Roma. Dalla forma della crisi alla forma della città

Luca Montuori vede la città come uno spazio in cui le persone si muovono, abitano e lavorano e sostiene che alla crisi del 2008 si è reagito ha limitando la possibilità di pianificare quello spazio. In particolare la risposta alla crisi del settore edilizio è stata una estesa deregolamentazione che ha scaricato sulla città la crisi dell’edilizia. Montuori conclude sostenendo che va recuperata, anche attraverso un ampio dibattito pubblico, la capacità di programmare e, sottolineando i nessi tra sistemi di trasporto e crescita della città, illustra le potenzialità dell’anello ferroviario.

CRISI. Il documento del prof. Macchiati, che costituisce la base di questa riflessione e del seminario “Quale futuro per Roma?” organizzato da Etica ed Economia, ci offre una visione attraverso una grande e interessante restituzione di dati ripercorrendo la storia e le ragioni del tessuto economico e sociale della capitale. cui vorrei aggiungere il punto di vista di chi vede la città come un dato fisico, uno spazio in cui le persone si muovono, abitano e lavorano.

Mi vorrei concentrare quindi su un momento chiave, il 2008, anno dell’approvazione del Nuovo Piano Regolatore; un piano che, per come pensato e redatto nella sua forma finale, si basa su una visione che immaginava una crescita della popolazione della città basata su ipotesi e presupposti di sviluppo ed economici figli di quel periodo.

Mi perdonerete lo schematismo ma Roma è, come spesso le è accaduto nella storia, ancora oggi un paradigma del cambiamento storico: pochi mesi dopo l’approvazione di quello strumento, il crollo del sistema finanziario negli Stati Uniti ha trascinato con sé il modello economico su cui si era basato anche gran parte del sistema europeo, svelando la grande bolla speculativa e la falsa narrazione della crescita senza limiti.

A Roma un risultato evidente dopo l’inizio della crisi nel 2008 è stato un ulteriore impulso allo sviluppo dei comuni della cintura esterna, visto che comprare una casa, accendere un mutuo, fare un investimento, non era più così conveniente come prima. Grandi stock di residenze invendute, fallimenti di imprese e crescita di crediti inesigibili nei bilanci di banche che si sono ritrovate in mano titoli edilizi dai valori gonfiati, previsioni di valori e di diritti edificatori falsate, sono stati gli effetti immediatamente registrabili cui si è tentato di rimediare con alcune “misure per il rilancio dell’economia” che hanno visto, tra le tante e come al solito, importanti novità per il settore edilizio: la deregolamentazione, mascherata da semplificazione. Viene varato in questo contesto il “Piano Casa” (2009), deliberato nel Lazio dalla giunta regionale di destra e fortemente criticato dalle opposizioni che una volta al governo, hanno tranquillamente prorogato, anzi hanno perfino peggiorato, le norme in esso contenute.

Il Piano Casa demolendo i principi della pianificazione ha dato il colpo di grazia a qualsiasi possibile visione e indirizzo, di fatto liberalizzando il settore edilizio dal 2009 al 2017. Nei fatti ogni strumento che prevedesse un piano integrato di spazi pubblici e spazi privati, composizioni di interessi, equilibri di mix funzionali, servizi ai cittadini, ogni progetto complesso, è stato di fatto cancellato. Non solo gli effetti reali sul territorio, i cui esempi più eclatanti sono stati oggetto di polemiche giornalistiche mentre gli effetti più impattanti sono registrabili in quelle aree fragili e lontane, nei tessuti ex abusivi costituiti da case unifamiliari, senza servizi di nessun tipo; ma anche gli effetti culturali di questa fase hanno trasformato la città nella somma di singoli interventi residenziali privati e non in un organismo costituito da diversi elementi tra loro interrelati: “Ciascuno fa a casa sua quello che gli pare” diceva Berlusconi illustrando la legge, e così è stato.

Così la crisi del settore edilizio è stata scaricata completamente sulle spalle delle città determinando squilibri nelle previsioni e una accentuazione dei conflitti territoriali già presenti. A quelle misure seguì la famosa lettera Trichet- Draghi del 2011 in cui si auspicavano ulteriori misure mirate alla liberalizzazione dei servizi essenziali per la vita della città, del settore amministrativo e della funzione pubblica. Nella lettera, tra le tante cose, si parla di “una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi (…); una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala”.

Sono misure che portano direttamente alla mancanza di personale negli uffici pubblici e alla guerra in corso sui servizi i cui effetti vediamo oggi in maniera devastante sulla città, ma sui quali non mi soffermerò.

STRUMENTI. Roma ha bisogno di rivedere il suo statuto, di diventare realmente una capitale europea. Non abbiamo più tempo e non si può rimandare un’ampia discussione che coinvolga forze culturali, corpi intermedi, cittadini su quella che deve essere la forma amministrativa della città, la sua relazione con il territorio, le sue capacità di indirizzare la trasformazione rispondendo ai temi della contemporaneità. Nelle città si concentrerà presto il 70% della popolazione mondiale, nelle città si giocheranno le principali sfide del mondo, ambientali, sociali ed economiche. Le città, tutte le grandi capitali ma non solo, hanno bisogno di strumenti per discutere e decidere, al pari dei governi nazionali e regionali, le strategie e le norme per affrontare queste sfide. Per quanto attiene le attività e le politiche di pianificazione questo significa guardare al futuro attraverso una ripresa della programmazione che tenga conto di questo quadro mutato, dell’esigenza di non consumare suolo, di densificare i suoi tessuti urbani migliorando i servizi per nuove modalità di abitare.

Nel Piano Regolatore esistono strumenti che definiscono un’idea della “forma” della città, individuandone le risorse e le potenzialità, coniugando aspetti culturali, simbolici e funzionali. Sono gli ambiti di sviluppo strategico, strumenti di indirizzo senza alcuna norma attuativa speciale, ragione per la quale sono rimasti, fino a oggi, sulla carta: il Tevere, il Parco dell’Appia (i sistemi che tengono insieme natura e paesaggio), le Mura e il sistema Flaminio-Fori-Eur (che tengono insieme storia antica e modernità), l’Anello Ferroviario (che identifica un sistema di spostamenti), e il Raccordo Anulare, poi mai entrato tra questi strumenti di indirizzo.

Gli ambiti strategici hanno una forma, tre sono lineari e due anulari (con il GRA sarebbero stati tre anulari e tre lineari) e si intersecano in alcuni punti di particolare significato simbolico in cui le diverse tematiche si confrontano e si fondono. In questa inerzia, alla ricerca di qualche cantiere che desse visibilità alla politica, da quando è stato approvato il Piano Regolatore si è preferito lasciare che l’iniziativa privata prendesse gli spazi che aveva conquistato nelle fasi di concertazione dimenticando l’iniziativa pubblica, fondamentale anche per chi in questa città ha deciso o tentato di investire magari cercando forme diverse dallo schematismo da cui deriva la crisi: costruisco case e le vendo. Il problema infatti non è la contrapposizione pubblico privato, ma le forme con cui gli interessi si definiscono e si concretizzano permettendo di sviluppare forme evolute di investimenti che con il crescere di una città moderna permetta ritorni economici in forme diversificate nel tempo e nei contenuti.

Nelle attività di mandato di questa amministrazione il sistema del trasporto e la crescita della città costruiscono un sistema unico, l’approvazione del PUMS (Piano Urbano della Mobiltà Sostenibile) costituisce un pilastro di questa politica. L’ambito strategico dell’anello ferroviario deve poter assumere allo stesso tempo una dimensione locale, regionale e nazionale; gioca in questa costruzione di futuro un ruolo fondamentale, è allo stesso tempo sistema di infrastrutture, e luogo fisico della città, non più un limite, un perimetro che definisce un interno e un esterno, un nuovo centro, ma piuttosto un luogo su cui confluiscono i flussi che arrivano dal sistema vasto che interessa la Capitale.

FORMA. La sottovalutazione del sistema ferroviario è evidente nel destino che le politiche urbane hanno riservato alla stazione Tiburtina e al comparto di Pietralata del Sistema Direzionale Orientale, un polo che deve poter svolgere un ruolo centrale nelle politiche di sviluppo. Il nodo dell’alta velocità collega la capitale alla rete delle città italiane, che possono funzionare in questo modo come un’unica grande metropoli a sua volta collegata alla rete delle altre città europee costruendo un’idea di Europa innovativa basata sulla moltiplicazione dei luoghi superando realmente ogni barriera nazionale. A Roma invece l’idea di sviluppare quest’area non è mai stata tra le priorità dell’Amministrazione sempre impegnata a cercare altrove le idee di crescita urbana.

Nessuno ha voluto sfruttare il grande patrimonio pubblico dei terreni di Pietralata che permette di indirizzare le politiche di sviluppo, di cogliere l’occasione della radicale trasformazione delle tipologie degli uffici, della diffusione del lavoro immateriale (su cui puntano tutte le grandi città), e quindi nella necessità del rinnovamento del settore terziario avanzato che ha bisogno di spazi adeguati, di aree di servizi collegati al lavoro, di luoghi per il tempo libero e lo sport che servano anche a chi nei dintorni risiede. Dobbiamo lavorare per dare alla Stazione Tiburtina un accesso alla città degno della stazione più importante d’Italia, una piazza che accolga chi arriva e dove lo spazio e il tempo del viaggio si incontrano con lo spazio e il tempo della città. L’abbattimento della tangenziale, con la conseguente realizzazione del nuovo albergo sul piazzale Ovest, insieme all’arrivo del tram da piazza del Verano costituiscono i primi passi verso un progetto organico che veda lavorare insieme il lato ovest e il lato est della stazione. Parallelamente lavoriamo a un nuovo schema di assetto dell’area, allo sviluppo di progetti nell’area di Pietralata completando la rete infrastrutturale intorno a una fermata della Metropolitana abbandonata e favorendo l’inserimento di uffici importanti di cui l’ISTAT è il primo esempio.

L’anello ferroviario deve essere visto come un sistema lineare e continuo che passa attraverso Casalbertone e Portonaccio, dove si sono già insediate molte attività innovative e dove BNP sta lavorando per integrare il suo polo direzionale, e arriva al Pigneto. Qui gli atti necessari al completamento della stazione di scambio metro C/Ferrovia regionale erano fermi e ora sono ripartiti per realizzare un nodo di scambio che interessa tutta la periferia Est, dando accesso anche al sistema verde dell’ex SDO Casilino e collegandosi a un’area parte di un paesaggio continuo che va dall’Aniene a Centocelle al Parco dell’Appia antica. È un progetto ambizioso che lega mobilità, rigenerazione urbana e paesaggio, forma della città, storia e modernità, offrendo letture nuove ai cittadini che in questi spazi si muovono prendendo consapevolezza del significato che questi diversi layer acquisiscono nella vita quotidiana.

Il nodo Tuscolana ha una potenzialità da sfruttare nel collegamento con la Metro A e con aree dismesse su cui sviluppare progetti che permettano di definire una vera centralità, per questo Roma e RFI parteciperanno insieme alla prossima edizione del bando “Reinventing Cities” cercando nel mondo investitori che permettano di dare a quest’area un impulso nuovo. E’ utile ricordare che “Reinventing Cities” è un bando internazionale senza precedenti per avviare una rigenerazione urbana resiliente e a zero emissioni, promosso dal C40 Cities Climate Leadership Group.

Attraverso questo bando le città partecipanti invitano architetti, operatori, esperti ambientali, comunità di quartiere, artisti, a costituire team multidisciplinari e a concorrere per trasformare i siti scelti in nuovi baluardi di sostenibilità e resilienza. Le proposte dovranno dimostrare come sia possibile realizzare soluzioni innovative che rispettino l’ambiente, parallelamente ad architetture di alta qualità e benefici per la comunità.

Continuando lungo l’anello nel Verbale di Intesa tra Roma Capitale e Ferrovie c’è la realizzazione della nuova stazione Zama che non solo svolge una funzione per il trasporto urbano ma si offre come la porta di ingresso al Parco della Caffarella e al sistema dell’Appia antica, coniugando nuove forme di turismo e servizi per la città consolidata e per modelli di sviluppo diversi da quelli ormai abusati nel centro storico.

L’anello ferroviario, cui si aggancia anche un sistema di nuove stazioni locali e di nodi di scambio, si trasforma aprendosi verso l’area metropolitana e diviene la rappresentazione nello spazio di un’idea di sistema urbano vasto, un’idea di “forma” urbana che deve essere alla base di ogni revisione degli assetti amministrativi immaginando relazioni che guardino a nuovi modi di vivere i luoghi, di abitare e lavorare, di pensare gli spazi pubblici e con questi il diritto alla città.

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