Tecnologie digitali, potere economico e democrazia

Maurizio Franzini riflette sui rapporti tra tecnologie digitali, potere economico e democrazia. Riferendosi in particolare alle piattaforme, Franzini si sofferma su due fenomeni che contribuiscono a rafforzare il potere economico e a indebolire la democrazia. I due fenomeni, che possono tra loro alimentarsi, sono, da un lato, gli enormi arricchimenti che le piattaforme consentono e, dall’altro, la possibilità di influenzare e manipolare le preferenze degli individui. Franzini conclude ricollegando questi due fenomeni alla gratuità dei dati.

Questo testo si basa sull’intervento tenuto alla Camera dei Deputati il 18 gennaio 2019 nel seminario “Democrazia digitale” in ricordo di Stefano Gorelli.

Per preparare questo mio breve intervento ho dovuto fare ricorso a un piccolo trucco con me stesso. Non riuscivo a preparare un discorso in memoria di Stefano Gorelli, non riuscivo a parlare per lui invece che con lui. E allora ho immaginato che, come è successo altre volte per altri temi, Stefano mi avesse chiesto di pensare se valesse la pena di organizzare un convegno sul tema delle tecnologie digitali, del potere economico e della democrazia. Ecco quello che avrei potuto dirgli.

Quando si parla delle tecnologie digitali le questioni di rilevanza economica e sociale che vengono alla mente sono molte. Più frequentemente ci si concentra sul probabile impatto che esse avranno sul lavoro, e specialmente sul rischio della fine del lavoro umano. Si tratta, ovviamente, di un tema rilevante. Però io partirei dalle conseguenze che le disuguaglianze, anche alterando le forme e la forza del potere economico, possono avere sul funzionamento della democrazia.

Gli effetti delle tecnologie digitali a cui penso sono essenzialmente due e tra di esse, come cercherò di dire, può instaurarsi un circolo vizioso assai maligno per la democrazia.

Il primo effetto è quello sulle disuguaglianze economiche. In genere quando si parla di disuguaglianze economiche in relazione alle nuove tecnologie si pensa alle disuguaglianze tra lavoratori, tra coloro che sanno dominare quelle tecnologie e coloro che, invece, ne vengono dominati e sono a rischio elevato di essere espulsi dal processo produttivo. Io farei riferimento, invece, alle disuguaglianze determinate dagli straordinari e rapidissimi arricchimenti dei “proprietari” di quelle tecnologie, ed in particolare di coloro che gestiscono piattaforme che raggiungono un numero sterminato di utilizzatori. Un aspetto spesso sottovalutato delle piattaforme è che esse consentono, con il concorso del perverso funzionamento di altre istituzioni e in particolare dei mercati di Borsa, l’accumulazione di stratosferiche ricchezze in tempi brevissimi. Per citare un solo esempio: Jeff Bezos, con Amazon, ha accumulato in pochi anni una ricchezza superiore ai 130 miliardi di dollari.

Ciò accade grazie alla facilità con cui si possono conquistare quote rilevanti nei mercati in cui si opera, finendo per agire da da veri monopolisti. E tale facilità deriva dalle caratteristiche di quelle tecnologie, in particolare dai cosiddetti effetti network per i quali ogni nuovo ‘connesso’ può in realtà connettersi con tutti coloro che sono già presenti nel network e la conseguenza è che conviene connettersi a network già esistenti piuttosto che a un nuovo network gestito da un ipotetico concorrente. Con il crescere degli utenti cresce anche la massa di dati ai quali si ha accesso e questo alimenta la concentrazione della ricchezza visto che i dati conferiscono reddito attraverso numerosi canali, in primo luogo, ma non soltanto, quello della pubblicità “profilata”, venduta a condizioni estremamente convenienti.

Questo potere economico sui mercati si trasforma in potere nei processi politici attraverso molteplici canali, tutti sensibili alla forza della ricchezza e, appunto, del potere economico. La ‘unequal voice’ (come è stata chiamata da K. Lehman Schlozman et al., Unequal and Unrepresented, Princeton University Press, 2018) consente ai super ricchi di esercitare un’influenza sulle decisioni politiche che passa anzitutto, ma non soltanto, attraverso il canale elettorale. Il voto democratico risente delle risorse di cui dispongono i candidati. E questo è ben noto. Ma anche le decisioni politiche possono essere direttamente influenzate dalla più forte ‘voice’ di chi dispone di redditi e ricchezze spesso stratosferiche. Diversi studi condotti negli Stati Uniti (in particolare da L.Bartels e M. Gilens) documentano la forza di questa influenza. E, d’altro canto, indagini presso i membri del parlamento sull’efficacia della azioni di lobbying confermano che tali azioni possono avere effetti deboli o forti, ma di certo hanno effetti (A.C. Grayling , democracy and its Critics, Oneworld Press, 2017). Il budget destinato al lobbying dai giganti della rete è di dimensioni impressionanti e di certo non è senza effetti.

Al di là egli esiti elettorali, tutto questo espone la democrazia alla forza del potere economico che di certo non è stato ‘inventato’ dalle tecnologie digitali ma che esse contribuiscono a rafforzare.

Vengo ora al secondo aspetto rilevante per comprendere l’impatto delle Tecnologie digitali sulla democrazia. Si tratta del fatto che quelle tecnologie rendono estremamente più facile non soltanto persuadere ma anche manipolare. La manipolazione, come è stato sostenuto (J. S. Fishkin, Manipulation and Democratic Theory, 2011) consiste nell’indurre a tenere comportamenti e a compiere scelte che mai verrebbero compiute in presenza di un consapevole processo di formazione delle proprie decisioni.

Non si tratta di una novità assoluta. La pubblicità persuasiva e forse anche manipolativa, in ambito economico e non solo, esiste da tempo immemorabile. Ma oggi le possibilità di ‘condizionare’ il consumatore e – cosa che qui più interessa – l’elettore, sono enormemente maggiori. Ciò avviene per vari motivi. Tra di essi vi è la migliore conoscenza delle debolezze cognitive di individui supposti razionali che gli studi comportamentali hanno portato alla luce e che possono essere abilmente sfruttate per ottenere vantaggi privati. Ma ciò avviene anche perché con le nuove tecnologie la massa di dati che è possibile raccogliere e sfruttare (nella logica per certi aspetti perversa della profilazione) è enormemente maggiore e, soprattutto, perché il costo di fare tutto ciò è estremamente contenuto. Questo secondo aspetto mi pare spesso sottovalutato. Se i costi della manipolazione (che includono in primo luogo i costi, oggi nulli, dell’acquisizione dei dati) fossero elevati, la convenienza di queste pratiche manipolative potrebbe risultarne fortemente ridimensionata. E così il pericolo, paventato di recente da Harari (21 Lessons for the 21st Century, Vintage2018), che stiamo per avviarci verso un’epoca in cui sarà pratica diffusa ‘hackerare’ non i computer ma gli stessi esseri umani.

Il consumatore ‘persuadibile’ e ‘manipolabile’ mina alle radici l’analisi tradizionale del funzionamento dei mercati e affonda senza possibilità di riscatto idee che hanno condizionato le politiche, l’ideologia e la storia: la sovranità del consumatore nei mercati, la mano invisibile per cui senza che nessuno lo voglia nei mercati si realizzano le situazioni migliori per tutti, e così via. E ciò avviene, aspetto non secondario, nel rispetto della condizione considerata essenziale per parlare di libertà tout court, l’apparente libertà di scelta. Ma la libertà di scelta del consumatore manipolato meriterebbe un altro nome. E così la democrazia elettorale quando l’elettore è manipolato.

Anche in questo caso non siamo di fronte a un fenomeno nuovo. Platone parlava del rischio che il demos restasse vittima di emozioni che portavano le masse alla follia e che avrebbero potuto essere suscitate da abili demagoghi.

E la morte misteriosa di E. A. Poe ci ricorda che nell’800 era in voga il cooping, cioè la pratica di annichilire con alcool e droghe un elettore, spingendolo poi, ormai asservito, nella cabina elettorale, talvolta riuscendo anche – in un epoca di controlli poco efficaci – a fargli esprimere più di un voto. Si sospetta che Poe sia rimasto vittima di un tentativo di questo tipo e che così possa spiegarsi la sua morte misteriosa.

La capacità persuasiva e manipolativa delle tecnologie digitali alimentate dai big data è lontana anni luce, in tema di raffinatezza, da quelle pratiche violente. Ad esse è, però, legata da un filo sottile ma visibile.

Come ho accennato tutto ciò è possibile anche (non soltanto) grazie al fatto che i dati non costano. E proprio questa gratuità concorre in modo decisivo a determinare entrambi i fenomeni di cui si è detto e che possono pricolosamente sommarsi e rafforzarsi.

I dati gratuiti favoriscono la concentrazione dei redditi e della ricchezza; d’altro canto essi rendono più conveniente la manipolazione dei consumatori e degli elettori. La democrazia soffre della ‘unequal voice’ per il primo effetto e della distorsione nelle preferenze per il secondo. I due effetti si sommano e, in qualche misura, si alimentano.

Se le cose stanno, almeno in parte, così non sarà la sostituzione della democrazia rappresentativa con quella diretta a risolvere il problema. Semmai, la democrazia deliberativa – che favorisce la formazione riflessiva e informata delle preferenze – ha qualche chance in più. Uno degli argomenti contrari a questa forma di democrazia è che essa costa. Ma è un errore pensare che altre soluzioni non abbiano costi. Quelli della democrazia diretta possono essere ben maggiori, se quanto precede ha fondamento.

Soprattutto, appare indispensabile intervenire sulla causa principale di tutto ciò. E cioè la gratuità dei dati. Il problema con i dati non sta (o non sta soltanto) nella violazione della privacy, che attrae tanta attenzione. Questo ‘costo’ privato è certamente rilevante. Ma l’accesso gratuito ai dati può causare, e sta causando, costi immensi all’economia e alla democrazia. E forse si può giungere a pensare che l’accesso gratuito alla rete – la chiave per acquisire dati e magnificare gli effetti network – rischi di essere quello che la costruzione dei moai, le enormi statue votive, fu per l’isola di Pasqua. Per trasportare quelle statue, gli abitanti dell’isola avevano necessità di scivoli e per costruirli distrussero le loro foreste. E così fu segnato il destino dell’isola. Un esempio emblematico di collasso inconsapevole di una civiltà, come ha ben spiegato Jared Diamond. Oggi per accedere gratuitamente alla rete si rischia di favorire inconsapevolmente un potere economico enorme che può avere sulla democrazia un effetto non diverso da quello che la deforestazione ebbe sulla civiltà di Rapa Nui, come si chiamava l’isola di Pasqua. Se gli alberi avessero avuto un costo forse questo non sarebbe accaduto. E oggi, se i dati avessero un costo, la democrazia potrebbe sentirsi meno minacciata.

Ecco, ho finito. Mi pare che siano tante le cose importanti su cui riflettere, caro Stefano. Non sarà facile perdonarti per averci lasciati da soli a farlo.

Schede e storico autori