Sulla valutazione delle scuole e il test Invalsi: il Dialogo di ‘A pensarci bene…’ tra Corsini e Ricci, secondo Corsini

Cristiano Corsini riferendosi al dialogo del ciclo ‘A pensarci bene…’, organizzato da Etica e Economia sulla valutazione delle scuole ed i rischi e benefici del test Invalsi, di cui è stato protagonista a Treviso il 20 settembre 2019 con Roberto Ricci fornisce la sua interpretazione delle principali affermazioni di Ricci sui diversi temi oggetto di dibattito e illustra le ragioni del suo disaccordo. In particolare, Corsini propone la modifica del disegno dei test e della platea di studenti ai quali somministrarli.

Premessa della Redazione

Il 21 settembre 2019 a Treviso, nell’ambito del Festival della Statistica, si è svolo uno dei dialoghi del ciclo ‘A pensarci bene…’ organizzato da ‘Etica e Economia’ nel corso del quale Cristiano Corsini e Roberto Ricci hanno esposto le proprie, diverse, idee sul tema della valutazione delle scuole e, più specificamente, sui rischi e i benefici del test Invalsi.

Da diversi anni in Italia sono state introdotte prove standardizzate sugli apprendimenti di base (Italiano, Matematica e, recentemente, Inglese) in alcuni gradi scolastici (II e V primaria, III secondaria di primo grado, II e V secondaria di secondo grado). Il sistema delle rilevazioni è giunto al suo compimento nell’a.s. 2018-19 con l’introduzione di prove standardizzate anche al termine della scuola secondaria di secondo grado, pochi mesi prima che gli studenti sostengano l’esame di Stato, la meglio nota maturità.

Ci è parso, quindi, interessante chiedersi se la natura delle prove INVALSI, le modalità secondo le quali esse sono realizzate e somministrate e i dati che esse forniscono garantiscano al sistema scolastico nazionale, in tutte le sue articolazioni, benefici adeguati, in grado di sopravanzare i rischi, connessi a qualsiasi azione di misurazione, di qualsiasi natura essa sia.

Ai due dialoganti abbiamo chiesto di ricostruire, per il Menabò, le principali affermazioni della propria controparte e di metterle a confronto con le proprie, anche allo scopo di far risaltare meglio le differenze. Siamo loro grati per avere accettato il nostro invito. Quella che segue è la ricostruzione di Cristiano Corsini.

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Ricci (secondo Corsini). Il responsabile nazionale delle prove Invalsi sottolinea l’importanza delle rilevazioni effettuate dal suo istituto non solo in una prospettiva rendicontativa di sistema, ma anche in funzione del miglioramento di ogni singolo istituto. Secondo Ricci, sebbene vi siano degli aspetti problematici connessi alla somministrazione dei test, nel complesso i benefici eccedono i rischi. L’argomentazione di Ricci a favore dei test Invalsi è fondata sul fatto che le prove Invalsi costituiscono una fonte fondamentale di informazioni per

  1. il committente politico, che può verificare, sia a livello di sistema sia per singola scuola, l’efficacia e l’equità dell’insegnamento;
  2. scuole e docenti, che sulla base delle rilevazioni possono calibrare, di anno in anno, le scelte didattiche e organizzative;
  3. le famiglie, che anche sulla base dei dati forniti dall’istituto di valutazione possono scegliere in maniera più accurata le scuole adatte per i figli, oltre a controllare l’efficacia e la qualità dell’istruzione ricevuta.

Ricci sostiene che i rischi connessi alle somministrazioni Invalsi possano essere affrontati attraverso lo sviluppo tecnologico del testing e a un rapporto con le scuole più collaborativo.

Corsini. Le prove Invalsi nel corso degli ultimi anni hanno evidenziato notevoli miglioramenti, soprattutto nella qualità dei singoli quesiti. Tuttavia, il loro inserimento nel sistema di accountability educativa, ovvero la scelta di somministrare i test su tutta la popolazione per verificare l’efficacia dei singoli istituti, determina l’insorgere di numerosi problemi, tra i quali:

  1. la scarsa validità delle prove, che non valutano competenze e abilità complesse, non prevedendo, per questioni economiche, un numero sufficiente di domande a risposta aperta articolata;
  2. ricadute negative sui processi di apprendimento e insegnamento;
  3. l’acuirsi di dinamiche di selezione dentro e fuori le scuole.

Ritengo fondamentale il ritorno alla somministrazione campionaria, liberando le scuole dall’obbligo di una rilevazione imposta, legata a dinamiche competitive, e agevolando percorsi autovalutativi più autonomi e calibrati nei contesti.

 

1) Sulla necessità di una valutazione esterna e standardizzata delle scuole per il miglioramento e per l’equità.

 

Ricci (secondo Corsini). La valutazione esterna da sola non è certo sufficiente, però è necessaria. Il legislatore fissa attraverso le Indicazioni Nazionali i traguardi di apprendimento, e le scuole li perseguono in maniera autonoma. Per questo è indispensabile una valutazione che misuri in maniera affidabile il posizionamento delle diverse scuole rispetto ai traguardi stabiliti dal legislatore.

Corsini. Una valutazione standardizzata ed esterna è indispensabile a livello di sistema, per offrire alla politica dati per informare le scelte in materia scolastica. Se invece vogliamo migliorare i singoli contesti, allora le cose cambiano, perché la valutazione è un processo di ricerca che serve ad affrontare problemi, e però non tutte le scuole hanno gli stessi problemi: se impongo a tutti gli istituti gli stessi strumenti, finisco spesso con l’imporre un problema invece di affrontarlo, burocratizzando autovalutazione e insegnamento e inibendo il miglioramento.

2) Sull’oggetto della valutazione: le conoscenze, le competenze di base o altro ancora?

 

Corsini. Le competenze hanno un carattere situato nel contesto, una dimensione plurale (non solo cognitiva) e prevedono la produzione attiva di significati. Non sono quindi rilevate da prove oggettive. Dicendo che i test valutano le competenze, si dà ragione a chi vede nelle competenze una minaccia allo sviluppo del pensiero critico. I test rilevano, tra le tante possibili, le conoscenze e le abilità che abbiamo scelto di rilevare: la misura dà luogo a una valutazione, ma da una valutazione è sempre preceduta.

Ricci (secondo Corsini). Le prove Invalsi forniscono misure del raggiungimento dei traguardi formativi stabiliti dalle Indicazioni Nazionali e dunque non delle competenze, ma dei prerequisiti necessari al loro sviluppo. Tuttavia, grazie agli sviluppi del learning analytics e alla capacità dei test di restituire informazioni sulla persistenza o sulle modalità di ragionamento per affrontare i quesiti, alcune distinzioni, come quelle tra conoscenze e competenze o tra valutazione sommativa e formativa, perderanno di senso.

 

3) Sulla necessità di valutare l’universo o un campione statisticamente significativo.

 

Ricci (secondo Corsini). Prendere misure sull’universo è necessario: le indagini Iea e Ocse erano campionarie e non hanno inciso sul miglioramento scolastico. Per farlo, serve agire sull’intera popolazione. Per esempio, grazie alla somministrazione sull’universo abbiamo dati precisi sulla dispersione scolastica implicita. Sappiamo cioè che nella secondaria il 15% di frequentanti non ha sviluppato in maniera adeguata le capacità attestate dal titolo conseguito nella secondaria di I grado. E, sempre grazie alla rilevazione sull’universo, sappiamo in quali aree e in quali scuole si concentrano maggiormente questi studenti.

Corsini. Un campione comporterebbe test migliori, su più aspetti e capacità più complesse, con quesiti a risposta aperta articolata. Le scuole avrebbero strumenti più completi, da scegliere per autovalutarsi e per incidere sulle prassi. A rendere formativa la valutazione non è lo strumento, ma l’uso dei dati. Ma con l’universo si fatica a usare le informazioni: le prove sono talvolta lontane dalla didattica praticata, non vengono restituiti dati sulle singole domande, i risultati arrivano troppo tardi. Infine, il clima competitivo legato al mercato della libera scelta della scuola distoglie da un autentico impiego formativo dei dati.

 

4) Sull’esistenza di un uso distorto dei dati, e di come affrontarlo.

 

Corsini, I rischi sono noti. Le prove non misurano la qualità dell’insegnamento, ma vengono impiegate per scegliere le scuole, e questo acuisce ulteriormente il fenomeno della segregazione scolastica. Sappiamo che i meccanismi competitivi non producono miglioramento scolastico, ma uno stress che scuole e docenti trasmettono a chi apprende. Il problema può essere limitato lavorando con scuole e docenti sui dati, mettendo da parte, per quanto possibile, la loro finalità rendicontativa.

Ricci (secondo Corsini). I rischi esistono, ma vanno affrontati attraverso trasparenza e cultura della valutazione, elementi che favoriscono l’equità sia perché forniscono a tutti informazioni sul funzionamento delle scuole che prima erano appannaggio di pochi, sia perché si basano sul dovere di dimostrare il raggiungimento dei propri obiettivi. E se è un dovere, allora non possiamo demandare un processo tanto importante all’adesione volontaria di scuole e docenti. Altrimenti, riproduciamo, per giunta nascondendole, le inique differenze negli apprendimenti tra scuole e classi.

5) Sul rischio di condizionare negativamente formazione degli studenti, e di come affrontarlo.

 

Ricci (secondo Corsini). Si parla molto di teaching to the test in relazione alle prove Invalsi, ma va detto che questa prassi addestrativa, anche se esiste, non riguarda solo i test né le sole prove Invalsi, ma anche compiti in classe o interrogazioni, verso cui l’addestramento c’è sempre stato. La letteratura di riferimento evidenzia inoltre come il teaching to the test sia una pratica del tutto inefficiente: per addestrare adeguatamente una classe a un test sarebbero necessarie centinaia di ore di lezione. Nella scuola lavorano intellettuali che, in quanto tali, dovrebbero essere consapevoli dei rischi impliciti in certe prassi.

Corsini, La valutazione è un mezzo di insegnamento, quando diventa un fine produce danni. Sappiamo che, dato che i risultati vengono usati per comparare le scuole, ci sono istituti che in vista delle prove selezionano la propria popolazione studentesca, docenti che imbrogliano apertamente e che praticano il teaching to the test. Il problema più grave è che certe prassi (che l’Invalsi acuisce, ma non inventa) non sviluppano motivazione intrinseca all’apprendimento. Per affrontare il problema è necessario dare voce a dirigenti, docenti e studenti, rendendoli padroni delle prove e della valutazione.

 

6) Sulle cose da modificare nei test Invalsi  e nell’utilizzo dei loro risultati.

 

Corsini. Da un punto di vista tecnico, è necessario tornare alle rilevazioni campionarie, che consentirebbero di costruire e dare alle scuole prove migliori per autovalutarsi.
Ma per fare questo è necessaria una svolta politica e culturale. Dobbiamo cioè smetterla di chiedere alla valutazione e all’Invalsi di riempire i vuoti spalancati dalla politica in tema di selezione, formazione e remunerazione del personale docente. Se alla valutazione educativa chiediamo di fare questo, allora diventa accountability, e io credo che le due cose vadano distinte. La valutazione educativa è un giudizio di valore, emesso sulla distanza accertata tra la realtà che percepiamo e i nostri desideri, e finalizzato alla riduzione di tale distanza. L’accountability è invece un’attività che impegna soggetti e contesti nella mera dimostrazione della propria efficacia e che, sostanzialmente, si basa sulla sfiducia reciproca.

Dobbiamo tornare sui nostri passi ed evitare di trattare la scuola come un servizio che, all’interno di un mercato, è chiamato a legittimare attraverso i dati la propria esistenza. È un’istituzione che fonda la nostra società democratica e che, certo, potrebbe e dovrebbe funzionare meglio, ma non si capisce come imporle di impiegare il proprio tempo a dimostrare di essere efficace possa spingerla a migliorarsi.

Ricci (secondo Corsini). Un sistema di misure e di prove risponde e traduce in termini operativi il sistema di valori che viene fissato dal legislatore attraverso le Indicazioni Nazionali. L’Invalsi è vincolata a traguardi stabiliti a monte dalla politica, non siamo noi a stabilire quali traguardi obiettivi testare.

Su alcuni cambiamenti, però, possiamo operare. Per esempio, una rilevazione di massa pone dei notevoli problemi, legati alla necessità di somministrare la stessa prova a una popolazione estremamente eterogenea. Ma esistono soluzioni che possono essere suggerite dall’evoluzione tecnologica, per esempio dall’Intelligenza Artificiale, che ci può consentire di sviluppare test adattivi, ovvero di impiegare strumenti che tengano conto delle caratteristiche dello studente, adattandosi al suo livello di padronanza.

In generale, a prescindere dai cambiamenti, rimane necessario fornire informazioni a opinione pubblica, famiglie, scuole e docenti. Chiaramente, ci sono dei limiti e dei rischi in questo processo. Ma, se è vero che, per esempio, scuole e docenti ottengono dati su studenti che in gran parte non rivedranno e sui quali non potranno intervenire, è anche vero che la scienza medica progredisce esattamente così: riflettendo sull’efficacia delle proprie azioni, chi ha operato impara per i futuri pazienti.

 

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