Routinizzazione delle mansioni, compiti sociali sul lavoro e uso del computer: una relazione (apparentemente) contraddittoria

Martina Bisello, richiamando i principali risultati di una ricerca condotta da Eurofound e dal Centro comune di ricerca della Commissione Europea, sostiene che i computer, da un lato, facilitano l'automazione di alcune mansioni, in particolare quelle più routinarie, favorendo indirettamente la crescita occupazionale in lavori che richiedono più interazione sociale ma, dall’altro, influenzano l’organizzazione del lavoro, standardizzando le procedure e facilitando nuove forme di fornitura di servizi che non richiedono necessariamente il contatto diretto con i clienti.

Le previsioni di quali lavori possano essere più a rischio di automazione forniscono inevitabilmente una valutazione parziale del possibile effetto delle tecnologie digitali sul mercato del lavoro. Questo perchè la maggior parte delle analisi tende a dimenticare due fattori. Primo: il fatto che ad essere automatizzati non siano solitamente intere professioni ma solo alcune mansioni all’interno delle stesse. Secondo: che l’introduzione di nuove tecnologie ha il potenziale non solo di sostituire specifiche mansioni che possono essere più efficacemente svolte da macchine, ma anche di incidere sul contenuto del lavoro  stesso e sui modi con cui è svolto. Ad esempio, l’introduzione degli sportelli automatici ha sostituito gran parte delle attività in precedenza svolte dagli impiegati delle banche; tuttavia, invece che scomparire la professione, ne è cambiato il profilo (aumentando l’orientamento al servizio clienti, ad esempio). È interessante quindi valutare quanto i cambiamenti del contenuto del lavoro siano e in che misura il risultato di mutamenti strutturali del mercato del lavoro. Ciò equivale a chiedersi, ad esempio, se la diminuzione complessiva delle attività fisiche svolte sia dovuta al fatto che i lavori che le prevedono sono diminuiti in termini relativi, o se i lavori di per sé oggi sono fisicamente meno impegnativi, o entrambe le cose.

In quest’articolo, utilizzando dati dell’indagine europea sulle condizioni di lavoro (European Working Conditions Survey, EWCS) e dell’Osservatorio sull’occupazione in Europa (European Jobs Monitor, EJM), si offrono alcune evidenze empiriche relative al cambiamento delle mansioni nei lavori svolti in Europa negli ultimi 20 anni, sintetizzando i risultati di un contributo recentemente pubblicato, insieme a Enrique Fernández Macías, Eleonora Peruffo e Riccardo Rinaldi, dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) e dal Centro comune di ricerca della Commissione Europea (JRC Siviglia). Per quantificare l’intensità delle diverse tipologie di mansioni sono stati utilizzati alcuni degli indicatori contenuti nella tassonomia proposta da Bisello e Fernández Macías (2016). Quest’ultima distingue il contenuto dell’attività lavorativa dal modo in cui il lavoro è svolto e dagli strumenti utilizzati (sia ICT che non). Gli autori sottolineano come sia rilevante considerare elementi di organizzazione del lavoro in quanto l’effetto delle nuove tecnologie può essere mediato dal modo in cui il lavoro è organizzato. In particolare, affinché le attività siano adatte all’automazione, esse devono essere organizzate in modo da ridurre al minimo l’importanza dell’intelligenza umana. Se una nuova tecnologia può essere utilizzata per riorganizzare il lavoro in modo più frammentato, centralizzato e standardizzato, può indirettamente espandere in modo rilevante la gamma di attività che possono essere automatizzate. Le piattaforme di lavoro digitale sono un chiaro esempio di come attività organizzate in modo più discreto e granulare, decisioni centralizzate dettate da un algoritmo, e una standardizzazione di processi e risultati possano ampliare le possibilità di automazione.

Sono stati selezionati, tra quelli proposti da Bisello e Fernandez-Macias (2016), indicatori capaci di misurare l’intensità di attività che richiedono l’esercizio della forza fisica, cognitive (tese alla risoluzione dei problemi), sociali (interazione diretta con persone esterne al posto di lavoro, quali clienti, pazienti etc.); il grado di autonomia e routine (ripetizione e standardizzazione) al lavoro; l’intensità nell’uso del computer e di macchinari. Guardando al periodo 1995-2015, lo studio offre evidenza empirica circa l’evoluzione del lavoro in Europa con particolare attenzione alle mutazioni avvenute in termini di composizione delle mansioni. La tabella 1 riporta i principali risultati dell’analisi di scomposizione della variazione temporale degli indicatori di interesse. La variazione totale (aggregate change) può essere scomposta in un primo termine che riflette unicamente i cambiamenti nelle quote occupazionali (compositional change, ovvero between-jobs change), e in un secondo termine residuale riferito alla variazione dell’intensità delle mansioni sul posto di lavoro (within-jobs change). In alcuni casi, la componente strutturale è molto simile al cambiamento totale, suggerendo quindi che la variazione dell’intensità dell’attività svolta al lavoro è minima. Ciò è evidente ad esempio per quanto riguarda l’evoluzione di mansioni che richiedono l’esercizio della forza fisica e l’uso di macchinari: sebbene vi sia stata una significativa riduzione dell’occupazione in lavori che richiedono questo tipo di mansioni, l’intensità di tale attività è cambiata solo marginalmente negli ultimi 20 anni.

In altri casi invece avviene l’opposto, ovvero i cambiamenti aggregati e strutturali assumono segni contrari; e questi sono certamente i più interessanti. Queste tendenze sono evidenti nel caso di mansioni ad alto grado di routine (ripetitività e standardizzazione) e quelle ad alto contenuto sociale (sebbene con alcune precisazioni). In linea con la letteratura esistente, che indica una diminuzione dei lavori che comportano un altro grado di routine, la componente strutturale è negativa (Autor et al., in Quarterly journal of economics, 2003; Goos et al, in American Economic Review: Papers and Proceedings, 2009); ma la tendenza opposta (e di grandezza maggiore) a livello aggregato suggerisce che i lavori stanno in realtà diventando sempre più ripetitivi e standardizzati.

Parrebbe quindi che nell’era digitale ci siano meno lavori routinari a causa del maggior rischio di automazione, ma i lavoratori indichino allo stesso tempo livelli più elevati di ripetitività e standardizzazione. Il dato è ancora più sorprendente se si considera che tra i lavori più colpiti da questa tendenza ve ne siano anche di altamente qualificati come professionisti e manager, e non solo lavori impiegatizi (vedi Figura 1 che riporta i dati per le prime cinque categorie ISCO, la classificazione internazionale delle occupazioni, in ordine decrescente). Uno dei motivi di questo paradosso potrebbe essere che l’avvento dei computer sia da un lato responsabile del declino delle occupazioni routinarie, dall’altro determini una crescente ripetitività e standardizzazione del lavoro. Ciò sembra particolarmente plausibile nel caso della standardizzazione, che è l’elemento più chiaramente in aumento: la natura stessa dell’informatica si basa sull’elaborazione di informazioni standardizzate e un uso crescente dei computer può sia facilitare e richiedere un’ulteriore standardizzazione dell’input di lavoro. È evidente che uno dei cambiamenti più rilevanti nel mondo del lavoro negli ultimi decenni sia stato l’uso del computer, che dalla metà degli anni novanta è più che raddoppiato (+64% in termini relativi), con una diffusione capillare nella maggior parte delle occupazioni. Altri fattori, come un crescente ricorso al subappalto e la globalizzazione delle catene del valore, possono aver contribuito ad aumentare il fenomeno; in generale, sembra certamente plausibile che un uso crescente di benchmarking delle prestazioni e sistemi di gestione della qualità in molte attività economiche (incluso il settore pubblico) siano correlati all’aumento di standardizzazione del lavoro.

Una simile tendenza contraddittoria può essere osservata nel caso delle mansioni che richiedono interazione sociale con persone esterne al posto di lavoro. Nel periodo 1995-2015 si è registrata una crescita strutturale positiva legata all’espansione dei lavoro ad alto contenuto sociale, in linea con precedente evidenza empirica che suggerisce che questi profili tendono a crescere in termini relativi perché non sono né facili da automatizzare né da trasferire all’estero (Goos and Manning, in Review of Economics and Statistics, 2007; Blinder, in World Economics, 2009). Allo stesso tempo i dati suggeriscono anche che i lavoratori svolgono meno interazioni sociali con persone esterne al posto di lavoro, almeno in alcuni settori. Questo è ad esempio il caso dell’intermediazione finanziaria dove l’indice che misura l’interazione sociale è calato del 22,5% dal 1995 al 2015. Se pensiamo ad esempio agli impiegati di banca, l’avvento dell’online e mobile banking e le crescenti esigenze di pagamenti rapidi e senza incassi tramite, effettuabili attraverso le interfacce digitali, hanno cambiato i processi bancari contribuendo a un considerevole declino nelle interazioni con i clienti. Allo stesso tempo l’aumento nell’uso di algoritmi finanziari ha cambiato il modo di fare business degli intermediari e brokers, facendo più affidamento sull’uso del computer e riducendo la quantità di tempo speso per trattare direttamente con altre persone. Un simile declino nel grado d’interazione sociale si è registrato anche in altri servizi, come attività relative ai beni immobili, affitti, intermediazioni e consulenze (-28,5 %) e la pubblica amministrazione (-20,3%). È interessante notare come questi siano allo stesso tempo anche i settori dove si è verificato un notevole incremento del grado di standardizzazione delle mansioni e dove l’utilizzo del computer è maggiore, come si evince dai dati riportati in Figura 2 per il settore dei servizi.

I risultati presentati in quest’articolo suggeriscono quindi che l’informatizzazione dovuta alla diffusione dei computer abbia avuto un effetto contraddittorio su alcune categorie di mansioni particolarmente importanti nell’ambito del dibattito sulla probabilità di automazione dei lavori, come quelle ad alto contenuto routinario e sociale. Se l’obiettivo è capire come la natura del lavoro stia evolvendo in seguito al cambiamento tecnologico, guardare ai soli effetti strutturali in termini di creazione e distruzione di posti di lavoro può essere fuorviante. È invece necessario guardare alle mansioni svolte dai lavoratori all’interno delle diverse professioni e studiarne il cambiamento.

Il lavoro sta infatti diventando sempre più routinario e il grado di mansioni ad alto contenuto d’interazione sociale è marginalmente in calo in molte occupazioni e in specifici settori. Sembrerebbe quindi che da un lato i computer facilitino l’automazione di alcune mansioni, in particolare quelle più routinarie, favorendo quindi indirettamente la crescita occupazionale in lavori che richiedono più interazione sociale (più facilmente svolti da persone fisiche invece che da computer); dall’altro però influenzino il modo in cui il lavoro è organizzato, standardizzando e burocratizzando le procedure e facilitando nuove forme di fornitura di servizi che non richiedono necessariamente il contatto diretto con i clienti. Un corollario interessante di tutto ciò è che i due aspetti possono rafforzarsi a vicenda, poiché la routinizzazione dei compiti può facilitare ulteriori cicli di automazione per tipi di lavoro che prima non erano automatizzabili.

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