Tutela della salute, vincoli europei di bilancio e ruolo della Corte costituzionale

Fabrizia Covino, nell’ultimo degli articoli che pubblichiamo, esamina l’influenza che le politiche di contenimento della spesa pubblica, rafforzate dall’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, hanno avuto sull’orientamento della Corte Costituzionale in materia di sanità. Esaminando anche alcune sentenze relative a leggi regionali, Covino documenta come questo orientamento si sia fatto più stringente e sostiene che la primazia della stabilità della finanza pubblica introduce nella Carta un vero e proprio modello economico che innova l’impianto costituzionale e rischia di ridimensionare la tutela del diritto alla salute.

Il d.d.l. di stabilità per il 2015 è attualmente all’esame della commissione Bilancio della Camera. Il provvedimento, in continuità con le ultime leggi di stabilità, è orientato al “contenimento della spesa pubblica”, al “miglioramento dell’indebitamento netto” e alla “riduzione dei trasferimenti”. Sono parole chiave che ispirano l’indirizzo politico del Governo nello svolgimento delle politiche pubbliche e vanno a incidere anche su settori sensibili, come la sanità, erodendo il livello delle prestazioni e conseguentemente la tutela del diritto stesso. Le misure previste in materia di sanità richiamano l’accordo programmatico e finanziario noto come “Patto per la salute” concluso tra Governo e Regioni nel luglio di quest’anno. Sono orientate sia al contenimento della spesa, prorogando i vigenti parametri di riduzione della stessa, sia al contrasto dei disavanzi sanitari, attraverso la definizione del livello di finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale per il prossimo biennio.

Il rischio immediato di simile intervento è il ridimensionamento della tutela del diritto alla salute – diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività secondo l’art. 32 della Costituzione – ove il contenimento della spesa anziché tagliare gli sprechi e le inefficienze, che pure sono manifesti, riduca la garanzia per i cittadini di ottenere un livello adeguato di cure (cfr. Belletti et al. 2014).

Non si può sottacere il legame esistente tra il d.d.l. in esame e i rinnovati vincoli europei di governo dei conti pubblici che trovano la loro consacrazione e il loro baluardo nella l. cost. n. 1/2012 che introduce nella Carta costituzionale i nuovi principi valevoli per lo Stato e tutte le pubbliche amministrazioni: l’equilibrio di bilancio (c.d. “pareggio”) e la sostenibilità del debito pubblico, attraverso il coordinamento della finanza pubblica delle autonomie territoriali. Si tratta di principi osteggiati da chi considera l’introduzione del pareggio di bilancio nelle Costituzioni degli Stati membri dell’Ue come un’operazione tecnocratica volta ad immunizzare il sistema economico europeo (tra gli altri, Guarino 2011; Habermas, 1999 e 2014).

Allargando la visuale dell’analisi ci si rende conto di come i nuovi principi scritti nella Costituzione non condizionano solo l’operato del legislatore ma inaugurano una nuova tendenza interpretativa anche da parte della Corte costituzionale. Questa ha sempre tentato di trovare un equilibrio tra le spese per le prestazioni sociali e il rigore dei conti pubblici, tuttavia la “giurisprudenza della crisi” dà un’interpretazione molto più stringente dei principi contenuti nell’art. 81 Cost. (Ruggeri, 2012).

L’azione del giudice costituzionale nel definire il punto di equilibrio tra tutela del diritto fondamentale alla salute ed equilibrio dei bilanci pubblici si muove su un crinale incerto dovendo, da un canto, preservare l’effettività del diritto alla salute stesso, nel rispetto dell’autonomia regionale costituzionalmente garantita in materia sanitaria e, dall’altro, riportare la spesa per le politiche della salute ad un livello sostenibile, riducendo le inefficienze e gli sprechi (cfr. Corte dei conti, Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica, in www.corteconti.it).

L’orientamento della Corte costituzionale in materia di sanità, come si diceva, si fa più stringente in concomitanza con l’entrata in vigore della legge che introduce l’equilibrio di bilancio in Costituzione. Nonostante la legge costituzionale trovi applicazione dal primo gennaio 2014, il giudice delle leggi anticipa alcuni tratti della riforma già dal 2012. La Corte afferma, infatti, che l’equilibrio tendenziale dei bilanci pubblici non si realizza soltanto con il meccanismo autorizzatorio della spesa, ma anche attraverso la parificazione delle previsioni di entrata e spesa, vale a dire della preventiva quantificazione e copertura degli oneri che derivano da nuove disposizioni legislative (sent. 70/2012, cfr. Rivosecchi, 2012). L’obbligo di copertura, sancito all’art. 81, 4 comma ed esplicitato ulteriormente dalla nuova formulazione dell’art. 81, 3 comma Cost., viene esteso direttamente anche alle leggi regionali (soprattutto in materia di tutela della salute), divenendo un principio immanente dell’ordinamento (sent. 115/2012).

La tutela del diritto alla salute nel rispetto dell’equilibrio finanziario viene declinato dal giudice delle leggi facendo emergere una serie di principi. La Corte evidenzia in primo luogo che “l’equilibrio della finanza pubblica” e “il contenimento della spesa” sono principi di coordinamento della finanza pubblica: da essi pertanto discendono dei limiti all’autonomia legislativa regionale in materia sanitaria (sentt. nn. 91/2012; 79/2013; 110/2014). In questo senso, il “contenimento della spesa sanitaria” e il “ripiano del debito” rappresentano un vincolo costituzionale rigido che prevale nel bilanciamento con il diritto alla tutela della salute attraverso l’erogazione di prestazioni. In questo filone giurisprudenziale rientrano quelle pronunce in cui la Corte evidenzia l’impossibilità da parte regionale di prevedere interventi migliorativi delle prestazioni sanitarie erogate ai cittadini in misura superiore rispetto ai livelli essenziali di assistenza stabiliti dallo Stato (sentt. nn. 32/2012; 104/2013). Soprattutto nei casi di quelle Regioni sottoposte al piano di rientro dal disavanzo sanitario, la Corte si mostra molto incisiva, precludendo loro l’adozione di provvedimenti che ostacolino la piena attuazione del piano stesso (sentt. nn. 131/2012; 85/2014).

L’orientamento molto restrittivo del giudice costituzionale fa riflettere in quanto riduce la capacità decisionale, per non dire politica, delle Regioni incidendo sull’esercizio della loro funzione legislativa e finanziaria in una materia “sensibile”, quale la tutela della salute, che concretizza il “contratto sociale” tra i cittadini e i pubblici poteri.

Il crinale su cui opera il giudice costituzionale, inoltre, è reso scivoloso dalla circostanza che talvolta gli interventi regionali in materia sanitaria sono manifestamente illegittimi e privi di buon senso. In alcuni casi, infatti, la Corte non contrasta le misure previste in astratto dalle Regioni ma interviene sulla dotazione di risorse stabilita nelle leggi regionali in quanto molto impegnativa e talvolta inefficiente Si pensi ad esempio alla previsione del Registro dei tumori in Campania, attraverso una legge regionale che istituisce nuove strutture e unità operative senza precisare le procedure per provvedere alle nomine, né se il personale coinvolto sia già dipendente del Servizio sanitario regionale, violando, così, i principi di buon andamento e imparzialità della p.a. La Corte fa presente, inoltre, l’esistenza di una copertura finanziaria già vigente per il funzionamento degli uffici e la possibilità di adottare simile iniziativa senza costi aggiuntivi (sent. 79/2013). Nello stesso senso va la legge regionale pugliese che destina a finalità diverse da quelle sanitarie le anticipazioni di liquidità autorizzate dallo Stato per la copertura di debiti sanitari pregressi, distogliendo le risorse dagli obiettivi verso cui erano indirizzate (sent. n. 85/2014).

Le riflessioni che precedono riguardanti l’applicazione delle regole dell’equilibrio di bilancio e i loro effetti in materia sanitaria da parte del legislatore e della Corte costituzionale mostrano le involuzioni della forma di Stato sociale, per effetto di fattori endogeni ed esogeni all’ordinamento costituzionale. La presenza di un obbligo costituzionale stringente qual è quello del “pareggio di bilancio”, infatti, rappresenta un vincolo al governo dei conti pubblici secondo la prospettiva europea che impone al legislatore politiche restrittive e richiede al giudice delle leggi la censura di ogni intervento contrario a questo principio, anche se migliorativo per i cittadini. La primazia della stabilità della finanza pubblica introduce nella Carta un vero e proprio modello economico innovando profondamente l’impianto costituzionale. Per espressa scelta dei Costituenti, infatti, il paradigma economico era stato tenuto fuori dalla Costituzione, secondo un impianto che poneva insieme i diritti, i poteri e le scelte economiche in una visione unitaria e dialettica (secondo gli insegnamenti di Fraenkel) tesa a salvaguardare il valore supremo della dignità della persona e dell’eguaglianza sostanziale tra i cittadini (Luciani, 2013). La struttura costituzionale originaria, traduce la forma di Stato sociale scritta nella Costituzione e appare profondamente diversa – a tratti inconciliabile – con il modello europeo che è più rigido e orientato alla salvaguardia di un paradigma economico sancito, questa volta si, nei Trattati (Maestro Buelga, 2010; Giubboni, 2012). Nella prospettiva dell’Ue i diritti sociali, tra cui il diritto alla salute, rischiano di essere letti non più come fondamentali diritti di prestazione in chiave redistributiva ma come un valore economico di mercato da trattare alla luce del rispetto della concorrenza e del divieto di aiuti di Stato e l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nelle Costituzioni è un baluardo di questo modello (F. Bilancia, 2014).

Ci si chiede quale possa essere la via di uscita per assicurare al contempo il rispetto dei principi costituzionali della finanza sana e del rigore nella tutela del diritto sociale alla salute, nel contesto del processo di integrazione europea. La sola prospettiva possibile è quella di considerare l’attuale momento storico come una fase di passaggio cruciale in cui ripensare le ragioni della convivenza all’interno dell’Ue, contrapponendo al tecnicismo governativo dell’Unione i principi delle tradizioni costituzionali tra i quali deve emergere la tutela dei diritti sociali fondamentali e la riduzione delle diseguaglianze, per recuperare un’identità europea basata su valori veramente condivisi (come segnalato anche da Rodano sul Menabò di Etica e Economia).

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