Una riflessione critica sul G20 tra produttività, crescita e digitalizzazione

Ettore Greco e Valeria Patella prendendo spunto dal Vertice dei Capi di Stato G20 sotto la Presidenza Italiana che si è tenuto a Roma il 30 e il 31 ottobre scorsi, Gallo e Patella propongono una riflessione critica sulla discussione portata avanti all’interno del Framework Working Group sulle opportunità che la digitalizzazione offre per rilanciare la produttività e per ricostruire nuovi margini di coordinamento in grado di condurre ad una crescita globale più sostenuta.

Nell’aprile del 2020 i Paesi G20 si sono impegnati a discutere e a coordinare le politiche da adottare per rispondere alla crisi causata dal COVID-19, includendole nel G20 Action Plan, di cui hanno riportato periodicamente i progressi di attuazione. Il Framework Working Group (FWG), in particolare, si è fatto promotore delle politiche macroeconomiche in risposta alla crisi pandemica e a supporto della ripresa economica, concentrandosi sul ruolo della trasformazione digitale nel rilanciare la dinamica della produttività e la crescita globale post-COVID.

Come da Figura 1 (panel a), la crescita della digitalizzazione nei processi di consumo, lavoro e produzione durante la pandemia è netta e pressante e con essa i policymaker si devono confrontare, prima di controllarne e indirizzarne la dinamica. In tal senso, il Framework Working Group ha discusso e approvato un Menu of Policy Options for a productivity-enhancing digital transformation, che individua tre canali chiave per promuovere la ripresa su basi digitali: l’inclusività nelle opportunità di accesso al digital, la diffusione delle piattaforme digitali e gli strumenti di finanziamento per promuovere gli investimenti intangibili.

La presenza nel forum G20 tanto dei Paesi avanzati quanto delle economie emergenti ha fatto sì che la discussione incontrasse sensibilità ed interessi contrastanti. Questo ha permesso di affrontare anche l’altro lato della medaglia: gli alti rischi della digitalizzazione, l’ampio divario nelle opportunità di accesso al digitale e l’associata frammentazione tra Paesi e settori, così come il costo delle alterate condizioni di competitività dei mercati, i rischi di cybersecurity, privacy e protezione del consumatore. La possibilità di virare verso l’integrazione degli strumenti digitali all’interno dei processi produttivi e delle dinamiche di lavoro si scontra, inoltre, con l’elevata disomogeneità nei livelli di competenza digitale, nel grado di complementarietà degli investimenti alternativi e, infine, nelle infrastrutture necessarie per godere a livello domestico dei benefici dell’innovazione.

Figura 1. Digitalizzazione e produttività. Grafici prodotti a supporto della discussione del G20 FWG 2021

In mercati multi-sided o a più parti (come le piattaforme digitali), dove sono forti gli effetti di rete e alte le economie di scala, si sviluppano facilmente spinte verso un’alta concentrazione e sono diffusi i rischi di abuso di posizione dominante che possono, tra l’altro, impedire l’ingresso nel mercato di imprese potenzialmente innovative. L’ impatto potenziale di tali cellule di potere di mercato sulle opportunità di crescita globale è enorme. Infatti, i divari di produttività sono crescenti e a determinarli è soprattutto la diffusione disomogenea delle tecnologie digitali nelle imprese alla frontiera e in quelle più arretrate (Figura 1, panel b). Le imprese nella coda bassa della distribuzione dei livelli di produttività hanno difficoltà nell’adattare i propri modelli di business e produzione alle tecnologie delle imprese di frontiera. Questo genera dispersione nei salari, bassa crescita della produttività aggregata e disuguaglianze crescenti.

In questo senso, mentre è innegabile che la digitalizzazione possa avere effetti positivi sulla produttività potenziale e sulla crescita di lungo periodo, gli effetti sulla ripresa economica nel breve e medio termine dipendono anche da altre politiche che possono svolgere un ruolo integrativo e di supporto, come quelle macroeconomiche di sostegno alla domanda. Infatti, come riconosciuto dalla letteratura accademica, nel breve periodo la produttività media incorpora una componente altamente sensibile alla crescita della domanda aggregata (Hein e Tarassow, Distribution, aggregate demand and productivity growth: theory and empirical results for six OECD countries based on a post-Kaleckian model, Cambridge Journal of Economics, 2010).

Il feedback positivo fra domanda aggregata e produttività – individuato già dai classici Antonio Serra e Adam Smith – è stato discusso tanto teoricamente quanto empiricamente da Verdoorn (Fattori che regolano lo sviluppo della produttività del lavoro, L’Industria, 1949) e successivamente da Kaldor (Causes of the Slow Growth in the United Kingdom, Cambridge University Press, 1966). Secondo la Legge Kaldor-Verdoorn, quanto maggiore è il tasso di crescita della domanda aggregata tanto maggiore sarà la crescita della produttività media. Per avere effetti positivi sulla ripresa e sulla crescita della produttività, la transizione verso il digitale deve di conseguenza accompagnarsi a politiche che promuovano gli investimenti pubblici e stimolino quelli privati, riducendo incertezza e squilibri, e sostenendo occupazione e redditi. Con politiche di supporto della domanda, le imprese tenderanno a compensare il potenziale effetto negativo di breve periodo della digitalizzazione sui costi di riallocazione dei lavoratori (e di adeguamento delle abilità) sia utilizzandoli più intensamente sia favorendo la specializzazione e divisione del lavoro. In questo senso, sostenere la domanda aggregata garantirebbe crescita della produttività e della produzione in mercati competitivi.

La cattiva notizia è che il meccanismo di causazione circolare cumulativa alla base della Legge Kaldor-Verdoorn può agire anche nella direzione opposta: l’insufficienza della domanda aggregata tenderà a deprimere gli investimenti, con effetti negativi sulla capacità del sistema economico di tradurre i benefici della digitalizzazione in guadagni di produttività. Di conseguenza, politiche per l’integrazione del digitale nei processi produttivi, se non supportate da politiche di sostegno della domanda aggregata, possono rivelarsi inefficaci o addirittura depressivi.

Inoltre, le peggiorate condizioni di disuguaglianza dei redditi osservate su larga scala nelle economie G20 possono drammaticamente minacciare non solo la capacità di garantire condizioni distributive giuste, ma anche l’efficacia stessa di interventi diretti a migliorare il trend della produttività e a rilanciare la crescita globale. Un aumento della disuguaglianza comporta, infatti, che la composizione dei consumi vari a vantaggio dei beni a più basso valore aggiunto, trascinando così l’economia in un loop di stagnazione del reddito nazionale e della produttività.

In quest’ottica, i potenziali benefici della trasformazione digitale dovrebbero essere valutati sulla base degli effetti che quest’ultima ha in primis su consumi e investimenti. Come rilevato dal McKinsey Global Institute (Solving the productivity puzzle: The role of demand and the promise of digitization, 2018), l’economia digitale potrebbe avere ricadute negative sulla dinamica di entrambi. In particolare, la digitalizzazione potrebbe rafforzare la concentrazione dei capitali e dei profitti, contribuendo così a ridurre ulteriormente gli investimenti. Dal lato dei consumi, la trasformazione digitale potrebbe invece accentuare la riduzione della quota salari, promuovendo un ulteriore aumento delle disuguaglianze e dislocando i lavoratori verso occupazioni a più bassi salari, con l’effetto di una riduzione complessiva di consumi e domanda aggregata.

In conclusione, la trasformazione digitale dovrebbe essere opportunamente inquadrata in un articolato disegno di politica economica in cui l’intervento pubblico non si limiti soltanto alle necessarie ma si esplichi anche, ed in modo sinergico, con efficaci politiche industriali e dei redditi. Questi aspetti sono stati solo parzialmente coperti nella discussione G20 che in generale si è poco concentrata sui grandi temi di natura macroeconomica molto rilevanti in tempi di crisi, come la crescente disoccupazione e inattività, i numerosi fallimenti di impresa, l’aumento dell’indebitamento pubblico e privato e gli enormi divari distributivi tra Paesi, settori e individui.

Nell’anno della peggiore crisi economica dopo la Grande Depressione degli anni ’30 del secolo scorso, che si è innestata su fragilità strutturali consolidatesi nei decenni precedenti, la Presidenza italiana del G20, se da un lato si è mostrata consapevole dell’onda delle sfide globali emergenti, dall’altro ha mancato di proporre un approccio in grado di integrare efficacemente la prospettiva di lungo periodo su produttività e digitalizzazione con le politiche macroeconomiche necessarie per la ripresa post-crisi.

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