Un duplice record,un duplice fallimento

– Mauro Agostini* –
L’ultima legge finanziaria della legislatura avrebbe dovuto rappresentare l’occasione di un bilancio, di un’operazione-trasparenza su quanto si è fatto, su quanto resta da fare e sugli ostacoli che si sono incontrati nell’attività di governo: questo si sarebbe dovuto fare di fronte al paese.
Viceversa, il governo ha cercato, fin da settembre, di scantonare da questo rendiconto. «Non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani»; «abbiamo realizzato tutti gli obiettivi»: queste sono le amenità che abbiamo ascoltato in questi mesi ed anche nel corso dell’iter parlamentare della legge finanziaria. Tuttavia, il paese è sfibrato, ripiegato su se stesso, ha bisogno di una prospettiva nuova, che si può costruire solo partendo da un’analisi esatta dello stato effettivo delle cose.
E lo stato effettivo delle cose ci consegna un duplice record realizzato da questo governo: un’economia ferma tra recessione e stagnazione e conti pubblici fuori controllo. Raggiungere simultaneamente questo duplice obiettivo richiede impegno e, persino, professionalità, perché realizzarlo contemporaneamente rappresenta un traguardo storico. Capirei se si dicesse che abbiamo i conti pubblici un po’ «ballerini» perché abbiamo immesso liquidità nel sistema e, di conseguenza, l’economia va bene o, viceversa, se si affermasse che abbiamo un Bilancio molto rigoroso, e ,quindi, che abbiamo asciugato risorse per tenere in equilibrio i conti pubblici e, perciò, l’economia fatica.
Il governo, invece, ha realizzato esattamente questo duplice e contemporaneo obiettivo. La verità è che siamo in presenza del fallimento pieno di una politica economica. Guardiamo alla crescita e prendiamo il trimestre più favorevole per l’economia italiana: nel terzo trimestre del 2005 la Francia cresce dello 0,7 per cento, la Germania dello 0,6 per cento, la Spagna dello 0,8 per cento e l’Italia dello 0,3 per cento. Insomma, nel terzo trimestre 2005 l’Italia cresce meno della metà degli altri concorrenti diretti in Europa. Se allarghiamo di più lo sguardo e ci riferiamo agli ultimi anni, vediamo che, purtroppo, questo trend – lo dico senza alcun compiacimento – si conferma.
L’Italia è cresciuta, dal 2002 fino al 2004, del 3,7 per cento; la Francia nello stesso periodo del 6,4, la Spagna del 12,3, la media dell’area euro è del 5,6 per cento. Quindi, l’Italia cresce, nel contesto europeo, due punti, due punti e mezzo in meno della media europea e, tutto ciò, in un contesto internazionale eccezionalmente favorevole.
Riporto una citazione dall’ultima Relazione ai Partecipanti dell’ex-Governatore della Banca d’Italia: «Il prodotto mondiale», ha detto Fazio il 31 maggio scorso, «è aumentato, nel 2004, del 4 per cento in termini reali. Ponderando le produzioni nazionali sulla base dei poteri d’acquisto, la crescita è del 5,1 per cento, la più alta da oltre due decenni, da oltre vent’anni». E questo non lo sostiene l’Internazionale socialista, ma il Governatore della Banca d’Italia all’epoca in carica, che quanto ad esercizio della vigilanza non può essere portato ad esempio a nessuno, ma che per quanto riguarda la qualità delle analisi del suo Ufficio Studi rappresenta ancora un punto di riferimento certo.
Questo è lo stato dell’arte. Certo, in questo processo di deterioramento della competitività internazionale del nostro Paese non vi è solo una responsabilità governativa. Vi è un problema di fondo strutturale che data dai primi anni ‘90, ma l’esecutivo non ha fatto niente, non ha mai nemmeno messo in agenda il problema del decadimento della qualità dell’apparato produttivo italiano e, se qualcosa ha fatto, ha soltanto aggravato il problema.

L’impoverimento del ceto medio
La grande «gelata» di questi anni si è abbattuta solo su una parte della società italiana, la classe media: coloro che fino a qualche anno fa non vivevano certo negli agi, ma stavano mediamente bene, erano sereni, arrivavano tranquillamente alla fine del mese, risparmiavano qualcosa e poi, magari, con i rendimenti di quei risparmi potevano pagare i libri di testo per i figli o le vacanze.
Su questa parte della società italiana questo governo ha infierito, e infierito con grande durezza e con grande determinazione, ed ha colpito anche quella fetta della società italiana che aveva guardato alla destra nel 2001 e che sperava, appunto, di avere una crescita più forte e più significativa. Qui si determina una cesura vera, autentica. Contemporaneamente è riemersa in questi anni in maniera netta ed evidente una questione salariale. È emerso per la prima volta nella storia italiana, il fenomeno della figura sociale del lavoratore povero, cioè di colui che arriva ad avere un posto di lavoro ma che, nonostante questo posto di lavoro, naturalmente precario per le riforme fatte dal governo Berlusconi, non arriva a «sbarcare il lunario».
La politica fiscale dei condoni, il taglio dei trasferimenti agli enti locali sono stati la parte più evidente della politica che ha colpito la classe media italiana. Questo è il segno delle operazioni realizzate. Tagliare i trasferimenti agli enti locali non è un’operazione contabile. Tagliare i trasferimenti agli enti locali significa incidere nella «carne» e nel «sangue» del potere d’acquisto di una parte fondamentale della società italiana, così come procedere con la politica dei condoni significa ridistribuire, anche in questo caso, risorse a vantaggio dei più ricchi..
Si prosegue lungo questa strada con la legge finanziaria per il 2006 che prevede, tra le altre misure, il concordato aggiunto al condono, ipotecando oltretutto il rapporto tra fisco e contribuente per i prossimi due anni. Questo è un fatto di gravità inaudita. Durante la vigenza del governo Berlusconi, con riguardo solo alle sessioni di bilancio (altre misure di contenimento sono state attuate in corso d’anno), sono state definite manovre per 93,8 miliardi di euro, dal 2002 fino ad oggi. E, nel fare questo ingente insieme di manovre, il Governo non ha trovato il modo di restituire il fiscal drag ai contribuenti, attuando l’unica misura di restituzione fiscale, che corregge l’aumento automatico ed occulto della tassazione sui redditi derivante dall’inflazione. Il Governo ha impedito che, ogni anno, 1,7 miliardi di euro tornassero nelle tasche degli italiani, di una parte della società italiana, vale a dire di 16 milioni di lavoratori dipendenti e di 17 milioni di pensionati: l’infrastruttura stessa della società italiana. Questi sono i soggetti in carne ed ossa che hanno sofferto in questi anni per la politica portata avanti, per la redistribuzione alla rovescia del reddito nel nostro paese.
Per quanto riguarda le imprese, il governo con una mano ha dato e con l’altra ha tolto (significativo al riguardo l’esempio della riduzione del cuneo contributivo di un punto percentuale, 2 miliardi di euro, a fronte della modifica delle tabelle di ammortamento che costerà alle imprese circa 1,6 miliardi), mentre, con riferimento al Mezzogiorno, ha fatto scivolare l’utilizzo dei fondi comunitari, relativi al Quadro comunitario di sostegno che scade nel 2008, al 2009, fuori tempo massimo, mettendo in serio pericolo l’accesso ai fondi strutturali di cui beneficiano soprattutto le regioni meridionali: un disastro!
Sono arrivati persino ad espropriare i 450 milioni di euro del credito sportivo che sono stati accumulati in oltre cinquant’anni di storia! Hanno tolto queste risorse che dovrebbero essere destinate alle palestre, agli impianti sportivi, a quelle infrastrutture di cui il nostro paese ha bisogno.

Una manovra di bilancio affannosa e confusa

Il CER in un suo studio rileva come i tagli al welfare derivanti dalla riduzione di spesa prevista nella Finanziaria 2006 “annullano” e anzi superano gli stanziamenti del Fondo per la famiglia. L’istituto di ricerche ha calcolato un saldo complessivo negativo per le famiglie di 345 milioni. La differenza cioè tra i 1.485 milioni di euro in meno a disposizione dei Comuni per la spesa sociale e l’ammontare del pacchetto di misure fissato dal governo in 1.140 milioni.

I tagli della finanziaria sulla spesa sociale dei Comuni si tradurranno poi, sempre secondo questo istituto di ricerca, in un taglio di 544 euro l’anno per ogni famiglia povera, pari a 45 euro al mese.

Ma il taglio al Fondo per la spesa sociale è intervenuto già dal 2005: una riduzione del 50% che equivale a 502 milioni di euro in meno.

Ed è una finanziaria che, nonostante siano state già inserite, dopo la pubblicazione del testo base, due-tre manovre correttive, una con effetto anche sul 2005, non ci dà assolutamente la certezza dell’attendibilità dei dati prospettati.

Siamo di fronte ad una finanziaria che ripropone per altre vie le incertezze della finanziaria dell’anno in corso, che ha portato a un deficit superiore alle previsioni, ed ha costretto il governo a ricorrere a misure integrative fino all’ultimo momento.

Tremonti insiste nel dire che con questa manovra il governo “non mette le mani nelle tasche dei cittadini”, ma ci penseranno le aziende, a scaricare sui cittadini le maggiori imposte. Infatti, come non pensare che il prelievo sulle banche e le assicurazioni non si scaricherà sulle tariffe e sui premi? Come non considerare che la cd. “manutenzione dell’imponibile” riguardante Eni, Enel e le municipalizzate del settore energia, disposizione che ha sostituito la cd. “tassa sul tubo”, che da sola comporta un gettito per il primo anno superiore ai 900 miliardi, non si scaricherà su un aumento delle tariffe? Come non immaginare che il provvedimento fiscale sulla manutenzione ordinaria, che colpirà in modo particolare gli investitori istituzionali che concedono la casa in affitto, non si tradurrà in un aumento degli affitti?

E’ stato difficile anche capire fino all’ultimo l’esatta entità per l’anno 2006 della manovra. Alla fine si è attestata intorno ai 27 miliardi di euro: 16 di correzione del deficit tendenziale, 4 di rifinanziamento di spese inderogabili, 3,5 di misure per lo sviluppo, ai quali vanno aggiunti altri 3 miliardi, assai improbabili, derivanti da entrate ulteriori da dismissioni immobiliari, prima prenotati per finanziare gli interventi decisi a Lisbona e poi, dopo le sollecitazioni della Commissione UE, destinati alla riduzione del deficit. Altri 5 miliardi di correzioni sono stati introdotti per i conti 2005.

Emergono veri e propri “falsi in bilancio”: come per i 6 miliardi di proventi delle dismissioni immobiliari inseriti nel bilancio a legislazione vigente, o come i maggiori dividendi per un miliardo relativi al 2005, “scoperti” all’improvviso e derivanti dalle partecipazioni azionarie del Tesoro in Eni ed Enel. Come non sottolineare, anche come incongruente, l’iscrizione a bilancio a legislazione vigente, cioè al netto delle “nuove misure di lotta all’evasione fiscale”, di un incremento di entrate tributarie (per competenza) dovute ad “accertamento e controllo” pari a 5.385 milioni di euro con un incremento del 64% sul bilancio, per di più, assestato, del 2005 (da 8.419 a 13.804 milioni di euro). Se si aggiungono gli ulteriori 3 miliardi di euro che dovrebbero derivare dalle nuove misure introdotte con il decreto legge n. 203 (Collegato fiscale alla Finanziaria), se ne prevede il raddoppio in un anno solo !

Il decadimento della democrazia di bilancio
L’ultima considerazione riguarda il metodo, su cui anche il presidente della Camera Casini, ha speso qualche timida parola: mi riferisco a come si forma il bilancio dello Stato, a quella che una volta veniva chiamata la democrazia di bilancio.
La maggioranza di destra non solo ha teso a svuotare costantemente le prerogative del Parlamento, ma, come ha scritto recentemente Manin Carabba, Presidente emerito della Corte dei Conti, le procedure della sessione di bilancio per il 2006 hanno ricalcato ed aggravato le patologie registrate negli ultimi anni.
Il Governo ha presentato il 29 settembre il disegno di legge finanziaria, il bilancio dello Stato a legislazione vigente per il 2006 e la prima sezione della relazione previsionale; il 30 settembre, ha presentato il decreto-legge n. 203, contenente la parte fiscale della manovra per il 2006; il 17 ottobre, il decreto-legge n. 211, con misure correttive per il 2005; il 28 ottobre, un emendamento al bilancio a legislazione vigente, con una correzione del tendenziale per il 2006; il 30 ottobre, la seconda sezione della relazione previsionale e programmatica; l’8 novembre, un emendamento al decreto-legge n. 203 che, nel frattempo, aveva anche incorporato i contenuti del decreto-legge n. 211; il 9 novembre, un emendamento alla stessa legge finanziaria, di nuovo, con accluso voto di fiducia; il 14 dicembre ha presentato un altro maxiemendamento.
Chi si può raccapezzare in questo ginepraio che l’esecutivo ha realizzato? Si è determinato un’opacizzazione crescente e costante nella formazione del bilancio e nella gestione del bilancio. I voti di fiducia si sono susseguiti ai voti di fiducia. La maggioranza ha dovuto sottostare anche all’umiliazione di dover riconvocare un Consiglio dei ministri (costretti a farlo dal presidente del Gruppo dei DS, Violante, che ha denunciato il conflitto d’interesse del Premier sulla questione delle agevolazioni ai decoder per il digitale terrestre) per aggirare e per poter riaffermare gli interessi privati del Presidente del Consiglio.
Quindi, anche sul metodo e sul versante dei conti pubblici si è conseguito un duplice record: conti fuori controllo e cancellazione degli istituti della democrazia di bilancio! Non è un caso che, proprio lungo questa linea, anche la Corte dei conti ha sanzionato il Governo per l’atteggiamento che ha tenuto con riferimento alle sanatorie dei pregressi illeciti contabili da parte di amministratori pubblici.
La questione, quindi, non è soltanto quella di cambiare manico, come è necessario avvenga con le prossime elezioni. La questione è che si avverte la necessità di un salto di qualità delle politiche. Occorre attuare nella trasparenza politiche diverse, nella direzione indicata dall’Unione.
Una linea alternativa esiste e con il concorso di tutti i cittadini può e deve essere attuata.

*Vice Presidente Gruppo DS – l’Ulivo. Camera Deputati

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