Sistema tributario e crisi da emergenza sanitaria: prime riflessioni

Bruno Bises sostiene che per affrontare le più serie conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria (sostegno a attività produttive e lavoratori maggiormente colpiti, equa ripartizione dei relativi costi, sostegno generale alla ripresa economica) è essenziale un adeguamento del sistema tributario e indica gli interventi che considera più importanti - relativi alle imposte sul reddito, sul patrimonio e su consumi e servizi, nonché agli incentivi fiscali – e che nelle attuali condizioni potrebbero raccogliere il necessario consenso politico.

Situazione economica e bilancio pubblico a seguito dell’emergenza sanitaria. Superata l’emergenza sanitaria saranno chiare le dimensioni quantitative dei suoi effetti sul sistema economico e sul bilancio pubblico. Già ora però ne sono evidenti le principali direzioni.

La caduta della produzione e delle vendite sta comportando una diminuzione del fatturato nella gran parte dei settori produttivi e dei redditi di numerose categorie di lavoratori, con conseguenti riduzione del reddito nazionale ed aumento delle disuguaglianze (o creazione di nuove), in particolare tra lavoratori (regolari/irregolari, dipendenti/autonomi, pubblici/privati, a tempo indeterminato/determinato, ecc.).

Per il bilancio pubblico le principali conseguenze sono un aumento della spesa per l’intero comparto della sanità, per il sostegno a famiglie, lavoratori e imprese, per forze di polizia e simili (mentre presumibilmente scarsamente influenzata è la spesa negli altri settori) e, sul lato delle entrate, un calo del gettito di tutte le principali imposte: IRPEF, IRES, IVA, IRAP, accise, imposte di fabbricazione.

Via via che evolve la situazione sanitaria e, di conseguenza, quella economica, si modifica tuttavia il quadro delle esigenze economiche prioritarie. Se solo 4 o 5 settimane fa queste potevano apparire prevalentemente costituite dal sostegno alle attività produttive e alle categorie di lavoratori più colpite dall’emergenza economica e dall’equa ripartizione dei relativi costi, ora è sempre più evidente che a queste esigenze si aggiunge la necessità di un sostegno generale alla ripresa economica sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda.

All’ampliamento della forbice spese-entrate del bilancio pubblico si deve pertanto inizialmente fare fronte con un aumento dell’indebitamento, ma si può immaginare che in una seconda fase possa essere necessario il ricorso, ancorché parziale, alla copertura fiscale.

Un ruolo essenziale per affrontare queste esigenze – nei rispettivi tempi – lo svolge il sistema tributario.

Interventi sul sistema tributario sono pertanto necessari avendo come obiettivi fondamentali: 1) il sostegno alla ripresa delle attività produttive e delle esportazioni, anche per garantire di nuovo opportunità di reddito alle famiglie; 2) un’equa distribuzione dell’onere fiscale, alleviandone il carico sulle fasce della popolazione già deboli o particolarmente colpite dalla crisi.

Questi interventi – lungo le linee esposte qui di seguito – offrono anche l’occasione per procedere a quella riforma del sistema tributario di cui da tempo viene rilevata l’esigenza ed alla cui realizzazione è finora mancato il consenso politico.

Imposte sul reddito e sul patrimonio. Le proposte, anche recenti, di riforma dell’IRPEF hanno prevalentemente riguardato la curva della progressività, così da eliminare gli effetti perversi della combinazione di aliquote, deduzioni e detrazioni e ridurre progressività e prelievo sulle fasce più basse di reddito. Ma tale nuova struttura si applicherebbe sempre ad una base imponibile costituita ormai in larga prevalenza da redditi da lavoro dipendente, pensioni e redditi da lavoro autonomo superiori ad una certa soglia.

L’IRPEF ha infatti subito, in particolare nel corso dell’ultimo decennio, una progressiva erosione della sua base imponibile, con la sottrazione alla progressività, o all’imposizione tout court, di componenti di reddito personale derivanti dall’impiego del capitale, ma anche, con la flat tax, dal lavoro (autonomo). Il risultato è una sostanziale parcellizzazione dell’IRPEF in tante imposte cedolari, che comporta inefficienze ed iniquità.

Si è quindi davanti a due alternative. Si può consolidare l’erosione della base imponibile e abbandonare il principio di onnicomprensività dell’imposta. Ma, ricordando che la riforma tributaria elaborata e realizzata circa cinquant’anni fa era nata proprio per portare a unità – a fini di efficienza e di equità – l’imposizione sul reddito all’epoca articolata in un insieme di imposte cedolari, si può decidere di invertire l’attuale tendenza.

Una riforma dell’IRPEF dovrebbe pertanto riguardare sia la struttura della progressività – includendo una revisione delle tax expenditures (il cui godimento è crescente con il reddito) per ridurle a poche essenziali – che la base imponibile, recuperando il principio di onnicomprensività dell’imposta.

Non va infatti sottovalutato il contributo dei redditi di capitale al risultato complessivo di progressività dell’imposta, specie considerata la loro dinamica – in crescita negli ultimi anni – rispetto ai redditi di lavoro – fenomeno presumibilmente accentuatosi a seguito della corrente crisi.

Si tratterebbe quindi, in particolare, di reintrodurre tutti i redditi di capitale immobiliare nella base imponibile dell’IRPEF, incluso quello imputato dell’abitazione principale, pur ipotizzando per i proprietari meno abbienti appropriate detrazioni.

Parallelamente andrebbe reintrodotto il valore dell’abitazione principale nella base imponibile dell’IMU, la cui esclusione, nel 2008 (all’epoca si trattava dell’ICI) e nel 2014, oltre a costituire un unicum nel panorama internazionale delle imposte dirette a finanziare gli enti locali, comportò conseguenze negative in termini di efficienza e di equità ed inoltre richiese la sostituzione del relativo gettito con trasferimenti dallo Stato ai comuni. Tale reintroduzione – già una volta operata nel 2012 in seguito all’emergenza finanziaria, e, presumibilmente per quel motivo, senza particolari reazioni da parte dei contribuenti – darebbe luogo ad un consistente gettito, sia pur tenendo conto delle necessarie deduzioni per i nuclei familiari meno abbienti. La dimensione di tale entrata aggiuntiva potrebbe permettere allo Stato un recupero delle risorse finora destinate ai trasferimenti ai comuni ma anche eventualmente – a seconda delle aliquote fissate – la destinazione di una parte del gettito allo Stato stesso.

Quanto a misure straordinarie di imposizione sui redditi o sui patrimoni, è necessario valutare l’opportunità – e la tempistica – di una loro introduzione in relazione all’andamento della situazione macro-economica (e alle già accennate esigenze di sostegno alla domanda) oltre che alle esigenze distributive e di bilancio pubblico, e a seguito di analisi di obiettivi, forme, meccanismi tecnici di attuazione ed effetti micro- e macro-economici, tenendo inoltre in debito conto gli effetti di annuncio.

Imposte su consumi, servizi, fonti energetiche. Anche sulle imposte indirette si dovrebbe agire. Nel caso dell’IVA, semplificazione e contrasto all’evasione – della quale è alto il rischio con la ripresa delle attività economiche – richiederebbero il passaggio delle aliquote dalle attuali quattro a due e la riconsiderazione dell’elenco dei beni e servizi soggetti all’aliquota ridotta; potrebbe inoltre essere riconsiderato il trattamento dei beni e servizi esenti da imposta. D’altro canto, andrebbe accresciuto il ruolo delle imposte sulle fonti energetiche non rinnovabili, anche per ridurre l’inquinamento ambientale.

Una web tax è stata introdotta nel nostro paese nel 2018 (e mai entrata in vigore) e nel 2019. Di quest’ultima non sono stati (a ragione) emanati i decreti attuativi – e quindi non è operativa – in attesa di un accordo internazionale in sede di OECD-G20. Malgrado in questo periodo si stiano intensificando le vendite online e l’impiego dei social media, con conseguenti accrescimenti di potenziali vantaggi per gli operatori di servizi in rete, e malgrado una tale imposta possa fornire un gettito consistente, è sicuramente preferibile che la sua introduzione sia concordata a livello internazionale. Il relativo accordo – programmato entro il 2020 – pur largamente auspicabile, è però ben difficilmente realizzabile entro quest’anno. In mancanza di tale accordo, sarebbe opportuna l’introduzione dell’imposta da parte dell’Unione Europea – lungo le linee del progetto di direttiva del 2018 – o, in ultima analisi, anche solo da parte del nostro paese.

Incentivi fiscali. Il sistema di incentivi fiscali a favore del settore produttivo dovrebbe essere potenziato in ragione di tre finalità, essenziali per la ripresa economica: innovazione tecnologica (anche per rafforzare la capacità di esportazione), conservazione dei livelli di occupazione e assunzione di nuovi lavoratori, apporto di capitale privato.

La legge di bilancio per il 2020 ha introdotto un credito d’imposta per le spese delle imprese in ricerca e sviluppo, innovazione e design, complessivamente più favorevole alle imprese rispetto alla precedente normativa. La decorrenza, tuttavia, prevista a partire dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione del credito, potrebbe, a fronte di adeguate garanzie, essere anticipata a quello in cui si matura il credito.

Per il secondo obiettivo si potrebbe pensare a forme di fiscalizzazione degli oneri sociali.

Infine, andrebbe favorita la capitalizzazione delle imprese – i cui livelli di indebitamento sono destinati ad accrescersi fortemente in questo periodo – attraverso misure di sostegno all’apporto di capitale proprio nelle imprese, quali l’ACE (recentemente abolita, malgrado avesse dato buoni risultati) o analoghe – e più consistenti – forme di detassazione degli investimenti nel capitale delle imprese.

In conclusione. Gli interventi sopra delineati potrebbero permettere di accrescere il gettito e al tempo stesso costituire un supporto alla ripresa economica e giovare all’equità del sistema tributario.

L’introduzione di misure fiscali indotte dall’emergenza sanitaria potrebbe contribuire, grazie al relativo consenso politico, a riformare il sistema tributario secondo linee di maggiori efficienza ed equità. Come nel 1992 (con l’introduzione dell’imposta straordinaria sugli immobili, successivamente stabilizzata come ICI) e nel 2012 (come sopra accennato), la crisi economica potrebbe infatti rendere politicamente accettabili interventi di razionalizzazione del sistema in precedenza ritenuti inattuabili. Questa occasione non andrebbe persa.

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