Una bacchetta magica da 600 miliardi di dollari

Enrico Traino sostiene che la soluzione a problemi epocali come il riscaldamento globale e le migrazioni può venire dall’introduzione su scala globale di una tassa sui combustibili fossili (“Carbon Tax”). Traino spiega perché a suo parere questa tassa dovrebbe essere fissata a un livello più alto di quello consigliato dagli economisti e indica gli effetti che essa potrebbe avere sia direttamente sia indirettamente, attraverso l’impiego del gettito che permetterà di ottenere, sulla soluzione dei due problemi epocali.

Il mondo, ed in particolare il nostro continente, sono oggi di fronte a tre problemi di grande rilevanza:

  1. l’inquinamento da combustibili fossili, con i suoi effetti sul clima e sulla salute umana
  2. l’elevata disoccupazione, in particolare giovanile, che affligge alcuni paesi europei
  3. le migrazioni dal continente Africano verso l’Europa.

La tesi che si sostiene in queste note è che in realtà per questi problemi esiste una soluzione che ci si ostina a ignorare: la Carbon Tax. Infatti, una Carbon Tax elevata, ben strutturata e ben utilizzata, contribuirebbe in maniera determinante alla contemporanea soluzione di tutti e tre i problemi.

Quale dovrebbe essere la misura della Carbon Tax? La Carbon Tax costituisce un tipico esempio di tassa pigouviana, ovvero una tassa su attività o loro effetti (come i combustibili fossili) che danno luogo a rilevanti esternalità negative (inquinamento, riscaldamento globale) e, quindi, a costi sociali che la tassa dovrebbe internalizzare.

In linea di principio, l’aliquota dell’imposta sul carbonio dovrebbe quindi essere fissata in una misura uguale al danno derivante dalle conseguenti emissioni di gas ad effetto serra in corrispondenza di quello che viene considerato il punto di ottimo sociale. Tale approccio si basa sulla possibilità di misurare il costo sociale delle emissioni: impostazione teoricamente ineccepibile, ma che presenta diversi problemi pratici.

L’approccio qui proposto è invece rovesciato: la Carbon Tax dovrebbe essere fissata al valore più alto che il sistema economico è in grado di assorbire senza rilevanti conseguenze sistemiche. Senza ricorrere a complicate proiezioni economiche, è facile dimostrare che il mondo è in grado di convivere con una Carbon Tax pari a 25 $ su ogni barile di petrolio equivalente utilizzato: lo dimostrano infatti i dati storici. Il costo del petrolio ha infatti oscillato intorno al valore di 100 $ al barile lungo tutto il periodo compreso tra il 2012 ed il 2014, mentre oggi è collocato stabilmente al di sotto dei 60 dollari al barile, e non si prevede che risalga significativamente sopra questo valore nel medio periodo (Fonte: U.S. Energy Information Administration, Short-Term Energy Outlook, January 2017).

Fig. 1: Prezzo del petrolio greggio West Texas Intermediate e intervalli di confidenza NYMEX (2013-2018)

L’economia dei paesi occidentali ha quindi già dimostrato di poter convivere stabilmente con un costo del petrolio molto al di sopra dei livelli attuali; in particolare, se su ogni barile di petrolio gravasse una Carbon Tax come quella da noi ipotizzata, il prezzo rimarrebbe comunque al di sotto di un valore di 60 + 25 = 85 $ al barile, un valore che l’evidenza storica dimostra essere largamente accettabile.

Una Carbon Tax anche così elevata risulterebbe dunque pienamente tollerabile a livello sistemico; ma quante risorse potrebbe generare? e come potrebbero essere impiegate al fine di risolvere i problemi citati?

Quante risorse si potrebbero reperire? Come confermato dall’agenzia U.S. Energy Information Administration (EIA) nel suo International Energy Outlook 2017, i tre quarti del fabbisogno energetico mondiale, pari a circa 440 quadrilioni di Btu (ovvero 10 elevato alla 15 Btu), sono ottenuti da combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale).

Fig.2 : Il consumo mondiale di energia per tipo di combustibile, 1990-2014

Tale consumo corrisponde a circa 75 miliardi di barili di petrolio equivalente per anno. Una Carbon Tax da 25 $ al barile varrebbe quindi potenzialmente 1.875 miliardi di dollari all’anno a livello globale.

Probabilmente diversi paesi non la applicheranno, ma se si recuperasse anche soltanto un terzo di questa cifra potenziale, si avrebbero comunque a disposizione oltre 600 miliardi di dollari all’anno.

Quali sarebbero gli effetti diretti? Il primo vantaggio che si otterrebbe da questa tassa è che, rendendo meno conveniente il ricorso ai combustibili fossili, ne ridurrebbe progressivamente l’utilizzo a favore delle fonti rinnovabili, specie se nel contempo l’energia prodotta da queste scendesse drasticamente di costo.

Come fare a ridurre nel contempo il costo dell’energia ottenuta da fonti rinnovabili? Facendo ricerca, molta più ricerca di quanta se ne sia mai fatta; ad esempio, su come produrre idrogeno per elettrolisi dall’acqua usando l’energia solare, o su come ricavare biogas dalle alghe, senza escludere la fusione nucleare.

Come impiegare le risorse così ottenute? Quanta ricerca potrebbe essere finanziata in questo modo? Si ipotizzi di destinare la metà delle risorse ottenute, ovvero oltre 300 miliardi di dollari, alla ricerca sulle fonti di energie rinnovabili. Per fornire un termine di paragone, la spesa complessiva di tutta l’Unione Europea in Ricerca e Sviluppo su qualsiasi materia è pari a circa 320 miliardi di €, circa il 2% del suo PIL; ciò significherebbe sostanzialmente raddoppiare la spesa complessiva in Ricerca e Sviluppo effettuata ogni anno nei Paesi Europei, e concentrare questo incremento sulla ricerca di fonti energetiche sostenibili, probabilmente il tema più importante per la sopravvivenza della civiltà umana come oggi la conosciamo.

Ipotizzando che il rapporto tra numero di ricercatori impiegati e costo complessivo del programma sia pari a 1 ricercatore ogni mezzo milione di dollari di costi, ne consegue che un siffatto programma di ricerca creerebbe lavoro per 600.000 (seicentomila) ricercatori.

Oltre che incrementare l’occupazione, un programma internazionale di ricerca di tali dimensioni costituirebbe una delle migliori manovre keynesiane di sostegno alla crescita economica che si potrebbe immaginare.

Investendo le risorse economiche reperite con una Carbon Tax da 25 $ al barile nella ricerca sulle fonti rinnovabili avremmo, se non proprio risolto, almeno enormemente alleviato i primi due problemi citati.

Rimarrebbe a disposizione – naturalmente finché il consumo di petrolio non si riducesse in modo significativo – il rimanente 50%, ovvero altri 300 miliardi di dollari da investire ogni anno, che potrebbero essere impiegati per intervenire sugli altri problemi citati, che sono tra loro fortemente correlati: povertà in Africa, sovrappopolazione, pressione migratoria, necessità di una più equa ripartizione delle risorse.

Nei paesi dell’Africa centrale, infatti, il tasso di fertilità per donna è compreso tra 5 e 7 figli per donna; con tale esplosiva crescita demografica, la popolazione del continente Africano è destinata ad accrescersi di circa 800.000 esseri umani da qui al 2050, se non fosse per il non trascurabile dettaglio che il sistema economico dell’Africa già oggi non è in grado di garantire livelli di vita accettabili ai suoi abitanti, causando quindi le migrazioni di massa cui si sta assistendo.

Fig. 3: Crescita della Popolazione Mondiale – Stime ONU (in migliaia di individui, in ogni valore) e relative percentuali di abitanti, considerando tutto il mondo, nel rispettivo continente (ONU)

Dovrebbe risultare quindi evidente che se non si agirà sui tassi di natalità in Africa, qualsiasi politica di accoglienza in Europa equivarrà a tentare di svuotare il mare con un cucchiaino.

Ma chi, se non l’Europa, dovrebbe aiutare i paesi Africani – fosse solo per proteggere se stessa dalla catastrofe imminente costituita da 800 milioni di Africani che vogliano emigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita?

In effetti, secondo quanto riportato dalla Commissione Europea, nel 2016 gli stati membri dell’UE hanno consolidato la loro posizione di primi donatori in termini di aiuto allo sviluppo dei Paesi Africani.

Complessivamente l’assistenza finanziaria ai paesi poveri da parte dell’unione Europea nel 2016 è stata di 75,5 miliardi di €. Se si destinassero ad un “Piano Marshall per l’Africa” circa 300 miliardi di $ ogni anno, questo significherebbe sostanzialmente moltiplicare per sei la somma oggi complessivamente messa a disposizione da tutti i paesi dell’intera Unione Europea per gli aiuti allo sviluppo.

Con “aiuti allo sviluppo” intendiamo istruzione, sostegno all’agricoltura ed all’industria, e certamente anche educazione alla contraccezione.

Si tratta di una tassa regressiva che deprimerebbe l’economia? Due sono le obiezioni più significative che sono state mosse alla Carbon Tax. La prima è che si tratta di una tassa con effetti regressivi.

In realtà, come argomentato da Marzio Galeotti e Alessandro Lanza (Tassare la CO2, Center for Research on Energy and Environmental Economics and Policy, Università Bocconi, 2015): “l’IVA tende ad essere tre volte più regressiva. (…) Tasse sui carburanti e sui veicoli si rivelano in realtà progressive, dal momento che contribuenti con redditi elevati tendono a guidare mezzi più costosi e più assetati di carburante rispetto a persone con redditi bassi”.

Inoltre, come osservato in precedenza, la regressività può essere sostanzialmente mitigata mediante un opportuno utilizzo del gettito fiscale (un fenomeno che è chiamato “doppio dividendo”).

J.Stiglitz (Reforming Taxation to Promote Growth and Equity, Roosvelt institute, 2014): “C’è una classe di tasse che effettivamente aumenta l’efficienza economica: le tasse che scoraggiano attività che generano esternalità negative. C’è un ulteriore principio che dovrebbe guidare le deliberazioni, che è che è quello di tassare le cose negative (come l’inquinamento) anziché quelle positive (come il lavoro). (..) Il mercato produce troppo di alcune cose (come titoli tossiche e rifiuti tossici) e troppo poco di altre (come la ricerca di base). Le tasse possono essere particolarmente efficaci nel limitare queste esternalità negative, ed in questo modo, producono dividendi doppi. Come già accennato, le imposte “correttive” migliorano l’efficienza e la stabilità dell’economia”.

Esattamente come suggerito da Stiglitz, buona parte delle risorse reperite dovrebbero essere reinvestite in attività di ricerca, in grado non solo di creare utilità sociale, ma anche occupazione.

Ancora Galeotti e Lanza: “Gli studi teorici ed i risultati di indagini quantitative inducono a ritenere che provvedimenti fiscali di questo tipo possano effettivamente raggiungere il doppio obiettivo ambientale ed occupazionale”.

Le obiezioni in merito alla regressività della Carbon Tax appaiono in sintesi scarsamente fondate. Una seconda obiezione che è stata posta è che, qualora fosse adottata soltanto da alcuni paesi, l’introduzione di una Carbon Tax di valore elevato comporterebbe una perdita di competitività per le relative industrie di trasformazione dei paesi aderenti.

Le argomentazioni relative alla potenziale perdita di competitività – sicuramente fondate in linea di principio – potrebbero essere di fatto superate se tale Carbon Tax fosse adottata da un nocciolo duro di paesi di significativa dimensione e con un rilevante interscambio reciproco: sarebbe in questo caso possibile applicare contestualmente dazi su tutte le merci trasformate importate da ogni Paese non appartenente al gruppo di quelli aderenti alla Carbon Tax.

In sintesi, si può concludere che le sfide globali che l’umanità si trova a fronteggiare sono enormi, e di conseguenza richiedono scelte radicali. Se si parte dalla consapevolezza della responsabilità dovuta nei confronti delle generazioni future, si impone un significativo cambio di prospettiva: invece di creare complessi modelli econometrici per calcolare quale sia il costo sociale del riscaldamento globale, occorre valutare quale sia il costo massimo sopportabile dal sistema, ed utilizzare tutte le risorse economiche reperite allo scopo di invertire la rotta di collisione verso gli iceberg che abbiamo dinanzi.

Se si parte da questa consapevolezza, si arriva certamente alla conclusione che una Carbon Tax di misura elevata (qui a livello esemplificativo assunta pari a 25 $ al barile), ed il conseguente impiego delle risorse qui proposto, costituirebbero certamente strumenti complessi da implementare, ma politicamente più agevoli da imporre rispetto a qualunque altra imposta di misura paragonabile.

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