Super-ricchi, perché?

Un breve intervento sulle origini dei redditi dei super-ricchi. Lo spunto è offerto da una recente polemica tra due economisti di primissimo piano come Gregory Mankiw e Robert Solow, i quali hanno opinioni diverse sulla possibilità di ricondurre i super-redditi, o gran parte di essi, alla capacità di introdurre innovazioni in grado di migliorare il benessere dell’umanità piuttosto che alle rendite di cui gode il settore della finanza.

Sul numero dell’estate scorsa del Journal of Economic Perspectives, Gregory Mankiw, economista dell’università di Harvard e già consigliere economico di Gerge W. Bush, ha scritto un articolo dal titolo “Defending the One Percent”, dove l’uno per cento è naturalmente riferito ai super-ricchi.

Nella sua difesa Mankiw ha utilizzato numerosi – e abbastanza disparati- argomenti. Tra questi c’è la tesi, in verità lasciata intuire piuttosto che affermata esplicitamente, secondo cui i super-ricchi sono in gran parte imprenditori alla Steve Jobs, cioè creatori di innovazioni che apportano grandi benefici all’umanità.

Gli argomenti di Mankiw – e, in particolare, quello che appena ricordato – sono parsi a molti ben poco convincenti e a qualcuno perfino basati su premesse non esplicitate, assunzioni dubbie e non innocenti omissioni. Tra costoro c’è il premio Nobel Robert Solow, uno dei più grandi economisti viventi, che ha preso carta e penna e ha inviato al Journal of Economic Perspective una lettera al vetriolo che è stata pubblicata, assieme alla replica di Mankiw, sull’ultimo numero della rivista.

Solow parte dal titolo dell’articolo di Mankiw e osserva che l’1 per cento è nelle condizioni migliori per difendere se stesso, cosicché gli aiuti che vengono dall’esterno devono essere sottoposti a un attento esame. E l’esame severissimoche egli fa degli argomenti di Mankiw lo porta a individuare 6 punti critici. Non li riassumeremo tutti, ma ci limiteremo a richiamare il primo, quello per il quale tutti i super-ricchi, o quasi, sarebbero innovatori socialmente utili. Solow, ben poco convinto da questa tesi, ricorda che molti super-redditi si formano nel settore finanziario grazie a attività rispetto alle quali, egli scrive, posso “ingoiare il termine innovazione, ma innovazioni socialmente produttive no grazie”. L’accusa rivolta a Mankiw, è di esibire un’esitazione imbarazzante nei confronti del mondo della finanza e dei suoi enormi profitti.

A questa feroce critica, Mankiw replica richiamando un lavoro altrui in cui si afferma che la spiegazione del reddito dell’1 per cento sarebbe compatibile con la teoria economica delle superstar (equiparando, chissà perché, le superstar agli innovatori socialmente utili) e affermando che “il valore sociale dell’attività finanziaria è difficile da misurare e, quando l’evidenza è debole, occorre onestamente riconoscerlo”. Da un’economista con il curriculum di Mankiw forse ci si poteva aspettare di meglio di questa risposta che sembra confermare l’esitazione imbarazzante di cui parlava Solow.

Noi, oltre a sentirci a nostra volta un po’ imbarazzati, crediamo che dovrebbe essere valutata anche l’idea (implicita nella stessa critica di Solow) secondo cui, se si è in presenza di un’innovazione socialmente utile, qualsiasi reddito o ricchezza sono giustificati. In fondo, i mercati in cui Steve Jobs ha operato non erano propriamente concorrenziali e questo può bastare per chiedersi: perché è giusto un reddito elevatissimo guadagnato in mercati non concorrenziali? Forse anche qui dovrebbe applicarsi il consiglio di Mankiw: se gli argomenti sono deboli, onestà vorrebbe che lo si riconoscesse.

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