Solidarity and Responsability. Il Nuovo Patto Europeo sulla Migrazione e l’Asilo

Rama Dasi Mariani esamina la recente proposta di un nuovo accordo europeo sulle migrazioni che modifica il Regolamento di Dublino. Dopo aver richiamato i principi più importati di questo Regolamento, Mariani illustra le novità che si intende introdurre e la loro capacità di dare soluzione alle criticità a cui il vecchio accordo aveva portato. La sua conclusione è che la strada da percorrere per l’integrazione e la coesione è ancora lunga e questa proposta è soltanto un nuovo punto di partenza.

“È giunto il momento di affrontare la sfida di gestire la migrazione congiuntamente, con il giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità”. Così la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha presentato il 23 Settembre scorso in conferenza stampa la proposta per un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo. La proposta era attesa da tempo, e a lungo il tema è stato al centro delle negoziazioni dei legislatori. Di riforma, infatti, si era iniziato a parlare già nel 2015, l’anno in cui è scoppiata la crisi europea dei migranti.

Da allora i passi in avanti per un nuovo accordo sulla gestione delle domande di protezione internazionale sono stati pochi. Nel 2016, subito dopo lo scoppio della crisi, era stata avanzata un’altra proposta, che però non aveva avuto nessun seguito, forse a causa del meccanismo di ricollocamento forzato dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. Secondo il nuovo disegno, la distribuzione degli arrivi su tutto il territorio dell’Unione resta su base volontaria, ma a questo si affianca il meccanismo di solidarietà e contribuzione che è illustrato in questo articolo.

Figura 1: Flussi in entrata nel 2018, divisi in base alla ragione della migrazione

La Fig. 1 mostra i flussi migratori in entrata nell’Unione Europea del 2018. Il 38% degli ingressi è stato motivato da ragioni familiari (ricongiungimenti), il 15% dal lavoro e l’8% ha fatto richiesta di protezione internazionale. I punti più dibattuti delle politiche comunitarie in tema di migrazione hanno sempre riguardato quest’ultima categoria ed è principalmente sull’accoglienza dei richiedenti asilo che si attendeva una riforma.Sempre il tema della protezione internazionale è, in questi giorni, al centro delle cronache italiane per la recente approvazione del decreto sicurezza da parte del Consiglio dei Ministri. Il nuovo testo di legge prevede un maggior potere delle Commissioni territoriali, organismi designati dall’UNHCR e deputati alla valutazione delle richieste di asilo. Di questo, però, il presente articolo non si occupa, ma si concentra sulle novità proposte dalla Commissione Europea per la gestione del fenomeno a livello comunitario.New Pact of Migration and Asylum.La proposta presentata il 23 Settembre sembra fondarsi su due elementi chiave: la solidarietà di tutti gli Stati membri nella gestione dei flussi in entrata; la necessità di ricreare un sistema di fiducia tra gli stessi Stati membri e tra questi e i cittadini europei. Per capire i due punti è necessario fare un passo indietro e ricordare come il quadro normativo del Regolamento di Dublino abbia fatto sorgere dei sentimenti di tensione e sfiducia all’interno dell’Unione.Formalmente chiamato Regolamento UE n. 604/2013, è un regolamento dell’Unione Europea che stabilisce “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide”. Il principio fondamentale è il seguente: il primo Stato membro in cui viene registrata una richiesta di asilo o vengono rilevate le impronte digitali è responsabile della richiesta d’asilo.Il principio del “primo ingresso illegale” ha generato pressioni sugli Stati di frontiera (Grecia, Spagna e Italia), i quali negli anni hanno chiesto a più riprese una maggiore solidarietà europea nella gestione degli arrivi. Dal canto loro gli altri membri dell’Unione hanno accusato gli Stati di frontiera di eludere la registrazione delle impronte digitali di alcuni richiedenti asilo al fine di evitare di dover processare tutte le richieste.Stando ai dati, il sistema sembra effettivamente in stallo. Da Gennaio 2018 a Marzo 2020, sono state processate in media 50/60 mila richieste al mese, ma, come mostra la Fig. 2, lo stock di richieste pendenti è rimasto sempre stabile oltre le 900mila unità.

Figura 2: Richieste di protezione internazionale pendenti e processate da Gennaio 2018 a Marzo 2020

La solidarietà: come si articola la nuova proposta?Tra gli strumenti che il nuovo patto propone di mettere in campo, vi è l’introduzione di una fase preliminare rispetto al normale procedimento di valutazione delle domande di protezione internazionale. Questa consta di due elementi:
  1. Un pre-entry screening fuori dai confini dell’Unione, ossia in mare o al di là delle frontiere terresti, che consiste in un’identificazione, un controllo sanitario, un controllo di sicurezza, la registrazione delle impronte digitali e l’inserimento di tutti questi dati nel database Eurodac;
  2. Una new Asylum Procedures Regulation, sulla base della quale le richieste vengono prima di tutto divise tra quelle che hanno fondamento, e quindi un’alta probabilità di essere accolte, e quelle che, invece, non hanno alcun diritto. Con le seconde si procede al rimpatrio diretto.
In questa fase preliminare sarà necessario il lavoro delle agenzie europee che già si occupano in vario modo della gestione dei flussi migratori, e, dunque, rafforzarne i mezzi operativi. Tra queste ricordiamo Frontex, attiva nelle operazioni di ricerca e salvataggio, e lo European Support Office, situato a La Valletta (Malta).Nel testo della proposta non viene detto nulla su cosa succede dopo la nuova fase preliminare e, perciò, si suppone che tutto resti come prima. In altre parole, resta valido il principio del “primo ingresso illegale”, quindi dopo le operazioni alla frontiera le richieste iniziano il vecchio procedimento. La contribuzione da parte degli Stati membri che non sono approdo dei flussi resta su base volontaria.Rispetto alla volontarietà della contribuzione, la proposta cerca però di aggiungere un elemento. Lo strumento legislativo con cui si intende regolare un nuovo meccanismo di solidarietà tra Stati membri è l’Asylum and Migration Management Regulation. Il testo di legge, non ancora approvato, riconosce che “[…] nessuno Stato membro dovrebbe assumersi una responsabilità eccessiva e tutti gli Stati membri dovrebbero contribuire costantemente alla solidarietà”, ma il meccanismo di solidarietà è previsto solo in situazioni di crisi e viene attivato dopo la segnalazione del Paese in difficoltà e l’accertamento da parte della Commissione delle necessità dello Stato che lo ha richiesto. A questo punto gli altri Stati membri possono scegliere se accogliere parte dei richiedenti asilo o offrire altre forme di sostegno, economico o con mezzi, nelle procedure operative di valutazione delle richieste, nei ripatri o anche nella costruzione di centri di accoglienza.Si tratta di una proposta a cui la Commissione stava lavorando da dicembre e che verrà testata attraverso un progetto pilota a Moria (Lesbo). L’impressione è che è stata presentata ora perché è l’unico progetto in essere, sebbene ancora in fase preliminare, per dare risposta all’emergenza nata nell’isola greca a seguito dell’incendio che ha lasciato senza dimora le migliaia di rifugiati che erano accolti lì. Gli Stati membri sono invitati a prendere questa proposta come base per un accordo entro la fine dell’anno.Il modo in cui l’opinione pubblica ha accolto la proposta del nuovo sistema di gestione delle richieste di asilo è stato variegato. Un recente articolo del Financial Times ha definito la proposta della Commissione “[…] squallida tanto quanto i campi profughi” e riflette il sentimento di chi si attendeva una presa di posizione del governo europeo a favore dell’accoglienza. Al contrario, il Migration Policy Institute riconosce ad Ursula Von Der Leyer l’abilità di aver trovato un punto d’incontro tra le visioni tanto distanti degli Stati membri. Un equilibrio delicato quanto per nulla scontato. D’altra parte, come sottolinea Maurizio Ambrosini su Welforum, non ha neanche senso spedire i rifugiati in Paesi ostili in cui le prospettive di integrazione sono peggiori o dove gli stessi non vogliono andare.In tutto questo dibattito, infatti, ci si è dimenticati di chiedere quali sono le preferenze dei richiedenti asilo. Sicuramente chi scappa dal proprio paese “nel giustificato timore d’essere perseguitato” (art. 1 Convenzione di Ginevra) non avanza pretese, ma potrebbe comunque esprimere delle destinazioni preferite che talvolta troverebbero il matching dello Stato membro aperto all’accoglienza. Questo era il meccanismo alla base della proposta pubblicata tempo fa sul Menabò.La migrazione volontaria.Si tratta di un patto sulla migrazione e sull’asilo, ma di migrazione, quando è il frutto di una scelta libera, si parla poco. Tuttavia, come mostrato dalla Fig. 1, solo l’8% dei flussi del 2018 era motivato da “ragioni forzate”. Per quanto riguarda i flussi regolari, ogni Stato membro resta libero di scegliere il volume dei flussi provenienti dai Paesi terzi. Il patto, però, vuole promuove due nuove azioni rivolte alla mobilità dei “talenti” e all’attrazione dei lavoratori nei settori in cui vi è carenza di offerta di lavoro. La prima, denominata Talent Partnership, è rivolta ai flussi interni e ha l’obiettivo di incentivare i programmi già in essere come i programmi Erasmus e Leonardo. La seconda, chiamata Skill and Talent Package, è un sistema di ricerca ed ammissione di lavoratori provenienti da Paesi terzi nelle occupazioni in cui esiste la maggiore carenza di offerta nativa. Il sistema dovrebbe servire a favorire il match tra i lavoratori che vogliono fare il loro ingresso nel mercato del lavoro europeo, iscrivendosi in maniera autonoma a delle liste gestite dalla Commissione, e i Paesi europei che lamentano una carenza di offerta, dichiarando le figure professionali più ricercate attraverso la compilazione di un documento denominato Talent Pool.La responsabilità: il rapporto tra le istituzioni e i cittadini europei.La migrazione è un fenomeno che ha sempre suscitato emozioni legate alla paura, all’ostilità, al senso di identità e all’impulso di assistenza. È allo stesso tempo un fenomeno complesso, i cui effetti sono molteplici ed eterogenei. Per questi motivi di fronte all’aumento delle pressioni, anche mediatiche, legate al fenomeno, le istituzioni hanno mostrato difficoltà nella gestione e i movimenti politici sono stati privi di risposte. Davanti ai drammi che si consumavano presso gli hotspot di Lampedusa e Lesbo oppure ai confini con la Turchia e nelle acque del Mediterraneo, molte forze politiche hanno sostanzialmente ignorato il fenomeno e altre lo hanno caricato di connotazioni negative, cavalcando i sentimenti di paura e tensione.In tema di migrazione la sfida più grande per l’Unione Europa e gli Stati che la compongono è proprio quella di favorire e consolidare la coesione. La proposta del nuovo patto si rivolge, infatti, anche alla società civile, incoraggiandola ad estendere le pratiche di accoglienza che sono nate spontaneamente. Tuttavia, per favorire la coesione non basta di certo mostrarsi duri nei controlli e chiedere la collaborazione di chi già la offre; più in generale non ci si può limitare a gestire la fase di arrivo.Sono necessarie azioni più incisive e politiche di integrazione nel sistema scolastico, nel mondo del lavoro e nelle città. Azioni e politiche che redistribuiscano i costi e i benefici dell’immigrazione. Solo così l’Europa potrà combinare i valori liberali di cui si fa portavoce con le concrete esigenze di un sistema socialmente e politicamente sostenibile.

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