probabilità che si può assegnare a ciascuna delle conseguenze, porta Knight a definire il rischio come incertezza determinata. Quando invece la probabilità che si può attribuire alle conseguenze di una decisione è indeterminata, non misurabile oggettivamente, la decisione è caratterizzata da incertezza. Ciò significa che il rischio può essere annullato attraverso un calcolo, mentre l’incertezza rimane.

[11] Alla Graduate School of Industrial Administration l’economista americano, assieme a Cyert e March, sviluppò un nuovo approccio alla comprensione del comportamento umano nelle istituzioni e organizzazioni.

[12] Considerata come una teoria che parte dai dati della ricerca empirica ed è costruita dagli studiosi attraverso l’indagine sul campo valorizzando gli elementi che di volta in volta emergono, la Grounded Theory si configura come un modo di intendere il percorso dell’analisi sociologica (e non solo) e ha come suo fondamento “quello di ricercare teorie sociologiche sulle basi dei dati emersi della ricerca” (cfr. Gosetti 2004, p. 193).

[13] Si ricorda che Knight (1921) aveva già affermato che gli individui sono dotati di un’intelligenza limitata, ma che essa è in grado di svilupparsi col mondo.

[14] Del suo rapporto con Tversky, Daniel Kahneman offre vivace memoria in un recente contributo autobiografico. “We were a team, and we remained in that mode for well over a decade. The Nobel Prize was awarded for work that we produced during that period of intense collaboration”. Per informazioni biografiche su Daniel Kahneman: cfr.

http://nobelprize.org/nobel_prizes/economics/laureates/2002/kahneman-autobio.html, http://www.princeton.edu/pr/home/02/1009_kahneman/hmcap.html, http://it.wikipedia.org/wiki/Daniel_Kahneman.

[15] Circa il framing effect famoso resta l’esempio della ‘malattia asiatica’ nel quale un rimedio che salva con certezza un numero limitato di vite viene preferito (in forza della avversione al rischio) a un rimedio alternativo che può salvare tutte le vite con un limitata probabilità ma che può anche condurre a perdere tutte le vite. Quando la stessa scelta viene riformulata in termini di possibili perdite la preferenza si inverte e, piuttosto che accettare la perdita certa di un determinato numero di vite, si preferisce correre il rischio di un rimedio incerto che tuttavia ha qualche probabilità di salvare tutte le vite.

[16] Le prove raccolte in questi anni da Kahneman e i suoi colleghi suggeriscono che gli episodi vengono giudicati più attraverso alcune “istantanee” che con una rappresentazione continua simile a un filmato. Le istantanee sono, in realtà, montaggi che possono miscelare impressioni tratte da varie sezioni dell’esperienza. L’esperienza nella sua globalità viene valutata in base alla media ponderata dell’utilità di questi momenti di sintesi.

[17] Schelling (1984) sostiene che la nostra storia personale nel corso del tempo può essere descritta come una sequela di distinte personalità che possono esprimere preferenze incompatibili e prendere decisioni che influenzano la formazione delle personalità successive.

[18] Nella teoria neoclassica la concezione di razionalità ha subito diversi adattamenti, ma alla base si è sempre posto il principio secondo cui gli agenti massimizzano (o, in eguale misura, minimizzano) qualche funzione obiettivo (utilità attesa, profitto, ecc.) dati i vincoli cui sono sottoposti (vincolo di bilancio per il consumatore, tecnologia per l’imprenditore, e così via). Tutti i tradizionali risultati sistemici cui la teoria neoclassica perviene derivano dal considerare il comportamento degli operatori quale strettamente ottimizzante.

Schede e storico autori