Tutti nella stessa tempesta, ma non nella stessa barca. Le attività delle famiglie durante il lockdown in Italia

Annalisa Cicerchia commenta i risultati di un’indagine condotta dall’Istat presso le famiglie italiane per conoscere come hanno trascorso le loro giornate durante la Fase 1 dell’emergenza COVID-19. Dopo aver illustrato l’incidenza delle diverse attività, distinguendo le persone in base al genere e all’età, Cicerchia sottolinea le differenze con la precedente normalità, nonché l’accresciuta intensità delle pratiche culturali e creative e ne richiama le implicazioni per l’analisi dei divari sociali e digitali.

L’obbligo di restare a casa ha stravolto la quotidianità dei cittadini e li ha costretti a produrre nuove soluzioni per organizzare le loro giornate e passare il tempo. L’effetto più evidente è stato il ripiegare sulle attività possibili all’interno delle mura domestiche. La casa è diventata scuola, ufficio, laboratorio, palestra, piazza. Una rilevazione dell’Istat che si è svolta nel pieno della Fase 1 ha cercato di ricostruire come i cittadini hanno utilizzato il loro tempo in un giorno medio della

stessa Fase. I dati restituiscono l’immagine di una giornata con significative differenze rispetto alla normalità alla quale eravamo abituati. Sullo sfondo, i divari che si sono allargati e le disuguaglianze che sono aumentate.

Tra il 5 e il 21 aprile 2020, l’Istat ha condotto una rilevazione, “Diario della giornata e attività ai tempi del coronavirus”, presso un campione di individui con più di 17 anni, stratificato per area geografica (“Zona rossa” – Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Marche; resto del Nord più Centro; Mezzogiorno); e dimensione del comune di residenza. La tecnica di rilevazione scelta è la CATI, cioè l’intervista telefonica. A tale scopo si è scelta come lista di selezione l’insieme degli individui rispondenti al Master Sample del Censimento Permanente del 2018, escludendo gli individui per la cui famiglia non era presente nessun recapito telefonico.

Uno degli effetti più graditi del restare bloccati a casa è stato potersi svegliare più tardi e dormire di più, ma non per tutti: ha goduto di questo piacevole cambiamento il 23 % dei maschi e il 18 % delle femmine. In compenso, il 24 % delle donne ha potuto dedicare più tempo alla cura della persona (lavarsi, pettinarsi, truccarsi, ecc.), mentre solo il 16 % degli uomini si è concesso una routine più rilassata.

In una giornata statisticamente ricostruita della Fase 1 dell’emergenza Covid-19 hanno lavorato circa 8 milioni e 400 mila persone: meno di due su dieci. È la metà della percentuale rilevata nel corso di indagini analoghe, che indicano circa un 34% di persone impegnate in attività lavorative nel corso della giornata. Il 44% di chi ha lavorato lo ha fatto da casa, usando la connessione a Internet come strumento di lavoro nella quasi totalità dei casi (95,8%). Il tempo di lavoro è rimasto invariato rispetto a una giornata simile del periodo precedente la pandemia per il 60,2%

del totale di chi ha lavorato, è diminuito per il 26% ed è cresciuto per il 13,7%. Queste valutazioni sono espresse in valori medi per maschi e femmine. A causa probabilmente delle loro numerose incombenze domestiche, e della maggiore difficoltà a tenere distinti i confini fra vita e attività professionali (ormai nota come difficoltà a disconnettersi) nell’unico ambiente rappresentato dalla casa, il tempo di lavoro è diminuito per il 30% circa delle donne.

La preparazione dei pasti è rimasta saldamente asimmetrica: ha coinvolto infatti l’82,9% delle donne e il 42,9% degli uomini. Non è andata diversamente nemmeno per le pulizie domestiche, per le quali fra femmine e maschi confinati in casa si registra una differenza di 27 punti percentuali. Sempre meglio, ci informano i ricercatori dell’Istat, dello scarto di 46 punti che di solito si rileva nelle indagini sull’uso del tempo.

L’85,9% della popolazione con figli tra 0 e 14 anni si è dedicato alla loro cura, che è stata indicata come l’attività cui è stato dedicato più tempo rispetto alla situazione pre-Covid: 67,2% di chi l’ha svolta.

Il tempo libero è stato occupato in primo luogo dalla televisione, indicata dal 96% degli intervistati – purtroppo senza specificazione del tipo di piattaforma, se generalista, satellitare, web, ecc. – poi dalle ritrovate relazioni sociali e familiari a distanza, per il 63%. Al terzo posto tra le attività di tempo libero, una sorpresa: la lettura, cui si è dedicato il 62,6% della popolazione. La composizione dei lettori favorisce gli uomini (64,5%) che le donne (60,8%). Gli uomini mostrano una maggiore intensità di lettura online/digitale (45% contro 34,8% di donne).

In una giornata tipo della fase 1, la lettura di libri ha interessato il 26,9% della popolazione – una quota che risente del fatto che il campione non comprende i minori di 18 anni – con una proporzione di donne superiore (30,8%) a quella degli uomini (22,7%). La lettura su digitale si ferma al 7%.

La permanenza forzata in casa ha incentivato molte attività di bricolage: dalla manutenzione della casa (41%), al giardinaggio o alla cura dell’orto (circa una persona su tre), dalla preparazione di pane, pizza o dolci (53% del totale, 70% delle donne), ai giochi di società (45%). Il 17% ha cucito, ricamato o fatto la maglia e il 13% si è dedicato al restauro di mobili o oggetti per la casa

Nel periodo di lockdown la popolazione è stata spesso impegnata anche in attività di svago creativo legate alla musica (cantare, suonare, ascoltare musica), alle arti figurative (disegno, pittura scultura), alla scrittura e alla creazione di oggetti artigianali. Queste attività hanno impegnato il 42,2% della popolazione di 18 anni e più. Il canto ha coinvolto la maggior quota di persone (il 24,6%), soprattutto donne (27,9% contro 21,1%).

Se si considera la frequenza almeno settimanale di queste attività di tipo ricreativo si osserva, rispetto al 2015, un notevole incremento. Per il canto, ad esempio, la quota di chi dichiarava di avere cantato con una frequenza almeno settimanale era pari al 2,6% mentre nel corso della Fase 1 dell’emergenza Covid-19 ha raggiunto il 15,9%.

Insomma, un Paese dove la gente bloccata in casa sforna pizze e torte, canta nelle stanze e dai balconi, si dedica a quelle piccole riparazioni che rinviava da tanto tempo, dorme un po’ di più e si cura un po’ di più, intrattenuta fedelmente dalla televisione.

Un Paese che si lascia cullare dalla retorica dello stare tutti – bonariamente, all’italiana – nella stessa barca, mentre no, non si stava affatto nella stessa barca. La tempesta sanitaria ha contribuito ad aggravare spaventosamente i profili di fragilità che già esistevano, a partire dai lavori precari e sommersi spazzati via, dalle abitazioni sovraffollate e inadeguate, dalla povertà educativa.

Alcuni dati in particolare fanno l’effetto di una doccia gelata. Ha trovato modo di dedicarsi allo studio l’8% della popolazione di 18 anni e il 62% degli gli studenti, quelli tra i quali sarebbe stato lecito aspettarsi, in aprile, una percentuale prossima al 100%. Hanno studiato il 36,2% dei 18-24enni (circa 1milione e 500mila persone) e l’11,2% dei 25-34enni, a fronte di meno del 5% del resto della popolazione adulta e anziana.

Perché non hanno studiato? Un rapporto dell’Istat diffuso il 6 aprile 2020 documenta che nel periodo 2018-2019, il 33,8% delle famiglie non aveva computer o tablet in casa; ma tra le famiglie con almeno un minore la situazione è migliore, infatti quella quota si fermava al 14,3%. Solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente aveva a disposizione un pc o tablet. Nel Mezzogiorno, il 41,6% delle famiglie era senza computer in casa (nelle altre aree del Paese la media è di circa il 30%).

Digital divide e social divide sono due facce della stessa medaglia, e il trasferimento forzoso della didattica sul web ha lasciato indietro un grande numero di ragazzi e di giovani. Il 12% dei ragazzi tra 6 e 17 anni non ha infatti un computer o un tablet a casa, e se si considera il solo Mezzogiorno, la quota raggiunge quasi un quinto (470 mila ragazzi). Nel 2019, tra gli adolescenti di 14-17 anni che hanno usato internet negli ultimi 3 mesi, due su 3 hanno competenze digitali basse o di base mentre meno di tre su 10 (pari a circa 700 mila ragazzi) si attestano su livelli alti.

Il lungo blackout della scuola pone una ipoteca pesante su di una popolazione che certo non brillava prima della crisi in nessuna fascia di età per conoscenze e competenze.

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