Scuole e sicurezza: che fare?

Marcello Basili e Maurizio Franzini tornano sul tema delle decisioni razionali di fronte alla pandemia prendendo spunto anche da cosa fece il Protomedicus Q. T. Angelerio alla fine del Cinquecento per contrastare la peste ad Alghero. Basili e Franzini, dopo aver sostenuto che una decisione razionale e democratica richiede di individuare e confrontare i rischi e i costi delle diverse soluzioni, si soffermano sul problema della riapertura delle scuole sottolineando la necessità di un insieme coordinato di interventi per realizzare le migliori combinazioni di costi e rischi.

Qualche settimana fa la BBC ha pubblicato un articolo sul manuale scritto da Quinto Tiberio Angelerio, un Protomedicus nato a Belloforte nel 1532 che studia fisiologia e medicina a Napoli e Padova e, dopo vari incarichi, nel 1582, anno in cui si manifesta il primo caso di peste nella città, viene assunto dalla municipalità di Alghero con un contratto biennale per la cifra di 100 scudi. Nel 1588 Angelerio pubblica il resoconto della sua esperienza con il titolo di Ectypa Pestilentis Status Algheriae (l’unica copia è custodita nella Biblioteca Nazionale di Francia). Nel racconto medico-scientifico di quei terribili mesi, sono elencate le 57 norme per il contenimento e la mitigazione dell’epidemia di peste che stava funestando la città di Alghero. Angelerio, udite udite!, proibì non solo di recarsi da una casa all’altra, ma anche tutti gli incontri, i balli e gli intrattenimenti, stabilì che solo una persona per famiglia dovesse uscire per fare la spesa e suggerì che ciascuno dovesse portare con se una canna lunga sei piedi (2 metri circa) per far rispettare il distanziamento. La peste uccise circa il 70% degli abitanti di Alghero, ma l’adozione delle norme di Angelerio, nonostante le proteste iniziali e persino un tentativo di linciaggio da parte dei concittadini, consentì di circoscrivere l’epidemia, salvaguardando i paesi vicini, e di debellarla in 8 mesi.

Non è dato di sapere se Angelerio, per prendere le sue decisioni, disponesse di qualche ignoto antenato degli odierni algoritmi e se tenesse conto, ed eventualmente come, anche dei costi, economici e sociali, generati dalle sue prescrizioni. Non sappiamo, cioè, se – almeno nella sua valutazione – quelle decisioni fossero le migliori possibili una volta tenuto conto di tutti i costi e di tutti i rischi.

E, purtroppo, ai nostri giorni, non sappiamo se chi prende le decisioni e chi le contesta tenga conto di tutti i costi e di tutti i rischi o, per qualche motivo, veda solo gli uni o gli altri. Da questo punto di vista appare piuttosto istruttiva la discussione sulla riapertura delle scuole che, estremizzando un po’, sembra svolgersi tra chi vede solo costi della chiusura e chi ricorda solo i rischi della riapertura, con apparente prevalenza dei primi. Ma, purtroppo, vi sono gli uni e gli altri.

Vi sono chiarissimi costi a tenere le scuole chiuse. Costi immediati ma anche costi futuri, collegati al ritardo di apprendimento che colpirà soprattutto coloro che provengono da famiglie in condizioni economiche svantaggiate e che avrà certamente effetti sul reddito che essi guadagneranno nell’intero arco della loro vita nonché sulle prospettive di sviluppo di tutto il paese.

Ma vi sono anche rischi rilevanti per la salute nel tenere le scuole aperte; disconoscerli non aiuta a prendere una buona decisione. Contrariamente a quanto talvolta si afferma, i dati ci dicono che anche i ragazzi si infettano. Quelli diffusi dall’ISS degli ultimi 30 giorni indicano che nella classe di età tra 0-18 anni si sono avuti oltre 49.000 contagi, il 12,5% del totale; complessivamente si sono avuti circa 280.000 contagi nonostante la didattica a distanza, il peso di queste coorti è attorno al 15%. E’ vero che il tasso di letalità è praticamente nullo (0,01% per la coorte 0-9 anni e 0% per la coorte 10-18 anni) ma la trasmissione del virus è un problema ed i giovani potrebbero trasformarsi in diffusori della malattia. Potrebbe esservi un problema ulteriore, per gli stessi ragazzi: il ripresentarsi di malattie indotte dal virus a distanza di tempo dal contagio, un’eventualità che diversi indizi suggeriscono di non sottovalutare.

Di fronte a questi costi e a questi rischi si vorrebbe una decisione che si mostri capace di tenere conto di entrambi e, prima ancora, una discussione sulle migliori modalità per assumerla. Sfortunatamente questa discussione non sembra alimentata da molti contributi, e prevale la tendenza a enfatizzare i costi e (ma meno) i rischi come se questo potesse risolvere tutte le difficoltà con cui quella decisione deve misurarsi.

La strategia non può che consistere nella ricerca di soluzioni che limitino, senza però poterli con certezza azzerare, i costi e i rischi. Soluzioni che non possono, dunque, essere di ‘first best’ secondo il linguaggio degli economisti e che, pertanto, andrebbero valutate in base alla loro capacità di assicurare una combinazione accettabile di bassi costi e bassi rischi.

Non vi è dubbio che per ridurre i costi della perdita di apprendimento le scuole devono riaprire ma per contenere i rischi per la salute questa riapertura deve avvenire secondo modalità che possono anche generare altri costi, che in gran parte sono quelli che vengono indicati da chi si dichiara contrario all’una o all’altra di quelle modalità. Sarebbe un grave errore considerare il formarsi di questi altri costi una ragione di per sé sufficiente per scartare soluzioni che sono in grado di assicurare una combinazione di buoni risultati nel piano apprendimento- salute. Quello che occorre è un confronto il più possibile completo e rigoroso dei vari costi e rischi e un robusto modello decisionale.

Proviamo a entrare nel merito, il ritorno a scuola dovrebbe essere garantito rispettando il principio di precauzione in una sua applicazione conservativa. Ciò vuol dire, innanzitutto, distanziamento a due metri e mascherine FFP2.

A giugno 2020 Chu et al riportano su Lancet che, sulla base dell’analisi di 172 studi in 16 paesi in sei continenti, di cui 44 studi comparativi su 25.697 pazienti, “la trasmissione del virus è minore con almeno il distanziamento di un metro…con una protezione che cresce al crescere della distanza (variazione del rischio relativo di 2.02 per metro). L’uso delle mascherine determina una notevole riduzione del rischio di contagio, maggiore con l’uso di N95 [FFP2] o simili rispetto alle mascherine chirurgiche (probabilità >95%)”. Queste evidenze sono state confermate anche da altri studi, ad esempio quello di MacIntyre e Quanyi.

Sembra accertato che le mascherine, specie le FFP2, hanno una rilevante capacità di ridurre i rischi di contagio. Una banale conferma che le mascherine servono viene dal fatto che quest’anno la temuta epidemia d’influenza non si è verificata. Il bollettino Influnet dell’Istituto Superiore di Sanità segnala che nella seconda settimana di gennaio, si sono registrati 1,4 casi di sindromi simil-influenzali per mille assistiti e, in generale, che il livello è rimasto sotto la soglia basale (la soglia basale per la stagione in corso è di 3,16 casi per 1000 assistiti) in tutte le Regioni italiane: “nella 1° settimana del 2021, in Italia sono stati analizzati 121 campioni clinici ricevuti dai diversi laboratori afferenti alla rete InfluNet e, su un totale di 1.450 campioni analizzati dall’inizio della sorveglianza, nessuno è risultato positivo al virus influenzale”. Anche nella seconda settimana di gennaio si sono registrati 1,5 casi per 1000 assistiti. Lo scorso anno nello stesso periodo si registrarono 6,6 casi per mille abitanti. Perché non fare tesoro di questa indicazione e incrementare i livelli di prevenzione per circoscrivere l’azione della SARS-Cov-2?

Una misura precauzionale è, naturalmente, il rafforzamento del trasporto locale che in molti casi si sta verificando e che, ove fosse il caso e dopo attento esame, potrebbe giovarsi di misure ‘originali’ come l’utilizzo di bus attualmente non utilizzati come sono quelli turistici, con l’effetto anche di dare un po’ di ossigeno agli operatori di questo settore in cambio di un servizio sociale.

Utili possono anche essere i test rapidi che alcune regioni stanno realizzando ed espandendo con specifico riferimento agli studenti, ma va tenuto presente che sarebbe necessario sottoporre a test grandissimi numeri di studenti ogni giorno, come richieste un evento dinamico quale è la diffusione del virus.

Un’importante misura precauzionale potrebbe essere l’istituzione di doppi turni (mattina e pomeriggio). I dati del MIUR dicono che nelle scuole pubbliche nell’anno accademico 2020-2021 ci sono 1.612.116 iscritti alla scuola secondaria di primo grado (medie) e 2.635.110 iscritti alla secondaria di secondo grado (superiori). Prevedere almeno per le superiori, ma se necessario si può pensare anche all’ultimo anno delle medie, l’istituzione dei doppi turni (mattina e pomeriggio), almeno fino alla primavera, consentirebbe di realizzare essenziali condizioni di distanziamento. Essa, naturalmente, contribuirebbe anche a migliorare sensibilmente il problema dell’affollamento sui mezzi pubblici nelle ore di punta, altra condizione critica per la diffusione del virus.

La generazione dei baby-boomer è cresciuta frequentando le scuole che imponevano i doppi, ma talvolta anche i tripli, turni. Le coorti di docenti ultra cinquantenni, ma anche di manager, quadri, operai, tecnici specializzati, impiegati, soldati membri delle forze dell’ordine, sanitari ecc. ha frequentato i doppi turni nelle scuole degli anni ‘70/’80 che, dunque, non sono di per sé dannosi per la formazione degli studenti.

Le obiezioni mosse ai doppi turni, al di là della loro ragionevolezza, segnalano qualcosa che non può sorprendere e cioè che questa soluzione avrebbe dei costi. Lo si è già detto: non sembra questo un argomento sufficiente per scartare una soluzione se essa appare globalmente capace di assicurare esiti migliori. Questi costi non devono ricadere soltanto su alcuni soggetti; essi devono essere compensati per quanto è possibile e comunque dovrebbero equamente distribuiti. Ma non possono, di per sé, costituire un ostacolo insormontabile che lascia disponibili solo soluzioni molto più rischiose per la salute o molto più costose per il futuro dei giovani.

Prendere decisioni è quasi sempre difficile. Farlo nelle drammatiche condizioni in cui ci troviamo lo è molto di più. Ma è indispensabile farlo e per farlo bene occorre partire dal riconoscimento che si è chiamati a contemperare obiettivi in conflitto e l’arte di decidere consiste più che mai nel trovare il modo per rendere quel conflitto meno tragico di quanto altrimenti sarebbe. Avere la capacità e le competenze per fare tutto questo appare indispensabile anche per il miglior funzionamento delle democrazie. E non solo di fronte a scelte drammatiche come quelle che impone la pandemia.

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