Sugar or Vinegar? La riscossione tributaria negli USA e nell’esperienza domestica tra mito e realtà

Sarah Eusepi illustra il Bank Account Tax Levy statunitense al quale si è fatto riferimento, come modello da importare, nel dibattito sull’efficacia del nostro sistema di recupero coattivo dei tributi e sulla necessità di ampliare gli spazi e gli strumenti di intervento dell’Agente di riscossione. Eusepi illustra le caratteristiche del Bank Account Tax Levy e ne approfondisce i profili operativi anche al fine di apprezzarne l’effettiva innovatività rispetto alla “strumentazione” domestica.

Rispetto alla riscossione coattiva che viene fatta negli Stati Uniti quella di Equitalia è zucchero“. Così tuonava lo scorso Aprile Attilio Befera, ex Direttore dell’Agenzia delle Entrate, al Congresso nazionale della FisacCgil, commentando un recente studio di valutazione evidenziante la significativa ‘mitezza’ della procedura di riscossione coattiva nazionale rispetto a quelle adottate da altri Paesi europei (Francia, Spagna, Germania e Regno Unito).

Equitalia, dal canto suo, aveva rappresento, in un nota del Gennaio 2015, di aver riscosso, nel 2014, per conto dei vari enti pubblici, più di 7,4 miliardi di Euro, con un incremento del 4% rispetto al 2013. Un risultato, di per sé, non idoneo a diradare le preoccupazioni espresse dalla Corte dei Conti nel Rapporto sul coordinamento della Finanza pubblica del Maggio 2014, in ordine al progressivo deterioramento della posizione creditoria dello Stato rispetto a quella dei creditori privati.

Di qui, una serie di iniziative legislative ad alto impatto mediatico, orientate ad accentuare i poteri dell’Agente della riscossione, nel cui solco si inserisce la recente proposta della Commissione Finanze del Senato volta a consentirne il libero accesso alle informazioni bancarie dei contribuenti. L’iniziativa preconizza l’attuazione di un più ampio progetto di riforma, il cui fulcro operativo è rappresentato dal c.d. prelievo diretto dai conti correnti, modulato sull’esempio di alcune fortunate esperienze internazionali, prima fra tutte, quella statunitense del Bank Account Tax Levy.

In tema di riscossione coattiva, il Fisco USA sembra, dunque, essere divenuto la pietra di paragone mondiale; una macchina efficiente, trainata dall’azione di un Agente della riscossione (il temibile IRS) dotato di poteri sconosciuti al sistema domestico. Ma è davvero così? Ed in tal caso, il recupero coattivo dei crediti tributari è davvero funzione diretta ed esclusiva dei poteri attribuiti all’Agente della riscossione?

Che la risposta a tali interrogativi sia parzialmente negativa, risulta evidente non appena si dismetta il piano informativo eminentemente mediatico degli annunci ‘ad effetto’, per accedere ad un’analisi più consapevole e giuridicamente orientata.

Emerge, in tale prospettiva, l’attuale possibilità, nell’ordinamento interno, di attivare, per i debiti tributari, una procedura di recupero alternativa a quella ordinaria, che presenta – come si illustrerà a breve – significative analogie con il Tax Levy, paventata panacea delle sofferenti casse erariali.

La riscossione negli USA

Accertata l’esistenza di un carico tributario pendente (Delinquent Tax Balance), l’IRS può discrezionalmente attivare, ai fini della relativa riscossione, tre distinte procedure (Collection Mechanisms). Può, anzitutto, istituire un privilegio su beni di proprietà del contribuente debitore (Tax Lien). In tale ipotesi, i beni restano nella disponibilità del titolare, rilevando il vincolo unicamente nell’ipotesi di una parallela procedura esecutiva. Può, in alternativa, disporre il pignoramento dello stipendio/dei redditi da lavoro autonomo (Wage Garnishment); in questo caso le somme dovute sono progressivamente trattenute ab origine presso il datore/i committenti, ancor prima di essere accreditate sul conto del contribuente.

Infine, il temibile Bank Account Tax Levy, il sequestro dei conti correnti, finalizzato al prelievo diretto delle somme dovute. Al contrario dei creditori ordinari – la cui iniziativa esecutiva è rigorosamente subordinata al rilascio di un titolo esecutivo da parte dell’autorità giudiziaria (Writ of Execution) – l’IRS può ‘bypassare’ la fase giudiziaria, con notevole riduzione dei tempi di recupero.

La significativa intensità del potere attribuito non si traduce, tuttavia, nell’assoluta discrezionalità del relativo esercizio, dovendosi escludere qualunque forma di automatismo nell’applicazione della misura, articolata secondo tassative cadenze procedimentali.

L’IRS è anzitutto tenuto all’invio di un primo avviso (Notice and Demand For Payment), recante l’evidenziazione dell’entità del carico pendente e la fissazione di un termine per il relativo pagamento. Qualora l’avviso rimanga inadempiuto, devono essere inviate – almeno 30 giorni prima di attivare la procedura esecutiva – due ulteriori comunicazioni: la Final Notice of Intent of Levy, con la quale il contribuente viene edotto dell’avvio della procedura medesima e la Notice of Your Right to a Hearing, ove si rappresenta la possibilità di proporre, nei 30 giorni successivi, un’istanza di revisione (Collection Due Process Hearing), onde far valere eventuali circostanze idonee a determinare l’archiviazione della propria posizione fiscale (intervenuto pagamento, assoggettamento a procedure concorsuali, prescrizione del credito tributario, ecc.).

Inoltrate tali comunicazioni, qualora il contribuente non provveda al pagamento, omettendo altresì di istaurare un dialogo collaborativo con il Fisco, finalizzato all’individuazione concordata di modalità di adempimento alternative (c.d. Collection Alternatives), i conti correnti nazionali ed esteri intestati/cointestati al medesimo vengono sequestrati per 21 giorni (c.d. Account Freezing), durante i quali nessuna operazione può essere effettuata sui conti. Tale periodo costituisce l’ultimo frangente utile ai fini della ricerca di una soluzione concordata. In caso di infruttuoso decorso, la banca è obbligata a versare direttamente all’IRS un importo corrispondente al debito tributario insoluto.

L’istituto costituisce, dunque, una extrema ratio, il cui ricorso può – fino all’ultimo – essere inibito dal contribuente interessato attraverso l’adozione iniziative rivolte alla definizione concordata, ovvero, all’adempimento ripartito dei carichi fiscali pendenti (Tax Settlement Programs).

Uno strumento potente, dunque, ma non indiscriminatamente attuabile. Considerazioni, queste, che valgono a ridurre parzialmente il supposto gap conformativo rispetto all’omologo (e pressoché inattuato) istituto nazionale.

Il panorama domestico

Il pignoramento speciale dei crediti presso terzi disciplinato dall’art. 72 bis del DPR n. 602/73 (c.d. ordine di pagamento) può essere disposto da Equitalia in alternativa alla procedura esecutiva ordinaria (incentrata sull’asse operativo cartella di pagamento – pignoramento – espropriazione mobiliare/immobiliare).

Introdotta nel 2005, la procedura consente all’Agente della riscossione di rivolgere direttamente al terzo debitore (i.e., il datore di lavoro, committenti, ma anche gli istituti postali e di credito in ordine ai rapporti intrattenuti con i correntisti) l’ordine di consegnare una somma corrispondente ai tributi iscritti a ruolo, senza che si renda necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria.

L’avvio della procedura stragiudiziale è segnato dalla notifica al contribuente ed al terzo di un atto complesso, recante l’ordine – rivolto in via esclusiva a quest’ultimo – di versare ad Equitalia, entro 60 giorni dalla notifica, una somma corrispondente al debito tributario insoluto.

Sin qui, la procedura presenta significative assonanze con il Levy statunitense, risultando, peraltro, connotata da una maggiore snellezza procedurale. Senonché, gli effetti positivi potenzialmente ritraibili – in termini di recupero – dalla minor formalizzazione dell’iter procedimentale, risultano azzerati dalla disciplina dei limiti di pignorabilità. Quest’ultima, invero, assoggetta l’espropriazione presso terzi a limiti più stringenti rispetto a quelli previsti nell’ambito della procedura ordinaria.

L’aspetto di maggior rilievo è, tuttavia, rappresentato dalla inoperatività del c.d. principio della confusione, alla stregua del quale le somme depositate perdono qualunque collegamento con il titolo in ragione del quale sono versate all’avente diritto, con conseguente irrilevanza – successivamente a tale momento – degli ordinari limiti di pignorabilità. Una recente modifica legislativa ha infatti espressamente escluso – con riguardo alla sola procedura speciale – la pignorabilità dell’ultimo emolumento accreditato nel conto corrente del debitore esecutato (comma 2 bis, art. 72 ter DPR cit., introdotto dalla L. n. 98/2013). Il dato, unitamente alla strutturale esclusione delle c.d. rimesse (estranee agli obblighi restitutori dell’istituto) ed ai limiti generali imposti con riferimento ai debiti tributari inferiori a 1.000 Euro (obbligo di preventiva comunicazione del dettaglio degli importi e contestuale sospensione dell’esecuzione per 120 giorni), compromette irrimediabilmente gli esiti della riscossione, inibendone l’efficace dispiegamento. Non sorprende, dunque, il ricorso pressoché esclusivo di Equitalia all’esecuzione ordinaria, nonostante la dilatazione indotta, sotto il profilo temporale, dal necessario coinvolgimento dell’autorità giudiziaria.

Osservazioni conclusive

Il reale discrimen tra l’ordine di pagamento ed il Tax Levy statunitense sembra doversi individuare nelle diverse modalità di attuazione dei diritti all’integrità patrimoniale e alla difesa del contribuente, tutelati, nel primo caso, ‘a valle’, attraverso l’istituzione di penetranti limiti alla pignorabilità dei beni; nel secondo caso, ‘a monte’, attraverso continui flussi di comunicazione orientati all’adempimento spontaneo (ancorché tardivo) dei debiti fiscali.

Fino all’ultimo, il contribuente inadempiente viene posto in condizione di intervenire attivamente, istaurando un dialogo collaborativo con l’Agente; il che induce una inevitabile dilatazione della fase prodromica all’espropriazione. Nondimeno, all’inattività (ed al persistente inadempimento) del contribuente consegue l’adozione di una misura ‘estrema’ e sostanzialmente irrevocabile. Il sistema nazionale, idealmente improntato ad una esecuzione “per direttissima”, eccede, invece, in garantismo nella fase strettamente espropriativa, pregiudicandone – e, finanche, inibendone – la materiale attuazione. L’immagine è quella di una pretesa idealmente fissa, implicitamente falcidiata in sede esecutiva.

La risposta alla seconda delle domande formulate in premessa sembra dunque essere, ancora una volta, negativa. Il raffronto tra i due sistemi rende evidente come l’efficienza della riscossione sia funzione, non dell’astratto contenuto dei poteri all’uopo attribuiti (e, segnatamente, dell’incondizionata affermazione dogmatica dei medesimi), ma della pienezza del relativo dispiegamento.

In tale prospettiva, il deficit di efficienza del sistema di riscossione nazionale sembra debba risolversi, non attraverso il (falso) trapianto di modelli afferenti a sistemi largamente disomogenei quanto a tradizione giuridica (common law) e sostrato materiale (numero di residenti), bensì attraverso la rimozione degli ostacoli normativi che si frappongono al pieno dispiegamento degli omologhi istituti nazionali. One could catch more flies with sugar than with vinegar.

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