ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 173/2022

30 Maggio 2022

Sanzioni, ritorsioni e contromisure: presupposti di legittimità della ‘diplomazia coercitiva’

Mirko Sossai si occupa della legittimità delle sanzioni contro la Russia, chiarendo la natura delle diverse modalità di intervento, il ruolo dei vari attori e le divergenze tra paesi nell’interpretazione dell’ordinamento giuridico internazionale.

L’imposizione di sanzioni è stata la principale risposta da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea, insieme ad alcuni altri Paesi, all’aggressione russa dell’Ucraina. Non si tratta di misure del tutto nuove: al contrario, i nuovi pacchetti adottati a partire dalla fine di febbraio si pongono nel solco della continuità con le misure già in vigore sin dall’annessione della Crimea nel marzo 2014. Ne emerge un quadro articolato che comprende sia sanzioni ‘mirate’ contro le élite di governo sia misure di carattere commerciale e finanziario che colpiscono la Russia e il principale alleato, la Bielorussia, nel loro complesso. Sono misure concertate tra i diversi attori coinvolti, ma in ogni caso imposte da questi ultimi in via individuale e unilaterale.

1. La domanda principale a cui gli analisti hanno cercato di rispondere è quale sia l’impatto delle sanzioni e se stiano funzionando. Altre questioni rimangono invece sullo sfondo: eppure si tratta di temi che continuano a segnare il dibattito non solo in sede diplomatica ma anche nella letteratura giuridica. Meno, ad esempio, si è riflettuto su quali siano i presupposti di legittimità delle misure e lo scopo che con esse gli Stati Uniti e l’UE intendono perseguire.

Nel diritto internazionale, in realtà, il termine ‘sanzione’ individua misure adottate nel quadro di un’organizzazione internazionale, come quelle decise dal Consiglio di sicurezza dell’ONU ai sensi dell’art. 41 della Carta. Si utilizzano invece le categorie della ritorsione e della contromisura per giustificare reazioni di tipo decentrato alla commissione di un illecito internazionale. Il motivo per cui molti Paesi sono rimasti tiepidi rispetto all’impiego di “sanzioni” nei confronti della Russia è certo politico ma è anche giuridico: essi dubitano, quando non contestano apertamente, che sia lecito il ricorso, in via autonoma e fuori del sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite, a misure coercitive che violino la sovranità dello Stato colpito, fosse anche per la tutela della pace e di interessi generali della comunità internazionale.

In questi anni, tuttavia, Stati Uniti e UE hanno utilizzato largamente questo strumento di diplomazia ‘coercitiva’, in assenza di un’azione da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, imponendo in parallelo quasi le medesime misure, con un’unica significativa differenza che riguarda la loro applicazione extraterritoriale, di cui si dirà dopo.

Una prospettiva giuridica serve a evidenziare alcuni aspetti caratteristici delle misure restrittive adottate in ambito europeo. Ad esempio, le tensioni emerse rispetto all’approvazione di un sesto pacchetto contro la Russia sono il riflesso del processo decisionale richiesto dai Trattati in questo ambito, che prevede l’adozione di una decisione all’unanimità in seno al Consiglio dell’Unione, nel quadro della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). Il tratto che forse contraddistingue l’azione dell’Unione in questo settore è dato dalla tutela giurisdizionale assicurata dalla Corte di giustizia: il giudice europeo è infatti competente a pronunciarsi sui ricorsi avverso le ‘sanzioni’ presentati da persone fisiche e giuridiche. Si è formata così una cospicua giurisprudenza (su cui v. Beaucillon), anche rispetto alle “sanzioni” contro la Russia, che ha fissato una serie di principi sulla loro natura, le motivazioni alla loro base e i criteri di designazione per l’inserimento nell’elenco dei soggetti colpiti.

Al momento in cui si scrive, in questo elenco costantemente aggiornato sin dal 2014 sono state inserite più di mille persone fisiche e giuridiche: oltre alla leadership di governo, vi figurano membri della Duma di Stato russa, membri del Consiglio di sicurezza nazionale, alti funzionari, nonché imprenditori e oligarchi. Essi sono oggetto di misure “individuali”, ossia il congelamento dei beni e il divieto di viaggio, che impedisce loro di entrare o transitare nel territorio dell’UE, in quanto responsabili di azioni che in via diretta o indiretta hanno compromesso l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. Quanto al congelamento dei beni, è interessante sottolineare che, per la Corte di giustizia, “tali misure presentano, per loro natura, un carattere temporaneo e reversibile e non violano dunque il ‘contenuto essenziale’ del diritto di proprietà”. Non si tratta, in altri termini, di confisca dei beni, anche se rimane al centro del dibattito tra le due sponde dell’Atlantico il possibile utilizzo di risorse finanziarie appartenenti agli oligarchi per la ricostruzione dell’Ucraina.

2. Si capisce che la corretta esecuzione delle misure individuali sul piano nazionale è di fondamentale importanza per garantirne l’efficacia: sono gli Stati membri a darvi applicazione, individuando le autorità nazionali competenti e prevedendo sanzioni sul piano interno per garantirne l’attuazione (anche se è appena stata presentata una proposta da parte della Commissione di introdurre norme comuni a livello europeo relative alla definizione dei reati in questo settore). In Italia è stata individuata l’Agenzia del demanio quale soggetto ordinariamente competente alla custodia, all’amministrazione e alla gestione delle risorse economiche oggetto di congelamento: è singolare che l’Agenzia abbia pubblicamente manifestato la propria preoccupazione rispetto all’esecuzione delle misure soprattutto nei confronti degli oligarchi, data l’entità dei beni sottoposti a congelamento e la natura dei beni stessi, come le imbarcazioni, che non rientrano nelle sue ordinarie competenze.

Se le sanzioni mirate costituiscono un ampliamento di quelle già in atto dal 2014, un elemento particolarmente significativo dei nuovi pacchetti approvati negli ultimi tre mesi è stata l’introduzione di misure di carattere finanziario, che erano già state sperimentale sia dall’UE che dagli Stati Uniti in relazione al programma nucleare iraniano. Oltre alla decisione di disconnettere alcune banche russe dalla piattaforma di messaggistica SWIFT che assicura i pagamenti internazionali, il Consiglio dell’UE ha introdotto un divieto di “tutte le operazioni relative alla gestione delle riserve e delle attività della Banca centrale di Russia, comprese le operazioni con qualsiasi persona giuridica, entità o organismo che agisce per conto o sotto la direzione della Banca centrale di Russia”. Queste misure restrittive si aggiungono a quelle più tradizionali che incidono sugli scambi commerciali: rimane ovviamente il nodo del blocco dell’approvvigionamento delle risorse energetiche.

3. L’UE ha sostenuto che le proprie misure restrittive sono conformi al diritto internazionale. Così, ed è questo un tema su cui vi è stata una divergenza di vedute con gli Stati Uniti, si è impegnata ad astenersi dall’ “adottare strumenti legislativi applicabili a livello extraterritoriale in violazione del diritto internazionale”. Nelle intenzioni europee le misure restrittive dovrebbero trovare applicazione solo in situazioni in cui esistono legami con l’Unione: pertanto, la formula standard, che individua il loro ambito di applicazione, comprende il territorio, gli aeromobili e le navi degli Stati membri, i cittadini degli Stati membri, le società e altre entità registrate o costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e le attività economiche esercitate interamente o parzialmente all’interno dell’Unione.

Soprattutto, secondo l’UE, le ‘sanzioni’ contro la Russia non costituiscono un comportamento illecito nei confronti di quel Paese. In effetti, alcune possono qualificarsi come ritorsioni, ossia condotte inamichevoli, comunque conformi al diritto. Ma è significativo che già in passato Mosca ne avesse sottolineato la contrarietà con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC): a tale riguardo, l’UE aveva risposto riconducendo le ‘sanzioni’ nel quadro delle eccezioni inserite nell’art. XXI, lett. b) del GATT, disposizione che legittima una Parte a prendere le misure che giudicherà necessarie per la protezione degli interessi essenziali della sua sicurezza, in tempo di guerra o in caso di grave tensione internazionale.

In altre circostanze, la Federazione russa ha condannato le misure adottate nei suoi confronti come violazione delle regole di diritto consuetudinario a tutela della sovranità dello Stato. La tesi principale è che l’azione dell’UE si possa comunque giustificare a titolo di contromisura, in quanto attuata in reazione alla violazione grave di obblighi erga omnes, ossia nei confronti della comunità internazionale nel suo insieme: obblighi a tutela di interessi fondamentali, come, appunto, il divieto di aggressione (v. ad esempio Gestri).

La distinzione tra sanzione in senso stretto, riservata alle misure decise dal Consiglio di sicurezza, e contromisura, categoria che identifica reazioni decentrate a tutela anche di interessi collettivi, ad opera di singoli Stati o organizzazioni regionali, è molto presente nella letteratura giuridica ‘occidentale’. Per essere lecite, le contromisure devono rispettare il principio di proporzionalità e non devono comportare l’uso della forza armata. Va precisato che la funzione delle contromisure non sarebbe tanto quella di infliggere una punizione, quanto di fare pressione sullo Stato colpito, al fine di indurre quest’ultimo ad assumersi la responsabilità, e quindi a ripristinare una situazione conforme a diritto.

4. Questa ricostruzione della liceità delle misure europee ma anche statunitensi nei confronti della Russia, volte alla tutela di interessi e valori fondamentali, è fortemente contestata da un numero significativo di Paesi, come la Cina, gli Stati del sudest asiatico e i membri dell’Unione africana, che difendono la tesi che le sole sanzioni legittime sono quelle del Consiglio di sicurezza dell’ONU e che misure coercitive unilaterali costituiscono una violazione del principio della sovrana uguaglianza e un illecito intervento negli affari interni.

Ancora di recente il portavoce del ministero degli affari esteri di Pechino ha condannato l’impiego di misure finanziare come inefficaci, contrarie a diritto, frutto avvelenato di egemonia e politica di potenza, inaccettabili per l’impatto umanitario sulla popolazione civile. Non è solo una presa di posizione politica: in ultima analisi, è l’espressione di una diversa visione dell’ordinamento giuridico internazionale, per la quale centrali rimangono il principio di coesistenza e di sovrana uguaglianza degli Stati. Dal canto loro, i Paesi del G7 hanno inteso rafforzare ulteriormente il coordinamento nell’imposizione di sanzioni, anche mediante la creazione di una task force multilaterale nota come REPO (Russian Elites, Proxies, and Oligarchs) per favorire la circolazione di informazioni e l’assistenza reciproca nelle operazioni di congelamento.

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