Sacrificare vite sull’altare della ripartenza economica è una strategia perdente

Ettore Gallo e Riccardo Zolea valutano criticamente la scelta dei governi occidentali – incluso quello italiano - di fare fronte all’esplosione di contagi causata dalla diffusione della variante Omicron del virus senza adottare misure severe di contenimento. I due autori presentano alcuni dati dai quali desumono che scelte di questo tipo, adottate peraltro al di fuori di una strategia di più lungo periodo, sono perdenti nei confronti della pandemia ed hanno anche effetti negativi sulla ripresa economica.

Due anni di pandemia da COVID-19 ci hanno ormai abituati alla sensazione di ripartire dal via ad ogni nuova ondata, forzando un riadattamento al distanziamento sociale, a norme e convenzioni a cui siamo ormai tristemente abituati. Eppure, l’ultima recrudescenza del virus causata dal diffondersi della variante Omicron pare abbia causato un riavvolgimento completo del nastro, fino ai primissimi giorni della pandemia. Come a marzo 2020, anche oggi il dibattito nei Paesi occidentali è concentrato in maniera surreale sul tipo di risposta da mettere in campo contro l’impennata dei contagi. Tuttavia, contrariamente alla strada scelta due anni fa, i governi occidentali non sembrano oggi neppure intenzionati a contrastare l’aumento dei contagi, scegliendo di fatto una strategia di laissez-passer. Nel nostro Paese, mentre da un lato si accorciano i tempi della quarantena per chi è entrato a contatto con un positivo (inclusi conviventi), dall’altro si allentano i requisiti per adottare la didattica a distanza nelle scuole e, complessivamente, non si incentiva lo smartworking.

Riavvolgendo le lancette dell’orologio fino al 12 marzo 2020, il governo italiano – nonché quelli della maggioranza dei Paesi occidentali – sta di fatto dando ragione a Boris Johnson, che annunciava in diretta tv: “molte altre famiglie perderanno i loro cari prima del tempo”, senza però introdurre alcuna misura restrittiva. Il tutto sperando in un’immunità di gregge che è, con ogni probabilità, al momento irraggiungibile, data la possibilità di re-infezioni e l’eventuale emergere di nuove varianti resistenti ai vaccini. Come sostenuto da Sridhar e Gurdasani su Science, l’immunità di gregge per infezione non è un’opzione, come testimoniato dal caso di Manaus, in Brasile.

Alla base della ‘strategia’ di questi governi vi è oggi una scommessa il cui fondamento scientifico è tutt’altro che solido: data la minore gravità dell’infezione da variante Omicron, centinaia di migliaia di nuovi casi ogni giorno non si tramuterebbero in un aumento significativo dei ricoveri e dei decessi. Tuttavia, anche se associata ad una minore gravità, la più alta trasmissibilità della variante Omicron e la conseguente esplosione dei contagi sta facendo aumentare sensibilmente la pressione sugli ospedali e il numero assoluto di morti, che vanno a sommarsi alle oltre 135.000 vite perse nel 2020 e 2021.

Un ulteriore problema nella strategia di lotta a bassa intensità contro il virus sta nelle distorsioni nel conteggio dei nuovi positivi. I numeri del contagio sono probabilmente più alti di quanto mostrano i dati ufficiali, data la minore attendibilità dei tamponi rapidi. Aggiungendo l’uso degli ancora più inaffidabili tamponi ‘fai-da-te’, il risultato non può che essere quello di lasciar circolare liberamente il virus sulle gambe di migliaia di ignari falsi negativi. Inoltre, la probabile stima al ribasso del numero di nuovi contagi finisce con il ritardare l’attivazione dei protocolli di sicurezza nelle zone interessate, facendo avanzare l’epidemia (per esempio ritardando il passaggio di una regione da una classificazione ‘arancione’ ad una ‘rossa’). La poca disponibilità e l’ingente costo dei tamponi molecolari, più precisi, comporta inoltre lunghe code e una preferenza dei cittadini per i tamponi meno affidabili.

In un commento pubblicato su The Lancet nell’aprile 2021, Oliu-Barton et al. (SARS-CoV-2 elimination, not mitigation, creates best outcomes for health, the economy, and civil liberties, 2021) sostenevano che mentre “il compromesso tra diversi obiettivi è al centro del processo decisionale politico, […] questi obiettivi non devono essere in conflitto nella risposta al COVID-19” (traduzione propria). Dopo aver raccolto dati sui decessi per COVID-19, sulla crescita del prodotto interno lordo (PIL) e sulla rigorosità delle misure adottate in 32 Paesi OCSE, gli autori sostengono che il gruppo di Paesi che ha optato per l’eliminazione della pandemia – ad esempio attraverso strategie zero-covid – ha avuto in media performance economiche migliori rispetto al gruppo di quei Paesi che hanno invece deciso di mitigare la pandemia per preservare l’attività economica (in particolare, questo gruppo consiste principalmente di Paesi UE, Regno Unito e Stati Uniti). L’analisi è stata inoltre confermata da Andrade et al. (COVID-19 and Economic Losses: the role of policies and structural conditions, mimeo); analizzando la relazione fra decessi da COVID-19, perdite economiche e rigorosità delle misure di contrasto in 46 Paesi sviluppati e non, gli autori mostrano che i Paesi che hanno optato per l’eliminazione sono stati anche in grado di ridimensionare il peso della pandemia su imprese e famiglie, riducendo il livello generale di rigore delle misure di contrasto alla pandemia per periodi di tempo più lunghi rispetto ai Paesi che hanno optato per la mitigazione. In questo senso, un esempio lampante è costituito dalla Cina, che adotta strettissime misure di chiusura per periodi di tempo relativamente brevi, con risultati finora ottimi.

Dunque, se le misure di contenimento della pandemia sono meno efficaci dell’adozione di strategie zero-covid, consentire milioni di contatti e contagi sembra una strategia destinata a rivelarsi fallimentare, tanto dal punto di vista sanitario quanto economico.

Come documentato da Chetty et al. (The Economic Impacts of COVID-19: Evidence from a New Public Database Built Using Private Sector Data, NBER, 2020), le scelte di consumo dei cittadini sono limitate dalla situazione epidemiologica. Un aumento dei contagi spingerà a limitare i consumi – specie per servizi (per es. ristoranti, cinema, hotel, ecc.) – per paura del contagio, generando così un feedback negativo fra attività economica e pandemia, come descritto da Barbieri Goes e Gallo (Infection Is the Cycle: Unemployment, Output and Economic Policies in the COVID-19 Pandemic, Review of Political Economy, 2021). Il tracker settimanale dell’attività economica dell’OCSE sembra muoversi in questa direzione, mostrando un rallentamento e poi una flessione del PIL nelle ultime settimane.

 

Figura 1

Avere una strategia di medio-lungo periodo efficace ed efficiente nella lotta contro la pandemia è di importanza fondamentale per salvare vite umane e per ridurre i risvolti economici negativi. Per esempio, la scelta di Cuba di realizzare sin da subito un vaccino adatto ai bambini si è rivelata un’ottima strategia nel medio periodo; non a caso oggi Cuba ha molti meno contagi di tanti altri Paesi occidentali che pur godono di molte più risorse. La Cina è stata in grado di effettuare chiusure rigidissime tanto brevi quanto efficaci per eradicare l’epidemia, predisponendo tamponi a tappeto per milioni di persone ogni volta che veniva individuato un nuovo caso e consentendo un rapido ritorno alla crescita economica.

Le strategie efficaci di lotta al COVID-19 non sono ovviamente legate esclusivamente a particolari sistemi economici, modelli di sviluppo e regimi politici. Come nota Adam Tooze in Shutdown: How Covid Shook the World’s Economy (2021), l’esperienza sudcoreana costituisce un esempio perfetto di come una risposta rapida e decisiva alla pandemia possa risultare efficace in un contesto economico, politico e sociale simile a quello dei Paesi occidentali. In particolare, la Corea del Sud ha utilizzato un sistema capillare di tracciamento elettronico contrastando energicamente sul nascere i focolai di SARS-Cov-2, mentre in Italia e in Occidente si discuteva dei problemi di privacy connessi al tracciamento. Un altro aspetto da tenere presente nel medio-lungo periodo è un piano di vaccinazione di livello mondiale: finché alcuni Paesi, per motivi economici o geopolitici, avranno scarso accesso ai vaccini, saranno sempre probabili mutazioni del virus, nuove ondate a livello globale e re-infezioni. Tuttavia, nonostante il proliferare di nuove varianti, i Paesi europei continuano ad opporsi a ogni ipotesi di sospensione dei brevetti sui vaccini proposta da Sudafrica e India (il Menabò ha dato recentemente molto spazio al tema, si vedano in particolare i contributi di Franzini e Pagano).

Una strategia di ampio respiro prevede delle rigide chiusure e misure di contenimento nel breve o brevissimo periodo di fronte al diffondersi della pandemia; accorgimenti e protocolli per evitare o arginare immediatamente ogni nuovo focolaio, aumentare la capacità di gestione di emergenze di ospedali, strutture di tracciamento e trasporti; infine, la prospettiva nel lungo periodo di risolvere il problema a livello mondiale. Tutto questo comporta degli investimenti e una progettazione in campo economico ad ampio orizzonte. È necessario programmare e pianificare il sistema Paese e l’economia per uscire realmente dalla pandemia senza lasciare indietro fette consistenti di popolazione e di lavoratori. Pensare di tornare alla normalità senza una strategia, o peggio ancora illudersi di esserci già tornati ‘per grazia di Dio e volontà della Nazione’, porta solamente in seguito a maggiori sacrifici, frustrazione continua e senso di impotenza, che divengono una miccia molto corta per movimenti eversivi e antiscientifici, come quelli che abbiamo visto (ri)nascere e crescere durante la pandemia.

È necessario uscire da un loop ciclico in cui ogni sei mesi ci si ritrova al punto di partenza in una finta scelta tra la vita delle persone e i danni economici derivanti dalle restrizioni. L’economia deve essere uno strumento per realizzare il benessere dei cittadini, non il contrario. È quindi necessario rinunciare a strategie fallimentari e contradditorie di brevissimo periodo volte a salvaguardare l’aspetto economico al costo di migliaia di vite, poiché, oltre ad essere disumane, non funzionano. Bisogna essere consapevoli del ruolo che le politiche e le scelte deliberate dei politici possono giocare nel salvare vite umane, minimizzando le cicatrici economiche a breve, medio e lungo termine.

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