Un condono per il povero Onesto

Morales Sloop partendo da un’affermazione del Ministro Savona in merito agli effetti redistributivi dai ricchi ai poveri del condono fiscale, analizza sia l’iniziativa del governo sia il “Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva” del 2018. Morales Sloop sostiene che la misura si rivolge più che ai ricchi, ai furbetti e mostra come l’effetto redistributivo del condono sia sempre iniquo, favorendo i furbetti a scapito dei poveri Onesti, contrariamente all’affermazione del Ministro.

Il Ministro Savona, in sede europea, parlando della prima versione del decreto fiscale (Dl 119/2018) – che conteneva un condono fiscale rivolto a varie platee di contribuenti– ha usato l’espressione “Turarsi il naso e fare l’operazione” perché in fondo il condono fiscale “È una redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri”.

Pecunia non olet: così affermò l’imperatore Vespasiano rispondendo al figlio Tito che lo rimproverava per aver introdotto un’imposta sui gabinetti pubblici. Vespasiano aveva la necessità di risanare le finanze dell’impero e per questo non esitò a ricorrere a quest’imposta un po’ bizzarra.

Oggi l’impero romano non c’è più, ma le finanze pubbliche continuano ad essere un problema. Nell’affrontarlo si mostra, però, meno fantasia che nell’antica Roma: invece di introdurre imposte bizzarre si pensa di ricorrere all’uso dei condoni, salvo poi rendersi conto che potrebbero non portare gli introiti desiderati.

Anche in questo caso il denaro non avrà odore ma, oggi come ieri, in determinate situazioni è sempre meglio turarsi il naso.

Non possiamo sapere se Vespasiano, quando introdusse l’imposta, si preoccupò degli aspetti distributivi – probabilmente no – ma di certo essi sono rilevanti e bene ha fatto il ministro Savona ad accennarvi. Sorge, però, un dubbio: si tratta davvero di redistribuzione dai ricchi ai poveri?

Prima di procedere, qualche precisazione. I motivi del nostro dubbio sono prevalentemente due. Il primo riguarda i reali beneficiari delle risorse recuperate: non è detto che siano esclusivamente i poveri; il secondo motivo è che tra i poveri potremmo trovare anche degli evasori. Possiamo assumere, per superare il primo dubbio, che tutte le risorse recuperate siano destinate a misure di contrasto alla povertà. Quello che risulta più difficile dimostrare è che evasori totali non risultino, alla prova dei mezzi, anche “poveri”.

Per concepire il condono come redistribuzione dai ricchi ai poveri è necessario presumere, come abbiamo appena specificato, che ad evadere in Italia sono solo le persone ricche. Proviamo a verificare questa presunzione concentrandoci su due “indizi”: la platea a cui il condono si rivolge; l’ammontare e la tipologia delle imposte evase. Questi due “indizi” potranno aiutarci a fare chiarezza.

Quanto al primo indizio, il Dl 119/18, nella versione iniziale, prevedeva quattro tipologie di misure: i) la possibilità di pagare i propri debiti al netto di sanzioni e interessi di mora; ii) la possibilità di definire in modo agevolato le controversie fiscali con l’agenzia delle entrate; iii) stralciare in modo definitivo entro la fine dell’anno tutte le cartelle di importi inferiori ai mille euro; iv) sanare i redditi non dichiarati (per un importo massimo di 100 mila euro) applicando un’aliquota del 20%; su quest’ultimo punto c’è stato poi il dietrofront in extremis del Governo.

Considerate le tipologie e le soglie individuate per chiudere la propria posizione con il fisco più che a ricchi e super ricchi, come era stata ad esempio la flat tax per gli High net worth individual prevista con la legge di Bilancio del 2017, la platea a cui si rivolge il condono è formata da coloro, non necessariamente ricchi, che per anni hanno evaso e non hanno pagato quanto dovuto.

Per valutare il secondo “indizio” utilizzeremo una preziosa fonte di informazioni: il “Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva” per l’anno 2018, allegato alla nota di aggiornamento al documento di economia e finanza.

Il Rapporto 2018 considera un insieme di tributi più ampio rispetto alle edizioni precedenti; infatti, cresce dal 76% all’87,5% la quota di imposte per le quali è stato valutato il tax gap. Quest’ultimo è calcolato come la differenza tra le imposte effettivamente versate e le imposte che i contribuenti avrebbero dovuto versare in caso di perfetto adempimento degli obblighi fiscali e perciò rappresenta una proxy dell’evasione fiscale.

Il tax gap è stato calcolato, innanzitutto, sull’IRPEF (limitatamente a lavoratori autonomi, imprese e lavoratori dipendenti irregolari; i lavoratori dipendenti sono esclusi poiché hanno ridottissime capacità di evasione). Tra le altre principali imposte considerate figurano l’Ires, l’Iva, l’Irap, le accise sui prodotti energetici, l’IMU e, infine, i contributi previdenziali.

Dal rapporto emerge che mediamente per il triennio 2013-2015 il gap complessivo è stato di circa 108,9 miliardi di euro, di cui 97,8 miliardi derivanti dalla componente tributaria e 11,1 da quella contributiva. A partire dal 2014 si osserva una diminuzione delle mancate entrate tributarie (-5,5 miliardi di euro), che passano da circa 95,5 miliardi nel 2014 a circa 90 miliardi nel 2016; più dei tre quarti delle mancate entrate sono riconducibili all’Iva e all’Irpef (da lavoro autonomo e impresa). Non sorprende che siano proprio questi ultimi due tributi ad essere interessati maggiormente dal fenomeno evasivo.

Com’è noto ormai da anni, a partire dal Libro rosso pubblicato alla fine degli anni ’70 dall’allora ministro delle Finanze Franco Reviglio, in Italia l’evasione è determinata anche da un sistema produttivo caratterizzato da piccole imprese e lavoratori autonomi che, a differenza dei lavoratori dipendenti, hanno più possibilità di evadere. Dunque, del condono potranno beneficiare coloro che hanno questa possibilità o, meglio, un sottoinsieme di “furbetti”, se così vogliamo chiamarli. E non abbiamo elementi per affermare che tutti costoro siano ricchi.

La conclusione a cui si giunge, seguendo la nostra analisi, è che le norme del decreto fiscale, seppur modificate, non rivolgendosi specificatamente ai ricchi potranno recuperare risorse da chi può evadere (e ne approfitta) e trasferirle (eventualmente, ma non necessariamente) ai poveri, che sono coloro che non possono evadere o che non hanno redditi tassabili.

Osservatori attenti potrebbero sempre far notare che senza queste misure alcune di quelle somme non sarebbero mai state recuperate quindi, ricchi o non ricchi, ha ragione il Ministro Savona. Anche questa affermazione è facilmente confutabile.

Un’azione continua e credibile di contrasto all’evasione riduce da un lato il fenomeno, come si evince dal Rapporto 2018, dall’altro non danneggia le determinanti della tax compliance (adesione agli obblighi fiscali) come dimostrato da Raitano e Fantozzi. Che evidenziano come differenti atteggiamenti dei politici verso l’evasione e l’elusione fiscale contribuiscano a determinare i comportamenti dei contribuenti, ed in particolare che questi cambiano con la coalizione al governo.

Infine, un piccolo esempio, per chiarire come il condono, in generale, anche se drena risorse dai ricchi e le destina ai poveri non può portare a esiti comparabili, sul piano dell’equità, con quelli che si sarebbero avuti in assenza di condono e di redistribuzione. Ipotizziamo che nel nostro Stato ci siano due soli contribuenti: Bruto evasore totale e il povero Onesto che invece paga il dovuto. Bruto guadagna 100 denari e ha un’aliquota del 30% mentre Onesto guadagna la metà di Bruto con un’aliquota del 10%. Per quantificare gli effetti distributivi e misurare la disuguaglianza ci serviremo dell’Indice del Gini.

Nella situazione iniziale, prima delle imposte la disuguaglianza è del 16,7%. Dopo la tassazione la situazione sarà peggiorata di circa 2,5 punti percentuali (il Gini è pari al 19%) poiché Bruto evadendo totalmente continuerà a disporre di 100 denari mentre il reddito del povero Onesto sarà di soli 45. Il governo sensibile alle diseguaglianze vuole ridurle; per reperire le risorse necessarie per garantire un reddito aggiuntivo (10 denari) al Povero Onesto, propone a Bruto un condono in cui per sanare il suo debito (30 denari) deve pagare solo un’aliquota del 10% sul suo reddito complessivo. Bruto, dopo facili calcoli nota che aderendo risparmierà ben 20 denari; si convince e versa il dovuto. A questo punto il reddito di Bruto sarà di 90 mentre quello del Povero Onesto salirà a 55. Anche il nostro indice del Gini migliorerebbe (12.1%) ma la situazione iniziale è eticamente inaccettabile. A questo punto , vale la pena ricordare che in uno scenario senza evasione, oltre ad una minore diseguaglianza, sarebbero rimasti a disposizione del Governo ancora 25 denari che avrebbe potuto utilizzare o per ridurre il carico fiscale o per finanziare servizi per la collettività, di cui avrebbero beneficiato sia Bruto sia Onesto.

In conclusione, i condoni non sono una redistribuzione dai ricchi ai poveri e non portano nessun beneficio alla collettività. Portano, piuttosto, benefici ai Bruti furbetti e per questo invece di turarsi il naso e farli è meglio aprire gli occhi e non farli. Il parziale dietro-font in extremis del Governo consente di turarsi un po’ meno il naso ma se gli occhi fossero stati ben aperti il naso avrebbe liberamente inspirato aria pura.

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