Tassi negativi, ma anche no

Riccardo Zolea analizza gli effetti sul settore bancario del perdurare di tassi di riferimento nulli o negativi, riflettendo anche sulla relazione tra tasso d’interesse e saggio di profitto dal punto di vista teorico. Zolea segnala che in Italia le politiche monetarie ultra-espansive non hanno portato ad un aumento del credito, e sembrano aver creato problemi di profittabilità nel sistema bancario. Per ovviare a ciò, la Banca Centrale Europea ha introdotto un sistema a due livelli di remunerazione dei depositi.

Il 12 settembre 2019 il Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) ha deciso di riprendere il programma di acquisto di titoli (Asset Purchase Programmes) che costituisce il Quantitative Easing e di continuare la politica di tassi d’interesse prossimi allo zero o negativi. Le Decisioni del Consiglio Direttivo del 24 ottobre 2019, del 12 dicembre 2019 e del 23 gennaio 2020 confermano quanto stabilito il 12 settembre.

La banca centrale controlla direttamente infatti il tasso di rifinanziamento principale, il tasso di rifinanziamento marginale e il tasso sui depositi overnight. Il primo è il tasso a cui le banche possono rifinanziarsi presso la BCE, il secondo è quello che la BCE richiede per prestare denaro alle banche a brevissimo termine e l’ultimo è il tasso che la BCE paga sui depositi delle varie banche. Il primo tasso è fermo a 0 dal 2016, il secondo è in diminuzione dal 2011 e il terzo è negativo dal 2014. La Decisione del 12 settembre conferma questa politica:

“Il tasso di interesse sui depositi presso la banca centrale sarà ridotto di 10 punti base, al -0,50%. I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali e sulle operazioni di rifinanziamento marginale rimarranno invariati sui livelli attuali, rispettivamente dello 0,00% e dello 0,25%.”.

Se le banche possono ottenere liquidità gratuitamente, sarà molto conveniente per loro utilizzare questa liquidità per fare prestiti e ottenerne un interesse. A maggior ragione se esse devono pagare qualcosa sul denaro inutilizzato. Questo dovrebbe comportare una riduzione dei tassi sui prestiti elargiti dalle banche e un aumento del volume dei prestiti stessi. Tuttavia, mentre i tassi bancari si sono effettivamente ridotti, il volume del credito ha avuto andamenti differenti all’interno dell’UE. Infatti, anche nel mercato del credito ci sono problemi di domanda che dipendono dalla situazione generale dell’economia dei vari Paesi: per quanto possano essere buone le condizioni per prendere denaro a prestito, in assenza di prospettive di guadagno per le imprese, la domanda di prestiti e di investimenti sarà alquanto bassa. D’altronde, le banche stesse in periodo di crisi, fallimenti e sfiducia valutano bene le richieste prima di elargire crediti, temendo il rischio d’insolvenza.

Analizzando il caso dell’Italia, si osserva, per l’appunto, che i prestiti non sono aumentati dopo l’avvio delle politiche non convenzionali da parte della BCE, come mostrato in figura 1 (che riporta la variazione percentuale annua degli impieghi). Gli impieghi nel settore produttivo registrano variazioni negative dal 2012 (salvo alcune osservazioni leggermente positive nel 2018), i prestiti alle famiglie sono effettivamente in aumento dal 2015, ma il tasso di crescita totale rimane negativo, con l’eccezione di gran parte del 2018 e di un picco nel 2016.

 

Figura 1

E difatti si rileva che la voce “margine di interesse” (differenza tra entrate dovute a interessi attivi e uscite derivanti da interessi passivi) del bilancio aggregato delle banche italiane è negli ultimi anni via via minore, mentre la voce “altri ricavi netti” è in aumento; i due effetti si compensano producendo un andamento del “margine di intermediazione” (somma delle due voci precedenti) abbastanza stabile (si veda la Relazione Annuale di Banca d’Italia, anni 2008 – 2019), ma il fenomeno è indice di crisi della componente tradizionale dell’attività bancaria.

Tornando alla Decisione del 12 settembre, un paragrafo risulta particolarmente interessante:

“Al fine di sostenere il canale bancario di trasmissione della politica monetaria, sarà introdotto un sistema a due livelli per la remunerazione delle riserve, in cui parte della liquidità in eccesso detenuta dalle banche sarà esente dal pagamento del tasso di interesse negativo sui depositi presso la banca centrale.”.

Come spiegare la contraddizione tra questo paragrafo della Decisione e quello precedente?

Analizzando il funzionamento del settore bancario, risulta che le varie banche (non centrali) fissano tassi attivi sui prestiti e tassi passivi sui depositi della clientela (i nostri conti correnti, per intenderci) e che lucrano sulla differenza. Il profitto bancario tradizionale, quello che deriva cioè dall’attività di raccolta e impiego, dipende proprio dalla differenza tra i tassi attivi e quelli passivi. Si provi a considerare quindi i primi come il prezzo della merce prodotta dall’impresa banca e i secondi come il costo di uno degli input principali. Il prezzo, moltiplicato per il volume della merce, deve però essere sufficiente a ripagare tutti i costi, compresi quelli connessi ai depositi, in questo caso, ma anche altri, come ad esempio i salari dei lavoratori, e remunerare il capitale investito nell’impresa banca. L’intervallo tra tassi attivi e passivi è perciò fondamentale per garantire almeno il normale saggio di profitto sul capitale bancario.

Solitamente, al variare dei tassi fissati dalla banca centrale, le banche modificano i loro tassi attivi e passivi di conseguenza, mantenendo lo spazio per i profitti. Scendendo però i tassi della banca centrale sempre più in basso, arrivando a zero il tasso di rifinanziamento principale e andando anche sotto lo zero quello sui depositi overnight, il margine di profitto si riduce. Le banche non possono porre tassi negativi sui depositi della clientela, altrimenti nessuno depositerebbe presso di loro. O forse dovremmo dire non potevano. In Germania alcune banche hanno cominciato in effetti a fissare tassi negativi sui depositi (e così in Svizzera e Danimarca) e nel dibattito politico tedesco si ipotizza di vietare questa pratica, quantomeno per depositi inferiori a una certa soglia, scatenando ovviamente le proteste da parte delle banche e aumentando lo scetticismo e le critiche di ampi settori della finanza tedesca nei confronti delle politiche monetarie espansive di Draghi.

Pare quindi che la BCE sia venuta incontro alle banche, riducendo l’effettiva cogenza dell’imposizione di tassi negativi, come sembra suggerire l’espressione “Al fine di sostenere il canale bancario di trasmissione della politica monetaria”. Allo stesso tempo, però, la BCE stessa ha ritenuto di abbassare ulteriormente il tasso sui depositi overnight, reputando dunque che questo fosse necessario per sostenere il settore reale dell’economia.

La doppia remunerazione delle riserve potrebbe però avere effetti problematici. Dal momento che il tasso EONIA, cioè sostanzialmente il tasso medio a cui le banche si fanno prestiti sul mercato overnight, è negativo dal 2015 (attualmente -0,45%), risulta più conveniente per le banche in eccesso di liquidità utilizzare l’escamotage del sistema a due livelli presente nella Decisione del 12 settembre e depositare a tasso zero il denaro presso la BCE, piuttosto che fare credito a tasso negativo ad altre banche. Questo potrebbe mettere in difficoltà il mercato interbancario, costringendo le banche che necessitano di liquidità a finanziarsi a un prezzo più alto presso la BCE.

Sembra insomma che la continuazione di politiche monetarie ultra-espansive stia cominciando a creare problemi di profittabilità alle banche. La BCE è costretta, così, a districarsi tra le esigenze dell’economia finanziaria e quelle dell’economia reale; queste ultime, peraltro, non possono essere soddisfatte con la sola politica monetaria, che è purtroppo inefficace ai fini del rilancio della domanda aggregata mediante l’aumento degli investimenti, non particolarmente sensibili al tasso d’interesse (in relazione al recente dibattito sul tema si veda R. Ciccone e A. Stirati “Blanchard e Summers: rivoluzione o conservazione?”, Moneta e credito, 2019).

La Decisione del 12 settembre offre infine alcuni spunti di riflessione piuttosto interessanti intorno alla questione teorica del rapporto tra saggio di profitto e tasso d’interesse. In particolare, questa Decisione dimostra l’importanza della profittabilità del settore bancario nella fissazione dei tassi d’interesse da parte della banca centrale, il che sembra andare nella direzione di una relazione causale che va dal saggio di profitto a quello d’interesse.

Altro aspetto che scaturisce da questo quadro è l’esistenza di un conflitto tra banche e depositanti per l’attribuzione delle perdite derivanti dalle politiche monetarie conseguenti alla crisi economica. Si può ipotizzare per semplicità che le banche si rifacciano in primis sui correntisti più abbienti e che questi possano essere considerati capitalisti (non a caso spesso nei modelli economici si ipotizza che i lavoratori consumino tutto il loro reddito e che dunque i risparmi, e di conseguenza i depositi, siano attribuibili ai soli capitalisti; si noti inoltre che i tassi negativi sono applicati più facilmente sui depositi oltre 100.000 euro). Nell’altro caso, più realistico, ma più complesso, le banche si rifanno sia sui lavoratori sia sui capitalisti produttivi. Resta comunque il contrasto fra classi diverse e fra sottoclassi di capitalisti.

Questo conflitto può dunque essere reinterpretato come una conferma di quei brani dei Grundrisse e del III libro del Capitale di Marx che accennano ad un contrasto tra sottogruppi di capitalisti per la spartizione del saggio del profitto: per Marx il tasso d’interesse non è che quella parte del saggio del profitto che va ai capitalisti del credito, o banchieri. Da qui deriva appunto il conflitto tra capitalisti produttivi e banchieri, che è alla base, insieme ad altri elementi economici, istituzionali e convenzionali, della determinazione del rapporto tra tasso d’interesse e saggio di profitto.

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