Una scienza aperta non è sufficiente a garantire mercati aperti

Ugo Pagano muove dalla considerazione che, nonostante gli ingenti investimenti pubblici nella loro produzione, i vaccini contro il Covid sono forniti da pochi oligopoli privati e ritiene che il Covid abbia dimostrato che gli investimenti in “Open Science” sono necessari ma non sufficienti per avere “Open Market”. Concordando con la tesi esposta da Florio nel suo libro e in questo numero del Menabò, Pagano ritiene che queste forme di oligopolio vadano contrastate con infrastrutture pubbliche europee di ricerca e produzione dei prodotti più innovativi.

Nel suo articolo su questo numero del Menabò e nel suo innovativo libro, Massimo Florio propone tre infrastrutture di ricerca e produzione europee nel settore biomedico, in quello ambientale e nell’ambito della digitalizzazione e gestione dei dati. Queste infrastrutture integrerebbero il ruolo di centri di ricerca con la produzione di oggetti ad alto contenuto tecnologico come già avviene per il CERN e per l’Agenzia Spaziale Europea. Condivido integralmente le proposte di Florio. Questo non è un caso visto che abbiamo attivamente cooperato alla stesura delle due prime proposte del Forum DD, presentate a Roma nel marzo del 2019, che erano strettamente interconnesse.

La prima partiva da una analisi del capitalismo dei monopoli intellettuali e della monopolizzazione della conoscenza e suggeriva una possibile riforma del WTO e dei TRIPs. La tesi era che il WTO non dovesse solo tutelare i diritti di proprietà intellettuale ma anche assicurare che vi fosse un adeguato investimento in scienza aperta. Altrimenti ogni Stato in collaborazione con le sue imprese avrebbe fatto una concorrenza sleale agli altri nella produzione di conoscenza. Si notava come la monopolizzazione della conoscenza non avesse solo portato a un aumento di diseguaglianze ma anche a una stagnazione dell’economia globale e si proponevano forme di esproprio dei diritti di proprietà intellettuale ogni volta che essi costituissero un blocco a investimenti innovativi o un ostacolo per il raggiungimento di importanti fini collettivi.

La seconda proposta del Forum sottolineava come l’esistenza di una scienza aperta fosse una condizione necessaria ma non sufficiente per la rottura di questi oligopoli. Questi potevano altrimenti sfruttare la scienza aperta brevettando i processi più a valle del processo innovativo. In questo senso si notava che gli investimenti in scienza aperta, quando non accompagnati da politiche che favorissero l’apertura e la concorrenza nei mercati, potevano addirittura rafforzare i monopoli e aggravare le diseguaglianze. Come già sostenuto anche nella seconda proposta del Forum DD il libro di Florio critica anche i modi tradizionali di liberalizzare i mercati e suggerisce una via alternativa per raggiungere questo obiettivo, che consiste proprio nella creazione di organizzazioni europee in grado di mettere insieme produzione di open science e di prodotti finiti.

Cercherò di illustrare l’importanza e l’urgenza di queste proposte facendo riferimento all’attuale pandemia e in particolare all’uso dei brevetti per i vaccini di cui in tanti, compreso il Forum DD, abbiamo ormai da tempo chiesto una sospensiva. Farò quindi prevalentemente riferimento alla prima parte del libro in cui Florio propone un’organizzazione europea nel settore biomedico che chiama provvisoriamente BIOMED.

Di solito i vaccini non sono molto attraenti per le imprese farmaceutiche. Comportano investimenti ingenti e dagli esiti incerti in ricerca e possono estirpare il virus che è la fonte dei loro profitti. I vaccini sono stati prevalentemente sviluppati da ricercatori che lavoravano in istituzioni pubbliche e che erano motivati dai meccanismi tipici della open science quali motivazioni intrinseche, carriera accademica, premi e riconoscimenti di varia natura.

Per esempio Salk e Sabin espressero stupore quando chiesero loro se pensassero di brevettare i loro vaccini anti-polio. Pur essendo sostenitori di due vaccini ottenuti con due modalità diverse essi si trovarono uniti nella convinzione che si potesse continuamente confrontare l’efficacia dei due vaccini in un ambito puramente scientifico, permettendo sempre a chiunque di produrre liberamente quello che preferivano. Il mondo intero è passato dal vaccino inattivato di Salk a quello depotenziato di Sabin per poi tornare a quello di Salk senza che vi fossero vincoli dovuti alla proprietà intellettuale.

Un esempio ancora più rilevante per noi è costituito dal caso dell’influenza stagionale. Ogni anno otteniamo gratuitamente, o a un prezzo modesto, un vaccino che è stato velocemente prodotto contro un virus che si evolve e muta ben più velocemente del covid 19. Mentre tanti hanno enfatizzato il miracolo fatto con la veloce produzione dei vaccini per il covid ben pochi (un’eccezione è l’importante contributo di Amy Kapczynski) hanno prestato attenzione a quest’altro miracolo che avviene ogni sei mesi visto, che il vaccino antinfluenzale deve essere prontamente prodotto per ogni inverno in due diversi emisferi.

La prevenzione e la produzione del vaccino per l’influenza coinvolgono, oltre alla Organizzazione Mondiale della Sanità, numerose istituzioni pubbliche di diversi paesi che costituiscono il Sistema Globale di Sorveglianza e Risposta all’Influenza (il cosiddetto Influenza Network). Si tratta di una modalità organizzativa caratterizzata da una scienza aperta con informazioni e ricerche rese prontamente disponibili all’interno delle istituzioni che ne fanno parte.

Questo Network fornisce due volte all’anno a società farmaceutiche accreditate presso la OMS i dati per produrre il vaccino più idoneo a contrastare i ceppi influenzali previsti per la stagione seguente. Il sistema di scienza aperta si integra così con mercati aperti e concorrenziali senza brevetti e mercati monopolizzati.

L’Influenza Network, una delle prime iniziative della OMS, è stata fondata nel 1947. I primi anni di attività hanno coinvolto una generazione di scienziati che aveva vissuto la terribile esperienza dell’influenza spagnola. Attualmente il Network include 140 Centri Nazionali per l’Influenza in 110 paesi che cooperano con dottori e ospedali locali per raccogliere dati sulla evoluzione della influenza. Questi dati sono inviati ai centri di ricerca situati a Memphis, Londra, Pechino, Tokyo e Melbourne che condividono tutte le informazioni anche con i Centri Nazionali. Rappresentanti dei Centri di Ricerca e dei Centri Nazionali si riuniscono poi, senza rappresentanti dei produttori, per concordare non solo il vaccino più idoneo contro le mutazioni della stagione ma anche i modi migliori per riprodurlo velocemente.

Con la veloce condivisione delle ricerche e l’accesso di tutti i produttori privati alle conoscenze l’Influenza Network ha assicurato il grande vantaggio di poter mettere a confronto in modo rapido, senza segreti e senza interessi privati, ipotesi alternative sulla evoluzione della influenza. Questa sofisticata organizzazione non ha però gestito la ricerca e la produzione dei vaccini covid 19.

C’è da restare stupiti per il fatto che alle istituzioni della open science non sia stato dato un ruolo centrale nella ricerca e produzione di quei vaccini, diversamente da quanto era già avvenuto per contrastare simili virus e come in tanti avevamo subito proposto. Diversi motivi hanno portato a rimpiazzare, proprio nel momento in cui servivano di più, le istituzioni della open science con la scienza privatizzata delle società farmaceutiche.

In primo luogo la rottura fra Organizzazione Mondiale della Sanità e Stati Uniti, con la fuoriuscita di questi ultimi dall’Organizzazione sotto la presidenza Trump, ha indebolito tutto il network dello OMS. In secondo luogo, scoppiata la pandemia, le società farmaceutiche non si sono più trovate di fronte alla prospettiva di guadagni incerti. Hanno potuto, invece, beneficiare di enormi sussidi e acquisti garantiti anche in caso di vaccini poco efficienti e si sono potuti inoltre avvalere dell’appropriazione gratuita di precedenti scoperte fatte da istituzioni pubbliche, una cosa che rischia a questo punto di invalidare i loro stessi brevetti. In terzo luogo le associazioni filantropiche (come la Gates Foundation) per convinzione o per interesse hanno favorito questo sistema. Infine le società farmaceutiche hanno avuto la possibilità di brevettare i vaccini e monopolizzare (con il pieno appoggio dell’Europa) un mercato in cui l’urgenza di ottenere i farmaci consentiva di mettere in fila, in ordine di ricchezza, gli acquirenti, imponendo prezzi differenziati a paesi diversi.

Ma a queste cause si aggiunge una debolezza che aveva e ancora ha l’Influenza Network – una debolezza che ha contribuito a farlo soppiantare dai monopoli delle imprese farmaceutiche. Il Network era in grado di mettere in concorrenza fra di loro imprese accreditate anche di modeste dimensioni ma non controllava nessuna grande impresa pubblica che potesse produrre il vaccino in una situazione di emergenza in cui si dovevano velocemente integrare le fasi di ricerca, sperimentazione e produzione. Non era quindi in grado di contrastare un processo di appropriazione privata della conoscenza che metteva in mano a un oligopolio la fornitura dei vaccini. Questo è proprio il ruolo che BIOMED (per usare il nome usato nel libro di Florio) dovrebbe avere. BIOMED avrebbe permesso di rendere disponibili a tutti le tecniche di produzione dei vaccini. Avrebbe anche permesso di confrontare l’efficacia di diversi vaccini, di produrli a un prezzo inferiore e distribuirli velocemente e con priorità non di profitto ( per esempio vaccinare con celerità tutto il personale medico di tutti i paesi indipendentemente dalla loro ricchezza). Avrebbe inoltre reso possibile fare una rapida ricerca anche su vaccini inattivati scarsamente remunerativi (perché basati su metodi tradizionali e quindi non brevettabili) anche in Occidente dove solo ora ne produce uno Valneva.

Infine avrebbe impedito di fare schizzare alle stelle i prezzi dei vaccini ora che pandemia sta entrando sua fase endemica.

BIOMED non può essere creata in tempi brevi, comunque non per questa pandemia. Ma questo non implica che il progetto non vada portato avanti: è difficile che questa pandemia sia l’ultima e, inoltre, il libro di Florio mostra in modo magistrale come quello biomedico non sia l’unico settore nel quale sarebbe utile.

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