Un piano Marshall per l’UE?

Carlo Spagnolo ricostruisce gli aspetti distintivi del piano Marshall e ne ricorda i principali obiettivi; quindi, lo confronta con il PNRR e sostiene che la situazione odierna appare profondamente diversa da quella postbellica, tanto da suggerire che il NGEU, che risponde ad una depressione economica, assomiglia più al New Deal varato dopo la crisi del 1929 che al piano Marshall. Tuttavia, Spagnolo ritiene che si possono individuare alcune analogie, sul piano politico generale e su quello dei meccanismi regolativi.

1. Si è fatto un gran parlare del piano Marshall, e si sono diffuse, assieme a qualche notizia corretta altre falsate, come su un quotidiano nazionale, dove si dichiarava che il 90% degli aiuti era stato in materie prime e tecnologie, e si sommavano i 4 anni del piano in un unico calderone, gonfiandone la dimensione. Invece il piano Marshall trasferì per il 90% “bulk commodities”, ossia soprattutto cereali e carbone, e pochi semilavorati e prodotti manifatturieri, come aiuti gratuiti (grants), di cui una quota per le liberalizzazioni (conditional aid). Il 10% invece fu dato come prestiti, loans, in dollari per l’acquisto di tecnologie, impianti, investimenti industriali, gestiti dall’ Eximbank e, per l’Italia, dall’IMI ( si vedano le Tabb. 1 e 2 tratte, come anche la successiva tab. 3, da C. Spagnolo, La stabilizzazione incompiuta, Il piano Marshall in Italia 1947-1952, Carocci, 2001). A parte le imprecisioni, il paragone è appropriato?

Tab. 1: Assegnazioni ERP e MDAP per paese e tipo di aiuto, aprile 1948-giugno 1951 (milioni di dollari)

Paese 1. Totale  ERP 1a. Aiuti gratuiti 1b. Prestiti 1c. Aiuti condiz. 2. MDAPa Totale (1+2)
Gran Bretagna      2.713,6 1.844,6 336,9 532,1 112,3 2.825,9
Francia      2.401,0 2.157,3 182,4   61,3   43,8 2.444,8
Italia     1.297,0 1.137,3   73,0   86,7   17,9 1.314,9
Germania Occ.     1.297,3 1.078,7     0,0 218,6 1.297,3
Olanda       977,7   795,4 150,7   31,6    1,0   978,7
Austria       560,8   556,2     0,0     4,6   560,8
Belgio- Luss.       546,6    17,7     8,1 460,8   546,6
Grecia       515,1  515,1     0,0     0,0   515,1
Danimarca       256,9  216,8   31,0     9,1      0,5   257,4
Norvegia       231,7  185,8   35,0   10,9     5,0   236,7
Turchia       144,7    54,4   73,0   17,3     7,8   152,5
Irlanda       146,2    18,0 128,2     0,0   146,2
Svezia       118,5      0,0   20,4   98,1   118,5
Portogallo         50,5      5,5   36,7     8,3     50,5
Trieste         37,5    37,5     0,0     0,0     37,5
Jugoslavia                 –  29,0     29,0
Islanda         23,7   15,9                  4,3                  3,5     23,7
Totale  11.314,7 8.636,2            1.139,7            1.538,8            217,3         11.532,0
U.E.P. 350,0 350,0   350,0
Totale generale

        11.882,0 b

a: programma militare di aiuti gratuiti, luglio 1950-giugno 1951; b: esclusi Cina e altri paesi asiatici (Birmania, Formosa, Indocina, Indonesia, Filippine, Tailandia) che ricevettero aiuti in varie forme, anche MDAP

Fonti: ECA, “Thirtyseventh Report for the Public Advisory Board”, 30 June 1951; CIR, Lo sviluppo dell’economia italiana, cit., p. 358.

 

Tab. 2: Quote per paese del totale dell’ERP e degli aiuti gratuiti, 1948-51

Paese Quote degli aiuti gratuiti b (%) Quote ERP (%) Aiuti gratuiti/ERP (%)
Francia a                   24,9 21,2 89,8
Gran Bretagna                   22,1 24,0 68,0
Italia a                   13,0 11,4 88,0
Germania Occidentale a                   12,2 11,5 83,1
Olanda                     9,0 8,7 81,3
Austria a                     6,3 5,0 99,2
Grecia                     5,8 4,6                         100,0
Danimarca                     2,4 2,3 84,4
Norvegia                     2,2 2,0 80,2
Turchia                     0,7 1,3 37,6
Trieste                     0,4 0,3                         100,0
Jugoslavia                     0,3
Belgio- Lussemburgo                     0,2 4,8   3,2
Irlanda                     0,2 1,3 12,3
Islanda                     0,2 0,2 67,1
Portogallo                     0,1 0,4 10,9
Svezia                     0,0 1,0   0,0
Totale  100,0 100,0 89,9

a: esclusi gli aiuti IA e GARIOA; b: Aiuti gratuiti totali = ERP+MDAP

Fonti: ECA, “Thirtyseventh Report for the Public Advisory Board”, 30 June 1951; CIR, Lo sviluppo dell’economia italiana, cit., p. 358.

 

2. Il piano Marshall non ebbe il successo che gli si attribuisce, ma ottenne dei risultati importanti perché consentì di guadagnare tempo, stabilizzare il quadro politico, e trovare compromessi di grande respiro.

Formalmente l’European Recovery Program, suo nome ufficiale, iniziò con l’approvazione del “Foreign Assistance Act” da parte del Congresso statunitense il 3 aprile 1948. La legge prevedeva l’istituzione di una apposita agenzia, l’Economic Cooperation Administration (ECA), con apposite filiali in tutti i paesi assistiti (Parigi, Roma, Londra, ecc.), a cui si affidava la supervisione degli aiuti, e stanziava il 17% del bilancio federale, circa 5,5 miliardi di dollari,  per il primo anno fiscale 1948-49, mentre lasciava impregiudicata la dimensione di quelli successivi, che sarebbero andati a scalare. La concessione dei finanziamenti annuali sarebbe stata parte di una battaglia parlamentare complicata, soprattutto per le resistenze dell’ala destra dei repubblicani, che avrebbero reso precaria la programmazione dei paesi assistiti. Nel secondo anno (1949-50) si stanziarono circa 3,5 miliardi di dollari, nel secondo 2,5, nel terzo poco più di 1,4 ma le erogazioni effettive totali fino a fine 1951 furono di circa 11,2 miliardi. Il piano fu bruscamente interrotto nel gennaio 1950 – cosa che molti dimenticano – per la decisione statunitense di indirizzare gli aiuti esteri verso la difesa, e sostituirlo con gli aiuti militari del MDAP-MSA, un nuovo atto legislativo, che varò un programma di sicurezza integrata occidentale, all’interno del quale i programmi civili vennero progressivamente orientati verso l’industria pesante, e dopo lo scoppio della guerra di Corea nel giugno 1950 quella linea espansiva venne potenziata. Il boom coreano completò i risultati, ancora parziali, del piano Marshall, dalla metà degli anni Cinquanta la ricostruzione europea era finita e il boom economico avviato.

Tra aiuti militari e civili ci fu maggior continuità di quanto non si immagini. Tuttavia la novità del 1950 stava nell’adozione di un keynesismo militare, attraverso l’espansione della spesa pubblica (gli Stati Uniti passarono da un bilancio per la difesa e gli aiuti esteri di circa 13 miliardi a 50 miliardi di dollari nel 1950) e una apposita “politica della produttività”.  Sarebbe molto parziale, quindi, considerare “piano Marshall” soltanto gli aiuti del 1948-50, e non includere nel giudizio tutte le forme di aiuto parallelo dal 1945 al 1955. Ad uno sguardo di insieme, il piano Marshall si ridimensiona, fu quasi un terzo del totale: considerati tutti gli aiuti, si capisce quanto decisiva fu l’assistenza americana per evitare pesanti scelte deflattive e quindi favorire la crescita (cfr. tab. 3).

 

Tab. 3: Aiuti americani utilizzati dai paesi partecipanti all’ERP, 1945-1955 (miliardi di dollari)

       1945-48      1948-51   1951-55
Accordi per i danni di guerra 1,4
Lend-lease e GARIOA  3,4a
Prestiti al Regno Unito 3,7
Prestiti Eximbank 1,8
Grecia e Turchia 0,7
UNRRA, post-UNRRA e IA 1,6
ERP 11,3
Aiuti militari ed economici    0,3b
(MDAP, MSA e FOA) 12,0
Totale 12,6 11,6   12,0c

a: parte dei fondi derivati dal GARIOA fu utilizzata nel 1948-49; b: MDAP; c: comprende gli aiuti militari dal 1952.

Fonti: per il 1945-48, NAC, Semi-annual Report to the President and to the Congress for the Period April 1- September 30, 1951, of the activities of the National Advisory Council on International Monetary and Financial Problems, 14 February 1952, n. 95143, Washington, DC, GPO, 1952, tab. 1-7; per il periodo 1948-51 vedi tab. 1; per il 1952-55, G. Adler-Karlsson, Western Economic Warfare 1947-1967. A Case Study in Foreign Economic Policy, Stockholm: Almqvist & Wiksell 1968, p. 46, tab. 4-2.

 

Per un giudizio storico complessivo, bisogna considerare anche quanto avvenne nel 1947. Il “piano Marshall” fu infatti annunciato il 5 giugno di quell’anno all’università di Harvard dal Gen. Marshall, in quel momento segretario di Stato del presidente Truman, e già comandante in capo dello stato maggiore statunitense, era lui ad avere coordinato la vittoria alleata. Il discorso di Harvard era molto generico, un paio di paginette, non era un vero piano ma l’indicazione di una nuova linea politica. Marshall dichiarò che la situazione dell’Europa era allarmante e che si sarebbe potuta produrre una crisi che avrebbe favorito paesi “totalitari”, pertanto gli Stati Uniti si impegnavano a sostenere la ricostruzione economica dell’Europa, purché i paesi europei producessero un piano comune e lo sottoponessero al governo statunitense.

L’invito era formulato in modo volutamente ambiguo, e l’URSS cadde nel cinico tranello, ispirato da George F. Kennan, per fare ricadere sui sovietici la responsabilità della rottura dell’alleanza bellica. Stalin e Molotov non volevano sottoporre un piano di ricostruzione agli Stati Uniti, temendo una supervisione che avrebbe potuto dare agli americani un potere di interferenza sull’economia russa e soprattutto su quella dei suoi satelliti. Nel luglio 1947, mentre iniziava la Conferenza di Parigi per discutere delle richieste europee agli Stati Uniti, uno Stalin furente impose al governo di Praga e di altri paesi satelliti che avevano inizialmente dato l’adesione, di ritirare le loro delegazioni. La divisione dell’Europa in due era compiuta, a settembre il PCUS istituiva il Cominform e dava una potente strigliata ai comunisti occidentali per la loro compiacenza al piano Marshall.

Il piano Marshall si avviò dunque nel 1947 come grande atto politico di costruzione di una alleanza tra gli Stati Uniti e i 17 paesi dell’Europa occidentale che aderirono. Sul contenuto del piano e sul tipo di aiuti si discusse a Parigi tra agosto e settembre. Gli europei crearono un apposito organismo, l’EEC (dal 1948 OECE e dal 1960 OCSE), per presentare una richiesta comune ovvero una colossale lista della spesa ma scoprirono, con un certo imbarazzo, che gli Stati Uniti non volevano erogare aiuti in oro e dollari, tanto meno dell’importo desiderato, che si aggirava sui 30 miliardi di dollari. Il ministro del commercio estero, William L. Clayton, fece sapere informalmente che l’amministrazione Truman avrebbe considerato importi molto inferiori. Alla fine della conferenza gli europei decurtarono le loro richieste a 17 miliardi di dollari circa, ma chiesero che una quota consistente fosse in oro e dollari per rimpinguare le loro riserve esaurite dalla guerra.

In realtà, il piano Marshall non corrispose alle aspettative dei governi europei perché gli Stati Uniti volevano imporre loro politiche rigorose tenendoli all’asciutto di dollari. Il problema con cui si misurò il piano non era soltanto la crescita, ma quello ad essa collegato della inconvertibilità e della chiusura dei mercati internazionali a seguito della crisi del 1929 e della guerra. Gli accordi di Bretton Woods del 1944 avevano lasciato impregiudicate le modalità per tornare alla promessa convertibilità aurea e alla riapertura degli scambi, e nessuno voleva farlo senza disporre di adeguate riserve e tutele. Soprattutto il governo laburista del Regno unito, oberato da debiti contratti per lo sforzo bellico, e impegnato col Welfare State, rifiutava il ritorno alla convertibilità e predicava politiche mercantiliste.

Gli Stati Uniti nel 1946-1947 avevano cercato di venire incontro alle esigenze inglesi e francesi con aiuti e prestiti bilaterali formalmente esterni al piano Marshall, diretti o tramite il FMI. Ma la voragine delle bilance dei pagamenti non venne colmata. Tra 1945 e 1946 il deficit mondiale verso l’area del dollaro raggiunse la cifra astronomica di $39 miliardi, e così quando gli inglesi cercarono di tornare alla convertibilità nel 1947 dovettero fare immediatamente marcia indietro. Nel 1947 Italia e Francia godettero di prestiti e aiuti gratuiti ponte, prima dell’avvio dell’ERP.

Il piano Marshall varava una nuova strategia, non si sarebbero più aiutati i singoli paesi ma li si sarebbe considerati come un’area capitalista integrata, recuperando le economie esportatrici di Germania occidentale e Giappone. Le economie europee-occidentali dovevano essere aiutate a integrarsi, per ricostituire i loro conti con l’estero e orientarsi verso l’area del dollaro. Non si sarebbe tornati, come i governi inglese e francese speravano, al mondo del primo dopoguerra. Gli Stati Uniti avrebbero guidato le danze e riorganizzato i rapporti mondiali, non concedendo i desiderati dollari ma merci statunitensi, per costringere gli europei a ristrutturare ed essere più competitivi.

Il piano Marshall non fu quindi soltanto un piano di aiuti ma un progetto politico complesso, volto a ripensare i rapporti tra i partecipanti e il resto del mondo per rendere l’Europa occidentale “viable”, ossia in equilibrio nella bilancia dei pagamenti. Fu questa una delle chiavi del suo successo, ma anche una ragione dei conflitti che lo attraversarono, perché la strategia statunitense avrebbe comportato la fine delle preferenze tariffarie tra le madrepatrie e le loro aree ex-coloniali. L’altro elemento rilevante sta nella rottura con l’URSS, che rese possibile isolare il socialismo per ritornare a rapporti di libero mercato, anche nelle gerarchie di fabbrica.

Il successo del piano Marshall nella crescita interna dei paesi assistiti fu parziale perché gli aiuti furono troppo modesti per sostenere l’industria, mentre contribuirono ad alleviare le difficoltà alimentari e di carbone. Il successo arrise eliminando i principali colli di bottiglia che impedivano la crescita. Un complesso compromesso nel giugno-settembre 1949 vide gli Stati Uniti rinunciare alle condizionalità iniziali per la convertibilità e la liberalizzazione, riconoscendo all’Inghilterra tariffe protettive stabili dell’area della sterlina verso quella del dollaro, e una tutela delle valute europee attraverso l’Unione Europea dei Pagamenti istituita nel 1950. I Sei, Francia, Germania occidentale, Benelux e Italia, ottennero un trattamento speciale prima attraverso l’UEP e la CECA, poi stabilmente attraverso l’unione doganale col Trattato di Roma del 1956, che consentiva ai loro mercati di integrarsi e al contempo proteggersi dalla competizione internazionale.

Il piano Marshall ebbe successo creando le condizioni politiche per un compromesso tra le politiche macroeconomiche dei paesi occidentali più che attraverso i suoi meccanismi interni, legati ai “fondi di contropartita” e a condizionalità che non abbiamo qui lo spazio per analizzare, su cui si sono tanto avviluppati autorevoli storici ed economisti. Tuttavia vorrei dare qualche breve accenno anche su questo aspetto. Nonostante la propaganda dell’epoca, il piano Marshall favorì politiche interventiste dei governi europeo-occidentali che coi fondi di contropartita rivitalizzarono, o rifunzionalizzarono, l’intervento statale. Strumenti come la Cassa per il mezzogiorno o il Kreditanstalt für Wideraufbau guidato da H. Abs dovevano servire alla maggior competitività e, nel tempo, alla crescente liberalizzazione.

3. Se ci è consentita, in conclusione, una analogia con la situazione odierna. Il PNRR non sembra assimilabile al piano Marshall (come alcuni suggeriscono), perché deve combattere una depressione e non risolvere un problema di bilancia dei pagamenti: in questo senso ricorda di più il New Deal e i suoi esperimenti tanto osteggiati dai fautori dello Stato federale minimo. Anche le dimensioni e il tipo di aiuti sono nettamente diversi da quelli del piano Marshall: il raffronto è difficile ma forse sono maggiori rispetto all’ERP e inferiori all’insieme degli aiuti postbellici e di minor durata.

Tuttavia alcuni aspetti richiamano l’ERP: si riflette, nella distinzione tra grants e loans, l’indecidibilità nell’UE tra una politica “federale” di rilancio del mercato interno e una politica intergovernativa che pensa all’UE come ad un aiuto internazionale. L’impostazione “neoliberista” sostiene l’orientamento all’export, e non ragiona davvero in termini integrati come cercarono di fare i dirigenti dell’ECA.

Come nel Piano Marshall, si confrontano nel NGUE almeno due anime, una che guarda alla crescita e ad un nuovo modello di sviluppo europeo, e un’altra ortodossa, che punta invece al riequilibrio dei conti nazionali e a lasciare i costi del riaggiustamento ai paesi in deficit. Durante il piano Marshall, come abbiamo provato a spiegare, le due anime si confrontarono e alla fine trovarono un compromesso, ma gli Stati uniti ebbero la capacità di adattare i loro obiettivi alla situazione concreta. Il pericolo del comunismo consentì di derogare dal ritorno al libero mercato che avrebbe imposto costi sociali e politici molto elevati. Non si ebbero in Occidente, fino al ritorno alla piena convertibilità nel 1959, vere politiche keynesiane, né autentiche politiche liberiste, ma un mix, spesso contraddittorio, di entrambe.

Se l’ERP mirava a superare i veti inglesi, francesi e sovietici al ritorno della Germania occidentale (e del Giappone) nell’economia mondiale per risolvere il problema della viability, stavolta il cuore del problema è l’Italia. Abbiamo ottenuto una solidarietà insperata, l’UE sostiene i costi del riaggiustamento, ma rendere digeribile ai paesi del Nord dell’UE una duratura sospensione del Patto di stabilità sarà più difficile che ai tempi dell’ERP, a meno che il Covid-19 si riveli più tenace e duraturo del pericolo comunista nel secondo dopoguerra. Ai tempi, si derogò dalla convertibilità per dodici anni.

Un’ulteriore differenza sta nella struttura organizzativa. Il piano Marshall ebbe una sede tecnica collettiva europea nell’OECE, dove si redasse un piano comune a lungo termine e si cercarono mediazioni tra i vari modelli di sviluppo, e una parallela, bilaterale, attraverso l’ECA. Oggi gli Stati non hanno un vero coordinamento comune, come ai tempi del piano Marshall, perché non si riconoscono interamente nella Commissione, che dovrebbe svolgere contemporaneamente il ruolo dell’OECE e dell’ECA (il controllato e il controllore). Durante l’ERP, l’Italia mise in piedi un Comitato interministeriale per la ricostruzione (CIR), a cui affiancò 11 comitati presso vari ministeri. Sebbene la struttura fosse relativamente snella, il caos burocratico fu uno dei problemi che generarono conflitti e residui passivi, con ritardi sistematici nella spesa dei fondi di contropartita di 2-3-5 anni. Oggi la situazione è tale che non possiamo di certo permetterci, assieme a molte altre cose, un simile caos burocratico.

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