Salario minimo e predistribuzione

Andrea Garnero si occupa di salario minimo legale che talvolta viene confuso con il reddito minimo o con il reddito di base. Si tratta del salario minimo da pagare per un’ora di lavoro, un’istituzione molto diffusa ma assente nel nostro paese, malgrado si sia spesso parlato della sua introduzione. Garnero esaminando varie esperienze illustra come potrebbe funzionare un salario minimo, quale impatto potrebbe avere in particolare su disuguaglianza e povertà e ne valuta il ruolo nell’ambito di una strategia di pre-distribuzione.

Il salario minimo legale, un minimo orario sotto il quale i lavoratori non possono essere pagati, è una delle istituzioni del mercato del lavoro più diffuse al mondo. L’Italia è uno dei pochi paesi occidentali dove tale misura non è presente – nonostante l’introduzione del salario minimo fosse prevista dalla legge delega del Jobs Act e fosse presente nel programma elettorale di molti partiti – e, nel dibattito, viene spesso confusa con il reddito minimo o perfino con il reddito di base. Anche per questo è importante parlare di salario minimo legale, senza dimenticare che la sua introduzione può far parte di una strategia di pre-distribuzione per aumentare il potere negoziale dei lavoratori e quindi il loro reddito prima dell’intervento del sistema fiscale. Ma come funziona? E qual è il suo impatto su povertà e disuguaglianze?

Che cos’è e come funziona il salario minimo legale?

Un salario minimo legale serve ad assicurare che nessun lavoratore sia pagato meno di una certa cifra stabilita per legge. 29 dei 37 paesi OCSE hanno una forma di salario minimo legale. Non esiste invece in Italia e, all’interno dell’UE, in Austria nei paesi del Nord Europa dove i minimi salariali sono fissati per contrattazione collettiva a livello settoriale. Con un adeguato livello di copertura dei contratti collettivi, minimi legali o contrattuali sono pressoché equivalenti, ma con copertura della contrattazione declinante, l’introduzione di un minimo legale può diventare necessaria per coprire quei lavoratori che i contratti collettivi lasciano scoperti (come avvenuto negli anni ‘90 nel Regno Unito o recentemente in Germania, dove il salario minimo nazionale è stato introdotto nel 2015).

Il salario minimo prende varie forme: può essere fissato a livello nazionale, come in Francia, Germania o Regno Unito per esempio, ma anche a livello sub-nazionale come in paesi federali o di grandi dimensioni come gli Stati Uniti (in cui addirittura può essere stabilito a livello di città), Messico, Giappone, Cina o Brasile. In alcuni casi il salario minimo legale può essere definito anche solo per alcuni settori (come nel caso della Germania prima dell’introduzione del minimo nazionale nel 2015) o per specifiche occupazioni (come a Cipro). In alcuni paesi, il valore del salario minimo è definito per scelta politica, come negli Stati Uniti, e quindi soggetto alle maggioranze del momento (in genere i Democratici lo aumentano e i Repubblicani lo bloccano). In altri paesi, la sua definizione è demandata alle parti sociali (ad es. in Belgio), in altri ancora è nelle mani di una commissione specifica (come la Low Pay Commission britannica o la Mindestlohn Kommission tedesca) che, con il coinvolgimento di parti sociali ed esperti, ha il ruolo di promuovere un dibattito informato e non politico e dare consigli, normalmente seguiti, al Governo o Parlamento

Il valore del salario minimo varia fortemente tra i paesi OCSE (Figura 1). Va dal 35% del salario mediano negli Stati Uniti a oltre il 70% in Cile o Turchia (dove, però il salario mediano è sottostimato a causa dell’ampia presenza di lavoratori informali). Tuttavia, i valori lordi del salario minimo non forniscono un quadro accurato della retribuzione netta dei lavoratori, né dei costi derivanti dall’assunzione di lavoratori con salario minimo per le imprese. Infatti, per ridurre i costi dei datori di lavoro e il rischio di perdite occupazionali, alcuni paesi, in particolare la Francia, hanno introdotto consistenti riduzioni dei contributi previdenziali a carico delle imprese che impiegano lavoratori con salario minimo. Altri paesi hanno tentato di aumentare l’efficacia del salario minimo utilizzando riduzioni mirate delle imposte sul reddito o dei contributi sociali dei dipendenti a basso reddito. Alcuni paesi offrono crediti d’imposta o i cosiddetti in-work benefits (prestazioni sociali rivolte a lavoratori a basso reddito; ad es. Belgio, Messico, Regno Unito), mentre altri si basano su imposte progressive sul reddito per mantenere gli oneri fiscali dei lavoratori a basso reddito ben al di sotto di quelli applicabili al lavoratore medio (ad es. Nuova Zelanda).

Figura 1: Salari minimi lordi e netti e costo del lavoro al salario minimo nei paesi dell’OCSE con salario minimo legale, 2016

In % della retribuzione media lorda, della retribuzione media netta e del costo medio della manodopera rispettivamente

Il salario minimo in una strategia di pre-distribuzione

Da decenni, il salario minimo legale è fonte di controversie senza fine tra gli economisti del lavoro. Card e Krueger (American Economic Review, 1994) furono tra i primi a suggerire che il salario minimo non ha quegli effetti negativi sull’occupazione che un modello base del mercato del lavoro suggerirebbe. Neumark e Wascher (Minimum Wages, MIT Press, 2008) invece rimangono convinti che si tratti di uno strumento che rischia di danneggiare più che beneficiare i lavoratori deboli.

Da un’analisi della letteratura disponibile (anche in forma di meta-analisi statistica, si veda per esempio Broecke, Forti, Vandeweyer, Oxford Development Studies, 2017), si può concludere che, stanti gli attuali livelli di salario minimo, l’effetto sull’occupazione sia nullo o limitato e circoscritto alle fasce più deboli come giovani alle prime esperienze o lavoratori poco qualificati. Questo risultato, all’apparenza sorprendente, può essere determinato da un difetto di concorrenza nel mercato del lavoro (anche il libro di microeconomia base suggerisce che in caso di monopsonio, un salario minimo può aumentare l’occupazione invece di ridurla) o essere il prodotto di altri canali di aggiustamento, come minori profitti, maggiore produttività o incremento dei prezzi, che hanno trovato qualche conferma nella letteratura.

Ma quale ruolo può giocare il salario minimo contro la disuaglianza e la povertà? Retribuzioni minime più elevate sono associate a una disuguaglianza salariale più bassa, come argomentato nell’Employment Outlook dell’OCSE 2015. Questo avviene per un effetto meccanico dato che un minimo legale tronca la parte bassa della distribuzione salariale (o perché i lavoratori pagati del minimo vedono il loro salario aumentare o perché vengono licenziati) ma anche per un effetto “onda” sul resto della distribuzione: per mantenere un minimo di differenziale tra lavoratori con diversi ruoli e competenze anche i salari superiori al minimo tendono ad aumentare. Un salario minimo legale, poi, può anche ridurre la crescita dei salari nella parte superiore della distribuzione (perché i datori di lavoro non possono permettersi aumenti equivalenti), contribuendo a ridurre ulteriormente la disparità salariale (Hirsch, Kaufman e Zelenska, Industrial Relations, 2015). Se si segue una prospettiva dinamica, considerando l’intera carriera lavorativa, l’effetto “pre-distributivo” del salario minimo è sempre presente ma inferiore per effetto della mobilità salariale oltre ai minimi, come segnalato dall’OCSE.

In compenso un salario minimo legale è uno strumento solo parziale nella lotta alla povertà, anche limitatamente alla povertà lavorativa. Situazioni di povertà possono emergere da paghe orarie basse, ma sono soprattutto determinate dall’avere un lavoro o meno, dall’intensità di questo lavoro (poche ore o a tempo pieno) e dalla composizione familiare. Un salario minimo legale può solo assicurare un minimo orario, ma niente di più. Inoltre, il salario minimo non sempre corrisponde a quello che gli inglesi chiamano un living wage, cioè un salario sufficiente per vivere. Così, un salario minimo legale, uguale in tutto il paese può permettere di vivere dignitosamente in un paesino di campagna ma essere del tutto inadeguato nel centro della capitale. Inoltre il salario minimo non riguarda solo i poveri. In Francia, per esempio, solo il 23% dei lavoratori pagati al salario minimo è povero.

Accompagnare i salari minimi con in-work benefits o crediti d’imposta può essere un modo più efficace di affrontare la povertà rispetto all’utilizzo di salari minimi isolati. In Francia, per esempio, stime del Gruppo di esperti sul salario minimo mostrano come un aumento della Prime d’activité, un sussidio che premia chi ha un impiego, di pari livello rispetto al costo per le casse pubbliche di un aumento del salario minimo (il salario minimo francese è accompagnato da una sostanziosa riduzione di contributi sociali) ha un effetto di riduzione della povertà molto più significativo che un aumento del salario minimo perché concentrato sulle fasce più deboli (Tabella 1).

Tabella 1: Simulazione dell’effetto su povertà e disugaglianza dell’un aumento del salario minimo o della Prime d’Activité

La Figura 2 mostra come, secondo l’analisi dell’Institute for Fiscal Studies, anche nel Regno Unito un aumento dal 50% al 60% del salario minimo rispetto al mediano (come previsto con l’introduzione de National Living Wage da parte del Governo Cameron) avrebbe come effetto aumentare i redditi individuali al fondo della distribuzione, riducendo quindi la disuguaglianza salariale, ma non quelli familiari, con un impatto quindi nullo sulle disuguaglianze di reddito a livello familiare e sulla povertà.

Figura 2: Impatto previsto dell’aumento del salario minimo nel Regno Unito in ciascun percentile della distribuzione di reddito individuale e reddito familiare nel 2020-21

Fonte: J. Browne and A. Hood (2016), Living Standards, Poverty and Inequality in the UK: 2015–16 to 2020–21, Institute for Fiscal Studies.

In un’ottica di lotta alla povertà, quindi, un salario minimo deve essere completato da altri strumenti, e in particolare da forme di prestazioni sociali per chi lavora che sostengano il reddito senza disincentivare il lavoro. Inoltre, un salario minimo può migliorare il targeting di queste prestazioni e può aiutare a contenere i loro costi. Ad esempio, uno degli obiettivi dichiarati del salario minimo nazionale nel Regno Unito era garantire che le prestazioni sociali aumentassero effettivamente i redditi dei lavoratori invece di essere “intascati” dai datori di lavoro con una riduzione del salario di importo simile.

In conclusione, il salario minimo legale può essere un utile strumento per assicurare un “valore” minimo al lavoro e per ridurre le disuguaglianze prima dell’intervento pubblico, però deve essere accompagnato da strumenti di sostegno al reddito e deve essere calibrato attentamente con il sistema di tassazione per renderlo efficace anche contro la povertà.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente all’autore e non riflettono necessariamente quelle dell’OCSE o degli Stati membri

 

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