Una sperimentazione di Roma Capitale: programmazione finanziaria e determinazione dei LEP nel sociale

Liliana Leone e Simona Tresmondi illustrano i principali problemi, in termini di disuguaglianze – fra aree e fra utenti – che emergono dal monitoraggio effettuato sui servizi sociali e socio-educativi erogati da Roma Capitale nel biennio 2018-2019. Le autrici propongono, inoltre, misure innovative quali il superamento di indicatori basati sulle liste di attesa e l’introduzione dei tassi di copertura dei servizi; l’adozione di LEP a carattere procedurale, riferiti a budget di cura e pacchetti di servizi che superino la parcellizzazione dell’offerta di servizi.

Nel biennio 2018-2019 è stato realizzato un primo monitoraggio analitico della spesa corrente di Roma Capitale nell’area dei servizi sociali e socio-educativi per il superamento della logica della spesa storica nella distribuzione dei fondi alle Strutture Territoriali/Municipi. Tale sperimentazione realizzata dall’Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità solidale e dalla Ragioneria Generale di Roma Capitale, ha consentito di: (1) identificare per ciascun servizio la spesa corrente ad esso destinata, il target (disabili, anziani, minori …), il tasso di copertura e i costi pro-capite nei 15 Municipi, (2) analizzare i trend domanda-offerta degli ultimi anni e (3) prevedere gli impegni finanziari necessari a sostenere l’introduzione di alcuni Livelli Essenziali di Prestazione e servizi (LEPs) nel Piano Sociale Cittadino 2019-2021 (DGC n.166/2019). Il monitoraggio della spesa sociale si è basato su un livello di dettaglio aggiuntivo del Piano integrato dei conti, chiamato Livello VI, indispensabile per il monitoraggio della spesa a livello di singolo servizio (per un approfondimento sul metodo si rimanda a Leone, Trasmondi).

L’analisi ha messo in luce alcuni problemi da affrontare per poter definire i Livelli essenziali da garantire a livello locale: a) diseguaglianze nella distribuzione dell’offerta dei servizi; b) limiti delle liste di attesa come indicatori del fabbisogno e conseguenze sul piano finanziario; c) presenza di pochi utenti su cui si concentra un volume elevato di una pluralità di servizi senza adeguato sistema di monitoraggio della spesa pro-capite. Vi sarebbe poi la questione della spesa destinata a servizi la cui offerta dipende da processi decisionali solo in parte controllati dall’amministrazione comunale, come i servizi residenziali a carattere sociosanitario (es: RSA per anziani) o per minori in cui il Comune risponde a obblighi di legge e che per motivi di spazio non tratteremo.

Sotto il profilo territoriale, Roma rappresenta la città più estesa di tutti i 27 stati UE e in termini di abitanti ciascuno dei 15 Municipi ha dimensioni paragonabili a quelle delle prime 20 città d’Italia (tra cui Messina, Padova, Brescia..). La molteplicità di centri di costo e la presenza di una spesa corrente per i soli beni e servizi nel sociale pari a 360 milioni di euro nel 2018 rendono la complessità amministrativa di Roma, anche in termini di processi di governance, paragonabile a quella di una Regione di medie dimensioni.

Sulla base di un’analisi congiunta per ciascun servizio dei dati disponibili sui beneficiari raggiunti, gli output e le modalità di erogazione, si è confrontata la copertura dei servizi nei 15 Municipi adottando una logica di benchmark interno, confrontando cioè le performance tra municipi piuttosto che tra comuni. A titolo esemplificativo illustriamo alcuni dati sul Servizio di assistenza educativa e alla comunicazione per l’integrazione scolastica degli alunni disabili (OEPA). Nel 2018 Roma Capitale ha destinato al Servizio 42 milioni di euro con un incremento nel biennio del 21% della spesa complessiva e un range di variazione tra i Municipi che va da +58% al -24%. La spesa media annua per ciascun alunno è altresì molto disomogenea con valori che variano da circa 6 a 12 mila euro annui. Anche il tasso di copertura varia tra Municipi passando da 10 al 22 bambini ogni 1000 residenti da 3 a 14 anni e un range del numero di ore medie settimanali per alunno nella scuola primaria che va da 9 a 16 ore (in media, tre ore in più rispetto ai valori medi nazionali – Istat all’a.s. 2016/2017). La spesa corrente per beni e servizi destinata da ciascun Municipio a questo servizio specifico ha una forte variabilità con fluttuazioni che vanno da 13% a 39% di tutte le risorse destinate alla spesa corrente per beni e servizi nel sociale. Trattandosi di dimensioni di utenza molto rilevanti è evidente che tali variazioni non possono dipendere dalla concentrazione casuale su alcuni Municipi di tutti i bambini con disabilità (n.b. il fabbisogno), ma piuttosto da altri fattori legati alle modalità di erogazione e alle logiche di finanziamento dei servizi. Infine, le numerose aree di intervento a cui si destina la spesa sociale tendono ad avere equilibri instabili e sviluppare dei trade off nell’offerta dei servizi a favore dell’una o dell’altra tipologia di intervento e categoria di utenza.

L’utilizzo di indicatori basati sulle liste di attesa dei servizi a domanda individuale come parametro su cui allocare le risorse economiche ha, poi, creato problemi in quanto si tratta di dati che risentono di vari bias tra cui: presenza di ‘mode’ nell’utilizzo degli strumenti di misurazione del fabbisogno con valori eccessivamente differenziati tra Municipi; differenze nell’aggiornamento delle graduatorie e nella ridefinizione dei progetti di intervento individuali dovute a diversità nelle dotazioni di e risorse umane presenti nei servizi sociali. Gli indicatori basati sulle liste di attesa vanno quindi trattati come espressione della ‘domanda’ esplicita e proxy di un fabbisogno. L’accoglimento massiccio di domande di accesso provenienti dalle ‘liste di attesa’ realizzata in modo autonomo dai singoli territori per utilizzare i residui a fine anno rischia di innescare meccanismi caotici che non contribuiscono alla riduzione delle diseguaglianze.

Il terzo punto critico è dato dal fatto che non si conosce la spesa complessiva sostenuta per un singolo utente che fruisce di diversi servizi/prestazioni. Ciò produce anomalie in quanto è più probabile che i soggetti già in carico riescano a godere di una offerta plurima proprio perché sono per definizione più in grado di accedere alle informazioni o perché aumenta la capacità di pressione nei confronti dell’Amministrazione. Inoltre, è necessario adottare modalità di contribuzione omogenea per tutte le categorie di utenza sulla base delle condizioni socio-economiche (ISEE o ISEE sociosanitario), superando forme di differenziazione e privilegi che ancora permangono.

Abbiamo sinteticamente presentato i tre principali problemi emersi dal lavoro di analisi della spesa sociale. Al problema della mancanza di equità nell’offerta si potrebbe rispondere migliorando i sistemi di monitoraggio al fine di evidenziare gli squilibri a livello municipale e di zona censuaria e restituendo una informazione più mirata ai diversi livelli di governance responsabili della spesa. I sistemi informativi attuali sono abbastanza sviluppati ma tuttora permangono problemi di scelte politiche e carenze di risorse umane e professionalità in grado di trattare i dati.

Al secondo problema, legato alla inadeguata gestione delle liste di attesa e ai conseguenti sforamenti di bilancio, non si risponde con ricette semplificate. La questione è stata affrontata nel Piano Sociale Cittadino, eliminando i riferimenti al concetto di ‘abbattimento delle liste di attesa’ nei servizi domiciliari e introducendo dei livelli essenziali riferiti a servizi carenti, come i Centri Anti Violenza, i presidi a livello municipale per il contrasto al rischio di esclusione sociale e l’iscrizione anagrafica per le persone senza dimora (v. Piano Sociale 2019-2021 di Roma Capitale, p.6). Si segnala, inoltre, il tentativo di governare le liste di attesa sui contributi per la disabilità gravissima attraverso un osservatorio a livello cittadino.

Nel trattare la programmazione finanziaria dei servizi sociali, e la declinazione di alcuni di essi in Livelli essenziali, rimandiamo indirettamente alla questione del rapporto tra vincoli di bilancio ed esigibilità dei diritti sociali costituzionalmente garantiti (Trucco 2012; Furno 2017). La legge di riforma costituzionale n. 1 del 2012 ha introdotto, all’art.81, il principio del pareggio /equilibrio di bilancio, imponendo vincoli più stringenti agli enti locali. Tra i diversi diritti da garantire in modo equilibrato, dobbiamo considerare anche quelli delle generazioni future.

La declinazione di LEP nel sociale si sta muovendo sul versante della declinazione di standard organizzativi e procedurali per alcuni servizi legati all’accesso o legati agli output come: rapporto N. operatori/N. residenti, predisposizione per tutti coloro che fruiscono del Reddito di Cittadinanza (D.L. 4/2019) di un progetto di intervento personalizzato. A termine di questa sperimentazione si sono rafforzate delle nuove ipotesi di lavoro utili alla declinazione dei LEP sociali a livello nazionale e regionale.

La prima riguarda l’adozione di una nozione di LEP sociale nazionale riferita a un servizio a carattere ‘lasco’ e non ancorato a una singola modalità di prestazione, tale da consentire traduzioni operative-organizzative differenziate e l’attivazione di un mix di offerte. Lo standard di copertura dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (v.  33% della pop 0-36 mesi come definito da Consiglio europeo di Barcellona nel 2002 e da art.2 del D.L n.65/2017) rappresenterebbe un valido esempio di LEP. Tale nozione di ‘servizio di cura’ è sufficientemente ampia e include diverse forme di offerta (es. sezioni primavera, i micronidi i servizi integrativi come centri per bambini e familiari) lasciando ampio spazio alla programmazione regionale e comunale.

La seconda ipotesi riguarda l’adozione di un approccio multidimensionale dei Livelli essenziali (Leone, 2006) e con essa, una declinazione di LEP sociali ancorati a ‘pacchetti di servizi’. Tale declinazione contribuirebbe a risolvere alcuni dei problemi prima menzionati, in primis, i fraintendimenti sopra ricordati derivanti dall’interpretare come diritti i singoli servizi sociali a domanda individuale, avulsi da un progetto complessivo di intervento personalizzato. Un diritto riguarda, ad esempio, la prevenzione delle forme di istituzionalizzazione non strettamente necessarie e la permanenza nel proprio domicilio. In questo caso non esiste una singola prestazione che può autonomamente garantire sempre e per tutti i casi tale diritto e, infatti, i comuni definiscono un progetto integrato socio-sanitario in cui includono diverse tipologie di offerta tra le quali: l’assistenza domiciliare socioassistenziale o integrata con quella sanitaria, il centro diurno, gli interventi di gruppo, i voucher, i contributi di cura per il care giver. Tale modalità attiene apparentemente alle procedure di erogazione ma nei fatti ha profonde implicazioni circa i contenuti stessi del diritto e le finalità ultime di un modello di welfare.

Se concordiamo che l’obiettivo ultimo è l’ampliamento delle libertà sostanziali delle persone sulle diverse dimensioni che rendono la vita degna di essere vissuta, allora come LEP sociali si potrebbero prevedere, sul piano procedurale, gli strumenti dei Budget di cura, in sanità adottati come Budget di salute (Righetti, 2013) o i Capitali di capacitazione, utilizzati prevalentemente in modelli di welfare mix con ruolo rilevante del terzo settore (Leone, Giunta, 2019).

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