Smart working e il rischio che a conciliare famiglia e lavoro siano solo le donne

Daniele Checchi, Paola Biasi e Maria De Paola partendo dalla diffusa idea che lo smart working consenta di conciliare tempi di lavoro e di vita, si chiedono se in mancanza di un’equilibrata suddivisione del lavoro domestico e di cura, le donne non saranno ancora svantaggiate. Al riguardo, riportano i risultati di un’indagine condotta dall’INPS secondo cui le donne apprezzano meno degli uomini lo Smart Working, e ciò avviene soprattutto quando non possono contare sulla collaborazione dei familiari nella gestione degli impegni domestici.

* Questo articolo esce in contemporanea anche su lavoce.info (www.lavoce.info)

I suoi autori sono: Paola Biasi, Daniele Checchi, Maria De Paola 

Le esigenze di distanziamento sociale connesse al contenimento del Covid-19 hanno avuto un forte impatto sull’organizzazione del lavoro, tanto da far prefigurare un “new normal” con largo ricorso al lavoro agile e al remote working anche nel futuro e a prescindere dall’emergenza sanitaria. Come molte forme di lavoro flessibile, il lavoro a distanza può facilitare la conciliazione tra tempi di lavoro e di vita e accrescere il benessere dei soggetti coinvolti. Tuttavia, in mancanza di una equilibrata suddivisione del carico di lavoro domestico e di cura, le donne rischiano di sopportare un peso eccessivo. Questo potrebbe spiegare perché, come emerge da un’indagine condotta dall’INPS, le donne sembrano apprezzare meno degli uomini i vantaggi derivanti dallo Smart Working.

Il lavoro a distanza è normalmente indicato come strumento di bilanciamento vita-lavoro e, in ottica di superamento dei divari di genere, come elemento in grado di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e le loro prospettive di carriera. Grazie ad una riduzione del commuting consente di rimuovere una fonte di stress, liberando tempo indirettamente legato al lavoro che può pertanto essere dedicato ad altre attività; inoltre, almeno potenzialmente, amplifica i margini di libertà nella gestione delle attività lavorative e non lavorative, facilitandone l’organizzazione in un modo più consono alle esigenze individuali e familiari. Le donne, soprattutto se madri, tendono infatti a valutare positivamente il lavoro da casa che permette loro una più agevole integrazione tra domini familiari e professionali. Allo stesso tempo, però, il lavoro a distanza può contribuire a cristallizzare una divisione tradizionale dei ruoli all’interno delle famiglie, con effetti controversi, tanto in termini di benessere, quanto di produttività e quindi di prospettive di sviluppo professionale delle donne. A conferma di ciò, molti studi (si veda ad esempio qui) hanno mostrato che durante il lockdown, le responsabilità domestiche e di cura delle donne sono aumentate e ciò ha riguardato anche quelle che hanno continuato a lavorare da remoto (evidenza in tal senso è disponibile ad esempio per Spagna, Italia e Regno Unito).

Per capire meglio le dinamiche che possono creare una distribuzione asimmetrica dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dallo SW abbiamo usato i dati di un’indagine condotta dall’INPS tra Agosto e Settembre 2020 a cui ha risposto circa il 42% del personale, per un totale di 11441 rispondenti. In termini generali, emerge un atteggiamento sostanzialmente positivo, che si riflette nell’idea diffusa che lo SW sia da considerare una opportunità anche in futuro, a prescindere dalle esigenze di contenimento della pandemia. Coerentemente con i risultati delle rilevazioni a livello europeo, i rispondenti indicano come opzione preferita l’uso dello SW in forma parziale, alternando quindi lavoro da casa con rientri periodici in ufficio, in quasi il 54% dei casi; il 30% circa opterebbe invece per continuare a lavorare in forma agile in via esclusiva, per l’intero orario di lavoro, quindi come “nuova” modalità ordinaria di svolgimento della propria attività.

La propensione a lavorare in SW è relativamente meno intensa per i dipendenti over 55, che mostrano una preferenza più marcata per schemi tradizionali, con SW residuale o nullo. Allo stesso modo, management e responsabili sono meno inclini a scegliere l’opzione estrema dello SW in forma esclusiva rispetto a chi svolge compiti più operativi. Vari aspetti “materiali” influenzano la propensione a continuare ad utilizzare lo SW: in primis la distanza del luogo di residenza dal posto di lavoro (lo SW riducendo i costi monetari e non monetari del commuting viene particolarmente apprezzato da chi risiede più lontano); rilevante è anche la disponibilità di spazi adibiti in via esclusiva allo SW e di attrezzature informatiche adeguate. Tendono a preferire lo SW i dipendenti che hanno figli di età inferiore a 10 anni e che devono prendersi cura di anziani. Al contrario, coloro che vivono soli tendono ad avere una preferenza meno marcata verso questa modalità di lavoro.

Per quanto riguarda le differenze di genere, sorprendentemente le donne hanno una propensione positiva a continuare a lavorare in SW minore rispetto agli uomini (il 32.5% degli uomini continuerebbe a lavorare in SW in forma esclusiva contro il 27.9% delle donne). Alcune interessanti differenze di genere emergono anche esaminando le risposte fornite ad una serie di domande in cui si chiedeva di valutare l’aderenza tra la propria esperienza e alcuni enunciati riguardanti aspetti positivi e negativi dello SW. Le figure 1 e 2 riportano la percentuale di soggetti che hanno indicato di essere d’accordo o molto d’accordo con gli aspetti proposti sul totale delle risposte valide, divisi per genere. Come si nota dalla figura 1, c’è una differenza sistematica tra uomini e donne che segnala una maggior soddisfazione dei primi. Coerentemente, quando si guardano gli aspetti negativi dello SW (figura 2), l’esperienza femminile, per quanto positiva (gli aspetti positivi raccolgono più consensi rispetto a quelli negativi per entrambi i generi) sembra connotarsi come più difficoltosa rispetto a quella maschile.

 Figura1

Figura2

Il minore apprezzamento delle donne dell’esperienza di SW potrebbe dipendere dal fatto che, restando a casa, si sono accollate in maniera maggiore rispetto agli uomini gli impegni domestici e di cura. Per verificare questa ipotesi, attraverso un’analisi econometrica che usa come variabili dipendenti degli indicatori sintetici dei vantaggi e degli svantaggi percepiti dello SW, abbiamo cercato di capire se il divario di genere evidenziato in precedenza si riduce al crescere del livello di collaborazione nella gestione del lavoro domestico all’interno del nucleo familiare. I nostri risultati mostrano che la scarsa collaborazione domestica ha un impatto negativo sulla qualità dell’esperienza di SW e tale effetto è particolarmente avvertito dalle donne. Ciò supporta l’idea che lo SW possa avere effetti asimmetrici in termini di benessere e soddisfazione individuale e che possa essere in grado di generare nuove forme di conflitto. Se il lavoro da remoto è destinato a rimanere uno strumento largamente utilizzato anche a prescindere dall’emergenza sanitaria, è opportuno considerarne attentamente gli impatti controversi che potrebbe avere e le interazioni con le dinamiche intrafamiliari, per scongiurare il rischio che in una prospettiva di genere questo “new normal” si tramuti rapidamente in “the same old story”.

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