Un diritto del lavoro sostenibile: sintesi di un Manifesto

Tiziano Treu sintetizza i punti principali del Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile da lui elaborato con Bruno Caruso e Riccardo Del Punta. Il Manifesto intende aprire una discussione sul futuro del lavoro e la sua regolazione nella prospettiva di ripensare non i principi ispiratori ma obiettivi, priorità e strumenti del diritto del lavoro, in particolare estendendo la tutela del lavoratore oltre l’ambito del lavoro subordinato e guardando agli obiettivi della sostenibilità nelle tre dimensioni: economica, sociale e ambientale.

1) Il ‘Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile’ redatto insieme a Bruno Caruso e Riccardo Del Punta è stato pensato prima dello scoppio della pandemia, ma scritto nel pieno del suo svolgimento e guardando al dopo. Qui cerco di sintetizzare i suoi principali contenuti.

Condividiamo l’idea diffusa che la crisi pandemica abbia comportato una accelerazione dì processi dì trasformazione già in corso. Sulle implicazioni per il futuro del lavoro e della sua regolazione il Manifesto vuole provocare una riflessione collettiva per cercare di orientarle in senso positivo, consapevole delle discontinuità provocate dalla pandemia, ma senza aspettative palingenetiche.

I principi fondativi del nostro diritto, di ascendenza costituzionale, restano validi; anzi nella incertezza delle prospettive che si traduce spesso in disorientamento delle politiche, essi restano un elemento fondamentale per orientare le scelte di fondo.

Ma siamo convinti della necessità di rivedere molte categorie, non solo giuridiche, del passato e riteniamo che anche il diritto del lavoro debba ripensare se non i principi ispiratori, certo i suoi obiettivi, le priorità e gli strumenti, tenendo conto dei diversi contesti organizzativi, dei nuovi modelli sociali e culturali e delle inedite forme di interazione personale.

La tradizionale funzione di tutela del lavoratore non è esaurita, ma va estesa, con modulazioni normative diverse, oltre l’ambito storico del lavoro subordinato, a rapporti non standard caratterizzati da vari gradi di autonomia.

Va arricchita di istituti nuovi per la promozione dei diritti fondamentali della persona, accompagnati con misure che stimolino sia le capacità dei singoli sia la voce collettiva dei lavoratori per bilanciare i poteri del datore di lavoro e influire sulle scelte dell’impresa.

2) L’idea centrale del manifesto è che la principale risposta alle sfide delle crisi e dell’economia digitale sta in un nuovo orientamento sistematico delle nostre scelte, anche giuridiche, che le finalizzi agli obiettivi della sostenibilità nelle sue tre dimensioni, economica, sociale e ambientale. Tali obiettivi, a volerli prendere sul serio, implicano un netto cambio dì rotta nelle politiche e nella regolazione rispetto alle impostazioni del passato, in tutte queste dimensioni.

Non si tratta solo, come pure è necessario, dì riconciliare il diritto del lavoro con l’economia di mercato, per renderlo economicamente sostenibile. La sfida più complessa è di riconciliare gli imperativi della giustizia sociale e della equa distribuzione delle risorse con le esigenze della crescita; anzi occorrerà rendere gli strumenti di regolazione e di welfare utili a uno sviluppo diverso da quello perseguito finora, che sia esso stesso sostenibile e valutabile secondo gli indicatori elaborati dall’ Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ora recepiti dall’ Unione Europea.

Le implicazioni principali di tale impostazione sono indicate nel manifesto al fine di aprire su di esse una discussione non dì maniera.

3) Anzitutto si richiede di superare lo storico approccio settoriale, e talora corporativo, delle normative di tutela nei rapporti di lavoro come nel mercato del lavoro e nel welfare, per allargarne l’ambito in senso universalistico, così da renderle capaci di intercettare i bisogni di una popolazione di lavoratori, subordinati ma anche autonomi, sempre più diversificata e polarizzata.

Questa prospettiva è stata solo esplorata in passato con le proposte di Statuto dei lavori; ora va ripresa e adeguata alle nuove e spesso sfuggenti figure di lavoratori prodotte dalla economia digitale.

La sfida della diversità, sconosciuta alle regole normative concepite per la classe operaia del Novecento, interroga non solo il diritto ma anche la contrattazione collettiva e il sindacato. Richiede da entrambi risposte che sappiano corrispondere alle aspettative sempre più personalizzate dei singoli, senza rompere la solidarietà e la coesione necessarie a uno sviluppo umano.

Implica un mutamento anche nelle tecniche degli interventi. A tal fine serve non solo la tradizionale legislazione standard di natura inderogabile, ma va diffuso l’utilizzo dì normative sperimentali e adattabili, attivate dalla contrattazione collettiva, e va dato maggiore sostegno a processi partecipativi.

Un maggiore coinvolgimento dei lavoratori è richiesto dalla crescente complessità e fragilità dei sistemi produttivi e per altro verso corrisponde alle crescenti competenze richieste ai lavoratori. Per questo la partecipazione va considerata, non come un epifenomeno eventuale, ma come fondamento dì una nuova concezione che ispiri in senso collaborativo e partecipativo la stessa causa del contratto dì lavoro.

Universalità delle tutele e coinvolgimento strutturale dei lavoratori nelle vicende della impresa sono due componenti essenziali, più che mai nella criticità del momento presente, affinché il diritto del lavoro metta tutti in grado di contribuire a uno sviluppo sostenibile sia socialmente sia economicamente.

4) Allo stesso fine il manifesto propone la necessità che le misure prescrittive e di divieto, tradizionali nel nostro diritto, siano accompagnate da misure promozionali che arricchiscano le risorse personale e permettano a tutti di sviluppare a pieno la propria personalità per benessere proprio e per poter meglio contribuire al bene comune.
Gli strumenti promozionali finora più usati, non sempre in modo ben finalizzato, sono i vari tipi dì incentivi, fiscali e contributivi. Ma secondo il manifesto la misura promozionale per eccellenza è la formazione, da quella di base a quella continua nel corso della vita, che deve diventare un contenuto essenziale di tutti i rapporti di lavoro.

Un segnale concreto in tale direzione viene dall’Europa, il cui l’Action plan attuativo dell’European Pillar of social rights ritiene che il 60% dei dipendenti debba essere annualmente in formazione, pena la loro obsolescenza e la espulsione dai processi produttivi.

Per essere utile alle direzioni di sviluppo sostenibile indicate dall‘Europa servirà una formazione non dì routine e standardizzata, come spesso erogata finora, ma rispondente alle esigenze professionali delle persone, adeguata alle novità della economia digitale ed ambientalmente compatibile.

Anche il welfare va adattato per rispondere alle nuove sfide. Va ripensato in senso universalistico per non trascurare vecchi e nuovi bisogni e soprattutto va riorientato nella sua funzione, per non limitarsi alla protezione dai rischi e al risarcimento dei danni relativi alla vita di lavoro, ma per rafforzare la capacità delle persone sia dì vivere bene sia dì contribuire al benessere generale.

5) Diritto del lavoro e welfare sono entrambi confrontati con la crescita delle diseguaglianze, anch’essa accelerata negli ultimi anni e inedita sia per la loro diffusione sia per la multidimensionalità; perché la crescente diseguaglianza registrata non solo nel nostro paese riguarda non solo il reddito ma le opportunità delle persone e le loro diverse condizioni dì vita (salute, istruzione, habitat). L’intreccio di queste diverse dimensioni della diseguaglianza ha dimostrato di produrre effetti moltiplicatori, di deprivazione e financo di povertà, spesso in capo alle stesse persone e gruppi sociali.

La nostra materia si è storicamente impegnata a contrastare singoli aspetti della discriminazione, a cominciare da quella dì genere, peraltro non sempre con risultati adeguati; ma non ha dedicato altrettanto impegno a combattere le diseguaglianze nelle loro complessità, forse per un retaggio della tradizionale fiducia nella crescita e nel progresso lineare.

Riteniamo invece che questo sia un imperativo prioritario per le politiche del lavoro, perché una società diseguale e senza eguaglianza di opportunità è non solo ingiusta, ma genera disincentivi anche economici e si associa a una cattiva allocazione delle risorse.

Il manifesto sostiene che un compito essenziale del welfare futuro è di ridare centralità a questo obiettivo, rafforzando per tutti sia le tutele dal bisogno e gli istituti di contrasto alla povertà, da ultimo il reddito minimo, sia gli strumenti per promuovere l’eguaglianza di opportunità.

6) Ma lo stesso obiettivo richiama la urgenza di rivitalizzare soggetti e azioni collettive, a cominciare dalla contrattazione collettiva, per restituirle la funzione storica di strumento fondamentale non solo di autotutela dei lavoratori ma di eguaglianza.

L’obiettivo delineato nel testo postula un percorso difficile, che va contro ostacoli esterni e inerzie interne allo stesso movimento sindacale. In ogni caso esso presuppone un rinnovamento profondo delle strategie collettive tale renderle capaci di rispondere alle aspettative dei lavoratori vecchi e nuovi, che si trovano ad affrontare le nuove realtà della economia globalizzata e digitale. Richiede che il sindacato sappia adottare nuovi modelli di organizzazione e di aggregazione diversi dalle categorie merceologiche tradizionali, rivolti ai soggetti finora più distanti, i giovani anzitutto, i professionisti i frequentatori più o meno stabili della cd gig economy.

Inoltre il sindacato deve essere disponibile a farsi carico degli obiettivi dell’impresa, valorizzando la partecipazione dal basso dei produttori intelligenti presenti nella Smart factory. La sua azione collettiva deve mostrarsi capace di interloquire con le macchine intelligenti che stanno intervenendo sempre più nella gestione dei processi aziendali per garantire che sia rispettato il principio del controllo umano, come richiesto dalle indicazioni europee e internazionali.

Il manifesto sostiene anche la necessità che sia superata con provvedimenti efficaci contrattuali e se necessario legislativi l’attuale mancanza di regole, unica in Europa, sul sistema contrattuale e sulla rappresentatività degli attori collettivi: una anomalia che ha favorito una grave frammentazione contrattuale, e ha contribuito alla diffusione di gravi fenomeni di dumping economico e normativo.

Riguardo al dibattito in corso sulla necessità che il nostro ordinamento si attrezzi per garantire trattamenti salariali adeguati a tutti i lavoratori, come richiesto anche dall’Europa, gli autori ricordano che i due strumenti, contrattazione erga omnes e legge sul salario minimo, non sono incompatibili, ma anzi si possono combinare utilmente come mostra la esperienza di paesi vicini.

7) Il Manifesto si interroga infine sulla questione demografica, finora largamente rimossa non solo dai giuslavoristi, ma la cui drammaticità è segnalata in Italia più che altrove dal rapido invecchiamento della popolazione e dalla bassa natalità, così da essere diventata critica per le sorti stesse della nostra comunità nazionale.

Se non si corregge lo squilibrio di opportunità e di reddito fra giovani e anziani si mette a rischio il patto intergenerazionale che ha tenuto insieme per secoli le nostre società.

L’ equilibrio va ricercato anche qui su basi diverse dal passato, perché le trasformazioni in atto che hanno alterato il rapporto tradizionale fra giovani e adulti, sono non solo economiche ma culturali e persino antropologiche.

Per questo la intera strumentazione delle nostre politiche, da quelle della famiglia, a quelle della scuola e del lavoro, va mobilitata per invertire le tendenze demografiche che hanno inciso negativamente sul paese e in particolare sulle giovani generazioni.

Le politiche del lavoro possono contribuire a tale obiettivo con misure diverse operanti su entrambi i versanti: dirette a sostenere un accesso regolare e non precario dei giovani al lavoro, usando strumenti sperimentati con successo altrove (alternanza scuola lavoro, contatti di formazione lavoro, ecc.) e poi accrescendone le conoscenze e la autonomia personale, dall’altra parte rivolte a promuovere la vita attiva degli anziani anche nel lavoro, con forme organizzative e di attività atte a valorizzare le loro attitudini ed esperienze.

Queste politiche sono in gran parte di responsabilità pubblica. Ma imprese e sindacati non possono disinteressarsi del problema, perché la pratica implementazione delle politiche pubbliche richiede la iniziativa delle parti sociali nelle imprese.

Una strada particolarmente importante per rafforzare i rapporti fra giovani ed anziani in azienda e migliorare le condizioni di entrambi è la sperimentazione, finora solo accennata nel nostro paese, ma da tempo avviata altrove, di forme di staffetta generazionale che favoriscano la uscita graduale verso il pensionamento dei lavoratori senior e che prevedano la entrata agevolata dei giovani al lavoro, anche con forme di contratti misti di formazione e lavoro.

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