L’obiettivo di questa scheda è analizzare il livello e l’andamento della spesa per prestazioni di protezione sociale – in denaro e in natura – in Italia e nei principali paesi europei.
Quando si eseguono confronti internazionali è opportuno assicurarsi che i dati presi in esame siano comparabili. A tal fine si utilizzano i dati sulla spesa sociale di fonte Eurostat, rilevati in coerenza con i criteri adottati nell’Esspros (European System of Integrated Social Protection Statistics), che classifica la spesa per protezione sociale in base ai diversi rischi (malattia, vecchiaia, invalidità, superstiti, disoccupazione, famiglia, esclusione sociale, abitazione).
Figura 1: Spesa per protezione sociale (in % del Pil)
Nel periodo 1995-2011, il rapporto fra la spesa per protezione sociale e il Pil in Italia è stato costantemente inferiore alla media dell’Unione Europa a 15. Fino al 2006 soltanto la Spagna aveva un rapporto più basso del nostro, successivamente si è aggiunto il Regno Unito. Nel 2011, la Francia presentava il rapporto più alto (31.9%), avendo nel 2006 superato la Svezia. La distanza tra Francia e Italia è di 3,5 punti percentuali.
La bassa quota di spesa dell’Italia va valutata tenendo anche presente la maggiore diffusione, nel nostro paese, di alcuni rischi a cui la spesa sociale dovrebbe dare risposta: la bassa occupazione, la maggiore longevità della popolazione e una diffusa povertà, soprattutto nelle regioni meridionali.
Per arricchire l’analisi e i confronti internazionali, è opportuno osservare gli andamenti della spesa per protezione sociale (in denaro e in natura) procapite (a prezzi costanti; figura 2). Anche in base a questo indice l’Italia è costantemente al di sotto della media europea e soltanto la Spagna fa un indice più basso, per tutta la durata del periodo. Nel 2011, in media, in Italia ogni residente riceveva prestazioni di protezione sociale in natura o in moneta del valore di 6.562 euro l’anno, a fronte di 8.316 euro in Germania, 8.913 euro in Francia e 10.345 euro in Svezia. Il divario in base alla spesa procapite è, dunque, ben maggiore di quello che emerge considerando il rapporto spesa/Pil.
Figura 2: Spesa per protezione sociale in euro pro capite (prezzi costanti)
Dal 1995 la spesa sociale italiana (sia come quota del Pil, sia procapite), presenta un trend lievemente crescente, del tutto simile a quello degli altri paesi europei. Dall’avvio della crisi, l’effetto combinato del maggior utilizzo degli ammortizzatori sociali e della caduta del Pil ha determinato in tutti i paesi una crescita più sostenuta della spesa sociale, con effetti maggiori sul rapporto spesa/Pil a causa della concomitante crescita del numeratore e caduta del denominatore.
Al di là dei livelli complessivi della spesa sociale è interessante osservare anche il peso delle diverse componenti della spesa sociale (figura 3). Dall’osservazione della composizione percentuale della spesa per protezione sociale, distinta per causa di rischio, si osserva che nel 2011 gli esborsi a tutela dei rischi di vecchiaia e superstiti (fra cui rientrano le pensioni da lavoro e di reversibilità) hanno assorbito il 61,3% della spesa sociale complessiva, un valore ampiamente superiore sia a quello medio nella UE15 (45,4%) sia a quello degli altri paesi. Questa divergenza è, però, in larga parte dovuta alle differenze nelle variabili incluse nel calcolo della spesa pensionistica.
Figura 3: Composizione percentuale della spesa per protezione sociale per causa di rischio nel 2011
Prima di esaminarle va ricordato che, con la graduale entrata a regime del sistema contributivo, la sostenibilità finanziaria di lungo termine della spesa per pensioni sarà garantita per definizione: il contributivo è disegnato in modo tale che ogni livello di spesa sarà, in misura attuarialmente neutrale, compensato da un analogo livello di entrate contributive. La crescita di breve e medio periodo della spesa pensionistica è stata d’altro canto fortemente contenuta dal continuo innalzamento dell’età pensionabile, culminato nella riforma del 2011.
Tornando alla divergenza va anzitutto considerato che l’Italia è caratterizzata da una popolazione più anziana rispetto agli altri partner comunitari). Comunque, nella voce “Old age” di Esspros (quella su cui si basano i confronti fra paesi), oltre alle pensioni sociali e ad altri sussidi (il 4,3% della spesa totale), sono i incluse anche le erogazioni per trattamenti di fine rapporto privati e pubblici (Tfr e Tfs, una peculiarità italiana), che nel 2011 ammontavano all’11.6% della spesa totale. Come è noto, tali erogazioni costituiscono una forma di salario differito e non una misura di carattere previdenziale a tutela del rischio di vecchiaia; infatti, esse sono disponibili in qualsiasi momento si interrompa la relazione contrattuale (anche ben prima del pensionamento) e possono essere anticipate in presenza di specifiche esigenze del lavoratore (spese mediche ed acquisto della prima casa).
I confronti internazionali risentono anche del tipo di strumento scelto dai vari paesi per fronteggiare varie tipologie di rischio sociale (ad esempio, povertà o disoccupazione dei lavoratori anziani). Storicamente, a causa di limiti strutturali del sistema di welfare, l’Italia ha fatto ricorso al sistema pensionistico (anche mediante pensionamenti anticipati) per far fronte ad esigenze assistenziali ed occupazionali. Diversamente, altri paesi (soprattutto nel Nord Europa), in caso di uscita anticipata dall’attività, erogano generosi sussidi di invalidità o disoccupazione, che non sono contabilizzati nella spesa previdenziale, pur svolgendo una funzione del tutto analoga alle pensioni di anzianità.
Va anche considerato che il carico effettivo per il bilancio pubblico dipende dal grado di imposizione fiscale sulle prestazioni erogate. Quest’ultimo differisce significativamente nei vari paesi: in Italia le pensioni sono soggette alle normali aliquote Irpef mentre altrove (in primis in Francia e Germania) la loro tassazione è fortemente agevolata. Se si considera la spesa al netto delle imposte, le differenze fra paesi risultano molto meno evidenti.
In generale, per valutare l’effettivo impatto della spesa sociale sul bilancio pubblico bisognerebbe detrarre dalla spesa le imposte dirette e indirette ad essa connesse e aggiungervi gli esborsi (in termini di minori entrate) derivanti dalle agevolazioni fiscali offerte a chi partecipa a fondi sanitari e previdenziali privati. Inoltre, per presentare confronti internazionali esaustivi, si dovrebbe tener conto anche della spesa privata per prestazioni di protezione sociale (riguardante soprattutto le pensioni erogate dai fondi privati e la spesa privata per sanità e assistenza da parte delle famiglie), dal momento che il finanziamento di tale spesa va a incidere sul costo del lavoro e sulla competitività di un paese.
Da qualche anno l’Ocse rielabora alcune statistiche relative alla spesa sociale al lordo e al netto delle componenti private e dell’imposizione fiscale che consentono di valutare quanto incidano nei confronti internazionali sia i diversi meccanismi di imposizione e agevolazione fiscale sia il trattamento riservato agli schemi privati (figura 4, riferita al 2009). Con riferimento alla sola spesa pubblica lorda (quella solitamente presa in esame nei confronti internazionale), le differenze fra paesi risultano sostanziali e Stati Uniti e Regno Unito appaiono come outliers. Tuttavia, l’aggiunta della spesa sociale privata modifica completamente il quadro e i due paesi Anglosassoni cessano di apparire parsimoniosi. Infine, i risultati cambiano significativamente se dalla spesa si sottraggono le entrate fiscali ad essa corrispondenti (in Italia la quota di quota di imposte dirette sulle prestazioni sociali è molto alta, inferiore soltanto a quelle della Svezia) e si aggiungono le agevolazioni fiscali. In particolare, la spesa sociale netta italiana in rapporto al Pil (25,5%) risulta superiore, e di poco, soltanto a quella spagnola (25,2%) mentre è di poco inferiore a quella svedese (26,1%) e ampiamente inferiore a quella di Francia (32,1%), Stati Uniti (28,9%), Regno Unito (27,7%) e Germania (27,5%).
Figura 4: Spesa sociale netta e lorda nel 2009 (in percentuale del PIL)
Per concludere, l’osservazione dei dati Eurostat e Ocse mostra come in comparazione internazionale la spesa sociale italiana non risulti elevata, soprattutto se viene valutata in termini pro capite piuttosto che in rapporto al Pil o se, seguendo la metodologia suggerita dall’Ocse si considera la spesa netta, che tiene conto anche delle componenti private e delle entrate fiscali. Considerando il modo in cui vengono contabilizzate, nei vari paesi, le spese per le diverse componenti della protezione sociale risulta, poi, molto attenuata l’impressione di un’eccessiva concentrazione, nel nostro paese, della spesa sociale nel comparto pensionistico.