Tecnologie digitali e controllo sociale ai tempi del Covid-19

Marco Marucci in vista dell’avvio della Fase 2 di contrasto al Covid19 dà conto delle esperienze della Cina e della Corea del Sud nell’utilizzo delle tecnologie per il tracciamento e la mappatura dei contagiati. Marcucci osserva che tali tecnologie sembrano essere necessarie per la lotta al Covid-19, ma riflette anche sulle implicazioni del loro utilizzo, in particolare per quello che riguarda la diffusione dei dati e il rischio di controllo sociale.

Cina e Corea del Sud stanno rappresentando un esempio di come contrastare efficacemente l’emergenza del Covid-19: Mentre la Cina ha messo in isolamento sia i contagiati sia i probabili contagiati, limitando drasticamente i movimenti di persone dentro e fuori il Paese, la Corea del Sud ha raggiunto buoni risultati anche senza misure così draconiane.

L’uso di tecnologie digitali ha permesso in questi Paesi l’individuazione e la schedatura di tutti i probabili infetti, per aumentare il controllo laddove ce n’è maggiore bisogno. In Cina attraverso “Alipay Health Code”, sviluppato per il Governo cinese e attivo sulle piattaforme Alipay e WeChat, ampliamente utilizzate nel Paese (Alipay ha 900 milioni di utenti in tutta la Cina): l’app attribuisce agli utenti un colore in base allo stato di salute e alla cronologia dei viaggi effettuati. Ad esso è anche collegato un codice QR che può essere scansionato dalle autorità. Generalmente, le persone che hanno il codice verde possono viaggiare in modo relativamente libero; il codice giallo indica che il titolare deve essere in isolamento domestico e il codice rosso indica che l’utente è un paziente Covid-19 confermato e deve essere in isolamento forzato. (Halen Davidson, The Guardian). Ant Financial, società di cui Alibaba è proprietaria e che ha creato l’app, ha rifiutato di rispondere alle domande sul funzionamento del sistema, affermando che i dipartimenti governativi hanno fissato le regole e controllano i dati (Alibaba, preme ricordarlo, è una società quotata le cui azioni appartengono a grandi investitori internazionali). Certo può capitare che persone non infette ricevano un codice rosso solo perché residenti in aree ad alto rischio. E può capitare che nessuno sappia quanto questo codice rosso rimanga attribuito, impedendo qualsiasi tipo di spostamento, o che nessuno sappia di preciso come poter cambiare questo codice. Le app Wechat e Weibo hanno anche delle linee apposite con cui segnalare persone sospettate di essere infette ed in alcune città queste segnalazioni vengono anche remunerate. Alcuni utenti segnalano come anche con un codice giallo sia impossibile recarsi nei negozi a comprare beni di prima necessità (Lily Kuo, The Guardian). Ristoranti, negozi, hotel e altre strutture chiedono agli utenti di mostrare i loro codici prima di entrare. A Wuhan, solo le persone con un codice sanitario verde sono autorizzate a prendere i mezzi pubblici.

Il sistema Alypay Health Code inoltre condivide le informazioni con la polizia, stabilendo “un modello per nuove forme di controllo sociale automatizzato che potrebbero persistere molto tempo dopo la fine dell’epidemia” (Maya Wang – Human Rights Watch – in Paul Mozure et al., New York Times).
Lo stesso sistema utilizzato per contenere il coronavirus tiene sotto controllo anche alcune minoranze etniche e religiose in Cina. In particolare, i musulmani uiguri sono stati tenuti a presentare ampie informazioni biometriche allo Stato, tra cui impronte digitali, registrazioni vocali, scansioni del viso, DNA e gruppo sanguigno. Altri sono stati arrestati in tutta la Cina nord-occidentale come misura di sicurezza, spesso sulla base del fatto che hanno infranto la legge utilizzando i social media sui loro telefoni cellulari (Jhon Paffey, Georgetown University).

Anche la Corea del Sud si è distinta per l’uso massivo di big data: Dopo aver somministrato centinaia di migliaia di tamponi ai cittadini (anche 15.000 al giorno), chi è risultato positivo al test è stato “spiato” dalle autorità sanitarie coreane attraverso i dati medici resi pubblici dal Korea Centers for Disease Control, il GPS dello smartphone, le carte di credito, le telecamere di sorveglianza. Incrociando queste informazioni, è stato possibile rintracciare le persone che erano entrate in contatto con Covid-19 ed isolarle a seconda delle condizioni di salute e dell’esito del tampone. L’app più usata in Corea è quella diffusa da Google Play Store (a differenza della Cina l’universo Google qui non è proibito) e si chiama “Corona 100m” perché avvisa l’utente se si avvicina a 100mt da una zona in cui è stato presente una persona affetta da Covid-19. L’app è in grado di segnalare i luoghi in cui sono stati i soggetti a rischio e così chi ha frequentato quello stesso luogo può sottoporsi volontariamente al test. Molti ricercatori e privati ​​cittadini hanno utilizzato i dati governativi disponibili online per creare app e siti Web che tracciano la posizione dei pazienti con il coronavirus, come il CoronaMap.site. (Min Joo Kim, Jason Aldag / The Washington Post).

Un’immagine da uno dei siti sudcoreani realizzata da sviluppatori privati, utilizzando i dati del governo disponibili online, per tracciare dove si trovano i pazienti con coronavirus. (Courtesy of coronamap.site)

Solo per capire la facilità con cui è possibile reperire tali informazioni si pensi che uno studente sudcoreano di 15 anni (Choi Hyoung-bin) ha creato il sito Web Coronanow per offrire informazioni utili basate su dati ufficiali, come grafici sull’aumento dei casi di coronavirus e infezioni da regioni. Il suo amico Lee Chan Hyeong, 14 anni, lo sta aiutando ad aggiornare le informazioni.

Altro punto di forza comune tra Corea e Cina è la diffusione delle telecamere a circuito chiuso, in particolare nelle grandi città. In Corea nel 2014 se ne contavano più di 8 milioni, una ogni 6,3 abitanti. In media sarebbe possibile riprendere una persona anche 83 volte in un giorno. Tale prospettiva ci riporta ai pericoli derivanti dal promettente business del tracciamento, di cui ci ha già messo in guardia Shoshana Zuboff autrice di The Age for Surveillance Capitalism(S. Zuboff, 2019) e del potere delle Big Companies nel saper sfruttare questo tipo di dati e trasformarli in “mercati comportamentali a termine”.

In Italia ci si sta muovendo, con le dovute precauzioni, in questo campo. Cercando di imparare dalle lezioni provenienti dall’estero e di destreggiarsi all’interno della severa legislazione sull’uso dei dati personali. A ben vedere il GDPR – il regolamento della Ue sulla protezione dei dati personali – permette l’utilizzo dei dati quando “per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici” (GDPR, art. 9 co. 2).

Il Commissario straordinario per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha affidato l’appalto di servizio gratuito alla società Bending Spoon Spa attraverso apposita ordinanza. L’app si chiama “Immuni” ed è stata selezionata da una task force di 74 esperti tra le 319 risposte al bando del programma “Innova Italia”. Tra i criteri c’era la volontarietà della sua installazione da parte degli utenti tuttavia se “Immuni” non sarà abbastanza diffusa sul territorio rischia di essere un flop, come è successo a Singapore dove l’app di contact tracing è stata scaricata da solo il 18% della popolazione e attivata dalla metà di loro. Gli altri criteri per il suo utilizzo, indicati dalla Commissione Europea in una apposito documento diretto  a tutti gli Stati membri, si riassumono nella temporaneità dell’utilizzo, nel rispetto della normativa europea sulla privacy e nell’uso della tecnologia bluetooth per evitare l’invasività delle geolocalizzazioni, preferibile al GPS ma anche meno efficace.

L’app si compone di due parti: un registro sullo stato di salute della persona – diario clinico – ed un tracciamento dei contatti – contact tracing  – che consentirà al software di riconoscere e tenere memoria dei dispositivi con cui lo smartphone del paziente è entrato in contatto. Nessuno dei dati (salvati sui telefoni o su un server individuato dal Ministero per l’Innovazione) verrà raccolto o diffuso prima che il paziente, se affetto da covid-19, abbia deciso di dare il consenso al loro utilizzo. Ad utilizzare tali dati, che verranno comunque anonimizzati attraverso tecniche di cifratura (non comprenderanno quindi anagrafica o numero di telefono), saranno la Protezione civile e la comunità scientifica, prioritariamente quella sanitaria se consideriamo le recenti dichiarazioni di Paola Pisano, ministra per l’innovazione: “la ricerca scientifica è fondamentale per sconfiggere il coronavirus, ma deve essere veloce: per questo deve avere dati il più possibile precisi”. (Corriere, 18 marzo 2020).

Nell’attesa di questo applicativo si sono poi sviluppate iniziative locali come nel caso della Lombardia in cui è diffuso da tempo l’utilizzo dell’app “AllertaLOM” sviluppata dalla holding regionale Aria Spa. L’app propone di entrare nel progetto “Cercacovid” (attualmente ha coinvolto circa 675.000 utenti) attraverso un questionario su caratteristiche (età, condizione medica, ecc), abitudini durante l’isolamento (tragitto per andare in ufficio, smart working, ecc), eventuali sintomi (perdita di gusto e olfatto, ecc) ed ha le stesse finalità di un triage a distanza che permette di individuare il numero dei veri contagiati ed i quartieri in cui si sta diffondendo di più il virus. Anche il Lazio ha adottato una specifica app LAZIODRCOVID (Lazio Doctor Covid) che contiene tutte le informazioni sulle iniziative regionali legate all’emergenza ed un questionario di autovalutazione. I dati inseriti dagli utenti nella app vengono rielaborati dal sistema e sono messi a disposizione degli operatori sanitari. Da menzionare anche simili iniziative come quella del Gruppo 24 ORE che ha deciso di mettere gratuitamente a disposizione della Pubblica Amministrazione App24PA, già in uso da parte della nostra Protezione Civile Nazionale e della Croce Rossa Italiana, che consente agli enti locali di comunicare con i propri utenti inviando informazioni e notizie in tempo reale verso cittadini geo-referenziati sul territorio nazionale.

Come tempo fa l’accordo Watson-IBM (2016) per la costruzione del Watson Health Center in Lombardia aveva creato non poche ombre circa l’accesso e la possibile diffusione (nel peggiore dei casi la vendita) di dati sanitari, anche alla luce dello scandalo che colpì nel 2018 Facebook-Cambridge Analytica, oggi non possiamo non chiederci come proteggere tale mole di informazioni quando l’emergenza sanitaria sarà finalmente terminata. Da un lato dobbiamo tutelarci da un crescente dilagarsi del “Capitalismo della sorveglianza” alla Zuboff, in un mercato sempre più dematerializzato dove le informazioni sono il nuovo Eldorado, in cui le grandi multinazionali possono immergersi diventando sempre più potenti ed “intoccabili”, in una società che si troverà a confrontarsi con l’era del post ‘forza-lavoro’ ed entro il 2030 vedrà la sostituzione del corpo umano con gli strumenti ad alta innovazione tecnologica e dell’intelligenza artificiale (Arntz et al., 2016; Frey e Osborne, 2017; McKinsey, 2017; PwC, 2017).

Dall’altro si dovrebbe costruire un’architettura nuova per la gestione dall’alto dei flussi informativi, come si farebbe per limitare la formazione di qualsiasi monopolio in un’economia avanzata. La proposta del Forum Disuguaglianze e Diversità “Costruire una sovranità collettiva sugli algoritmi di apprendimento automatico e sui dati personali” va in questa direzione, cercando di riportare il progresso tecnologico verso una direzione che già possiede – quella di portare conoscenza e promuovere la democrazia -che è stata offuscata dall’uso continuo e invasivo di chi sta guidando questo cambiamento (Cfr. anche F.Barca, Algoritmi di apprendimento automatico e utilizzo di dati personali: una biforcazione sbilanciata).

Nell’imminente dobbiamo assicurarci che il cambiamento socio-economico che questa epidemia sta comportando non si traduca in un peggioramento delle libertà individuali. Per far questo è necessario non restare a guardare come le cose si evolveranno ma agire concretamente. In Europa come in Cina vale quello che profetizzava Giorgio Agamben sullo Stato di eccezione (G. Agamben, 2003) che, alimentato da un clima di paura e di “ragioni di sicurezza”, si contrappone allo Stato di diritto ma che non deve e non può diventare la norma. Cerchiamo allora di riportare questa situazione, per quando drammatica, a nostro vantaggio e spingere adesso verso cambiamenti positivi che comprendano giustizia sociale e processi democratici. Suona quanto mai attuale ciò che affermava il Capo segreteria di Barack Obama, Rahm Emmanuel, a seguito di un’altra crisi, quella economica del 2008: “Never let a serious crisis go to waste: it’s an opportunity to do things you think you could not do before”.

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