Sugar Tax, Nudge e informazione per responsabilizzare produttori e consumatori

Eleonora Maglia in relazione all’ipotesi di introdurre una Sugar Tax anche in Italia, illustra caratteristiche ed effetti di provvedimenti simili adottati da altri Paesi; valuta possibili soluzioni alternative alla Sugar Tax per disincentivare l’abuso di alimenti insalubri e per tutelare la salute della collettività e si sofferma in modo particolare sulle potenzialità dei Nudge e conclude sottolineando l’importanza di una informazione comprensibile e accessibile sul rapporto tra alimentazione e salute.

SUGAR TAX PER OBIETTIVI SALVA-SALUTE. In Italia recentemente si è iniziato a ragionare sull’introduzione di una Sugar Tax che potrebbe rientrare nella prossima legge di bilancio. Se l’ipotesi verrà confermata, le bevande zuccherate etichettate come NC2009 e NC2202 saranno oggetto di un prelievo di 10 euro ad ettolitro per prodotti finiti o di un’imposta pari a 25 centesimi il chilogrammo per prodotti intermedi, con un incasso complessivo previsto di 200 milioni di euro a partire dal secondo semestre 2020.

Questo strumento è già stato adottato in molti Paesi o sono in corso delle sperimentazioni a riguardo (World Cancer Research Fund International, Nourishing database, 2019). In Norvegia esiste un’imposta fin dal 1922 e gli Stati Uniti e gli Emirati Arabi, ad esempio, applicano una Sugar Tax rispettivamente nell’ordine di 1-2 centesimi ogni 30 millilitri e che prevede un valore aggiuntivo pari al 50% sulle bevande analcoliche e del 100% sugli energy drink. Tra i Paesi membri dell’Unione Europea, invece, la Francia dal 2012 applica un prelievo fisso di 7,53 euro per ettolitro e, dal 2018, impone una tassazione progressiva rispetto alla percentuale di zucchero (0,045 euro/litro per bevande con il 4% di zuccheri e 0,235 quando lo zucchero è il 15%). Riguardo agli effetti prodotti, si può citare il recente caso della Gran Bretagna dove, dal 2018, la Soft Drinks Industry Levy prevede un incremento di 0,20 euro al litro sulle bibite la cui quantità di zucchero è compresa tra 5 e 8 grammi su 100 millilitri e un incremento di 0,27 se i grammi sono più di 8 per 100 millilitri. Ad un anno dall’introduzione della SDIL, il 50% dei produttori (326 aziende) è intervenuto sulle quantità di zucchero impiegate, riducendole complessivamente per 45 milioni di chili.

Tra gli scopi dichiarati dai Governi promotori di una Sugar Tax vi è il contenimento nella popolazione dei rischi dovuti all’obesità, rischi che -va ricordato- non sono per niente marginali. L’OMS, infatti, stima che il 44% dei casi di diabete tipo 2, il 23% dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 41% di alcuni tumori sono attribuibili ad un eccesso ponderale (World Health Organization, Preventing Chronic Diseases a vital investment, 2015) e studi longitudinali condotti sulla popolazione (Brownel et al., “The Public Health and Economic Benefit of Taxing Sugar-Sweetened Beverage”, NEJM, 2009) individuano una correlazione positiva tra il consumo di bibite zuccherate e il peso corporeo e ciò vale soprattutto per la popolazione giovane. Solo a livello nazionale, secondo i dati del Ministero della Salute (Ministero della Salute, 2017, Sistema di sorveglianza Okkio alla salute), è sovrappeso (ovvero ha un IMC>25) il 32% degli adulti e il 22,9% dei bambini e l’indice di aderenza alla dieta mediterranea in Italia mostra tuttora una forte disomogeneità tra regioni (il Sud presenta i valori peggiori) e difficilmente sono raggiunti gli obiettivi di consumo ottimale di ortaggi e frutta (Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni Italiane, Rapporto Osservasalute, 2018).

Di fronte all’ipotesi di Sugar Tax le associazioni di settore italiane hanno posto l’accento sulle perdite,per le stime di Assobibe le vendite verrebbero ridotte del 30% con una contrazione dei consumi finali dell’11% e anche Confindustria ha dato complessivamente un giudizio negativo in merito. Tuttavia va ricordato che per le aziende intervenire sulla qualità dei prodotti è un investimento in Corporate Social Responsibility (Lugli G., Cibo, salute e business, Egea, 2015) e, inoltre, visti i dati e l’andamento della mortalità per obesità in Italia (Minelli G. et al., La mortalità per obesità in Italia, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, 2013), anche solo fermandosi ad un’ottica miope e auto-centrata, il fatto di disporre di consumatori sani e longevi diventa un patrimonio da salvaguardare per le aziende alimentari. Più in generale, poi, secondo i recenti dati diffusi dall’OCSE in occasione della Giornata mondiale dell’obesità, questa patologia in media incide negativamente sul Pil nella misura del 3,3% e ogni euro investito per contrastarla ne frutta sei (Oecd, 2019, The Heavy Burden of Obesity. The Economics of Prevention).

ALTERNATIVE PER RI-ORIENTANTARE I CONSUMATORI. Per cambiare i comportamenti e correggere i fallimenti del mercato, uno strumento possibile è un’imposta pigouviana, utilizzata in presenza di esternalità negative, cioè quando sono compiute azioni che danneggiano altri, senza passare per il mercato e con conseguenze negative per l’efficienza. E’ il caso, ad esempio, delle emissioni inquinanti per le quali si applica una tassa ai produttori, a ristoro del danno aggregato causato e al fine di ripristinare un’allocazione socialmente efficiente. Non è però detto che un’imposta sia il metodo più efficace per raggiungere determinati obiettivi o standard di benessere sociale. L’internalizzazione delle esternalità e l’eliminazione della divergenza tra costo sociale e costo privato potrebbe infatti non essere completa perché, come si è visto ad esempio nell’industria ittica (Spagnolo M., 2006, Economia e gestione della pesca, Franco Angeli), una tassa potrebbe comportare una riduzione nello sforzo di produzione dei beni tale da non consentire la massimizzazione dei benefici sociali.

Ora con la Sugar Tax si cerca di limitare un danno per la salute derivante da un consapevole scambio di mercato facendo leva su due ipotesi. Da un lato, i produttori potrebbero ridurre la quantità di zucchero nei prodotti per pagare meno tasse e, d’altro lato, i consumatori potrebbero consumare meno prodotti zuccherati perché il prezzo per il loro acquisto sarà maggiore a causa della traslazione su di essi dell’imposta stessa (quindi sia per i produttori che per i consumatori di fatto diviene più costoso continuare a fare quello che si stava facendo). Questi effetti ipotizzati, tuttavia, sono entrambi dubbi e non è detto siano stabili nel tempo, infatti è già stato illustrato (Samuelson W., Zeckhauser R., “Status quo bias in decision making”, Journal of Risk and Uncertainty, 1988,) che gli individui mostrano una certa inerzia ai cambiamenti e preferiscono lo status quo, valutando maggiormente le contingenze giudicate come il normale punto di riferimento. Potrebbe, allora, essere preferibile cercare di indurre direttamente i consumatori a preferire il consumo di alimenti salutari. In proposito, in Economia Comportamentale (il filone di studi per l’integrazione nella scienza economica di elementi di ambito psicologico che è valso il Nobel a Daniel Kahneman nel 2002) si studia l’efficacia dell’applicazione di Nugde (pungoli o spinte gentili), ovvero di sostegni positivi, suggerimenti o orientamenti indiretti volti a influenzare le motivazioni o gli incentivi che entrano a far parte del processo decisionale di gruppi e individui (Thaler R. e Sunstein C., Nudge, Feltrinelli, 2009). Un’applicazione di Nudge nel campo della salute è ad esempio l’esperimento condotto nelle Filippine per contrastare il vizio del fumo. Qui i partecipanti si sono impegnati ad astenersi dalla nicotina e versare per sei mesi piccole somme su un conto corrente. Al termine del semestre, chi risultava negativo al test della nicotina riceveva la somma risparmiata che, in caso di esito positivo del test, veniva invece devoluta in beneficienza. Tramite questo incentivo di ricompensa monetaria, il 34% dei partecipanti è riuscito in effetti a smettere un’abitudine insalubre (Ginè X. et al., “Put Your Money Where Your Butt Is: A Commitment Contract fos Smoking Cessation”, American Economic Journal, 2010,). Così, non si è inciso sull’industria del tabacco tassandola, ma piuttosto -con un apposito Nudge– si è fatto leva sull’utilizzatore finale (il fumatore), come pure sempre con un Nudge si può far leva sul consumatore finale di prodotti zuccherati piuttosto che sull’industria delle bibite. Riprendendo l’ambito alimentare citato in riferimento alla Sugar Tax, una sperimentazione condotta nelle mense delle scuole ha mostrato che gli alimenti salutari -se disposti in maniera più accessibile agli utenti- vengono consumati con un incremento del 18% (Hanks A. S. et al., “Healthy convenience: nudging students toward healthier choises in the lunchroom”, Journal of Public Health, 2012,). Oppure, è stato rilevato che, tracciando sul pavimento dei supermercati un itinerario di frecce verdi che conducono i clienti al reparto orto-frutta, nove consumatori su dieci scelgono effettivamente questo percorso e a parità di spesa complessiva optano per quantità maggiori di alimenti salutari (Payne et al., This Way to Produce, JNEB, 2016).

Comune agli strumenti di Nudging è l’obiettivo di aiutare le persone a compiere scelte migliori e di arginarne i deficit decisionali. Secondo H.A. Simon (Theories of Bounded Rationality, 1972), infatti,gli attori economici prendono le decisioni in base alle informazioni disponibili (non sempre perfette) e a capacità cognitive non assolute, in tempi comunque ristretti. La razionalità è di fatto limitata e un Nudge tenta di supplire a ciò attivando quattro proprietà: [1] lo scopo di orientare a prendere la decisione migliore per se stessi; [2] i costi nulli o molto bassi; [3] nessun effetto o un effetto irrilevante sulle scelte già razionali e ben informate; [4] un esito potenzialmente positivo riconosciuto anche nella prospettiva del decisore finale.

MAGGIORE INFORMAZIONE PER SCELTE MIGLIORI. Sull’efficacia della Sugar Tax, dai dati disponibili (Institute for Fiscal Studies, The evidece on the effects of soft drink taxes, 2019,) emerge che i cambiamenti dei consumi possono essere anche consistenti (su livelli di tassazione sufficientemente elevati), perché i produttori trasferiscono la tassa sui prodotti e quindi sui consumatori (Cawley et al., “The Economics of Taxes on Sugar-Sweetned Beverages”, Annual Review of Nutrition, 2019,). Non è però detto che le sostituzioni nei consumi siano complessivamente migliorative dei livelli di salubrità dell’intero carrello acquistato e allora sarebbe forse più utile investire in campagne di informazione e in etichette chiare, che sensibilizzino ad uno stile di consumo più attento e che diano anche la misura di quanto i singoli ingredienti contenuti in un prodotto possano nuocere. In Italia si è in attesa di sapere quale sarà la sorte dell’ipotesi di Sugar Tax e, al riguardo, va detto che il tema della salvaguardia della salute è universale e non dovrebbe essere oggetto di contesa politica. Inoltre, come si è illustrato in queste note, un’imposta sulle bevande zuccherate di per sé non assicura che venga compresa in modo generalizzato l’importanza di investire in modo continuativo sulla propria salute. Tuttavia, il dibattito innescato crea l’occasione per interrogarsi e ragionare sulle alternative possibili e potrebbe favorire il dialogo tra scienza e industria nonché interventi formulati diversamente e in grado di condurre magari a soluzioni più efficaci, percepite come preferibili e più popolari (come potrebbero esserlo i Nudge). In attesa che tutte le conoscenze scientifiche vengano incorporate dalle aziende nelle fasi di definizione dei comportamenti di produzione e divengano la base per le azioni dei produttori, possiamo intanto adoperarci per capire, spiegare e divulgare le informazioni e i dati disponibili affinché l’importanza dell’educazione alla salute sia recepita da tutti.

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